Miseria dell’insegnamento, crisi della scuola

di Gabriele Zuppa

Una recente indagine condotta dall’Associazione TreeLLLe rileva lo scarso interesse degli studenti per alcune discipline insegnate a scuola. I risultati di tale ricerca sono particolarmente significativi nell’indicare il grado di obnubilamento e disorientamento che affliggono scuola e università. Quel che sconcerta e lascia intravedere tempi di guarigione immani sono non tanto i risultati ottenuti dalla ricerca, ma il modo stesso in cui le questioni affrontate vengono poste. Ad esempio, la filosofia viene ritenuta noiosa ed inutile. Non di meno da anni ci si interroga sull’utilità del latino: non è forse evidente che una lingua non più parlata da nessuno dovrebbe subire un forte ridimensionamento? Dopo tanti anni non è altrettanto chiaro che Platone e Kant siano ormai sorpassati? È evidente che debbono essere superati, che sono superati e che dovremmo toglierceli di mezzo. Ma non Platone e Kant, non Cicerone e Seneca, ma questi depositari del sapere delle nostre scuole e delle nostre università le quali altro non sono che depositi di sterile ed ammuffito nozionismo. Il sapere morto che pretendono di insegnare non è più sapere, sono suoni che non riguardano più la nostra vita: inutili, indifferenti, pertanto noiosi. Mortali, come la malattia che affligge il nostro sistema educativo. A scuola, così come all’università, dovrebbero essere insegnati i migliori: coloro che meglio hanno pensato la loro vita ed il mondo, ai quali ci rivolgiamo per imparare a cavarcela. Socrate era uno dei migliori: quel che ha fatto e ha detto è stato decisivo per le vite dei suoi discepoli, per i greci, per la nostra civiltà. Non per qualche teoria filosofica, così come viene intesa oggi, ma per l’efficacia del suo vivere e del pensare la sua vita. L’uomo più giusto è stato poi condannato a morte. La riflessione di Platone si sviluppa proprio a partire da questo dramma. Come è stato possibile? Come possiamo mostrare ai giudici il loro terribile errore affinché questo non si ripeta? È questo un tema ozioso? Scarsamente utile? Eppure gli esperti avvallano i risultati di quella ricerca, là ci hanno condotto e non sembra siano in grado di proporre vie di fuga al momento. In un’intervista al Corriere della sera Salvatore Veca, filosofo e vicedirettore dello IUSS (l’Istituto universitario di studi superiori) di Pavia, ha affermato che dalla ricerca emerge il bisogno di un sapere percepito come «socialmente utile». Ragion per cui la filosofia finisce in fondo alla lista. Non è forse socialmente utile, per restare al nostro esempio, capire come evitare di condannare a morte l’uomo più giusto? Non è socialmente utile capire come sia possibile che a rappresentare la giustizia ci siano uomini che non la sanno vedere? La filosofia, continua il docente, «non ti dice come risolvere i tuoi problemi, ma come pensare certe cose». Quando afflitti da un problema ci rivolgiamo ad un amico, ad un conoscente – a chi ne sa qualcosa più di noi – non cerchiamo proprio di pensare certe cose per trovarvi una soluzione? Pensare è risolvere problemi, è imparare a orientarsi per scegliere. Che cosa potrebbe essere la filosofia se non questo? Eppure questo non lo si sa a scuola, non lo si sa nelle università. Chiedersi se la filosofia sia utile o inutile, è un modo errato di porre la domanda e fuorviante. È come chiedersi se sia utile pensare. Da sempre pensiamo, non è un’opzione: è un modo in cui la nostra vita si dà. Lo possiamo fare bene o fare male, con successo o in maniera infruttuosa. In ogni caso ne va della nostra vita: educarci al pensiero è educarci a vivere. Che studiare il latino non sia la stessa cosa? Che si studino l’educazione e la formazione greche e romane proprio per questo? Per essere migliori? Possa iniziare a sorgerci un dubbio! Che gli studenti escano sempre meno educati e formati dalle scuole perché gli insegnanti non sanno più cosa stanno dicendo? Non è un gigantesco paradosso che si insegni a sapersi comportare e ci si lamenti che i giovani non sappiano comportarsi? Come se fosse qualcosa che non riguarda gli stessi insegnanti! Neppure si riesce a intravedere che lamentandosi della situazione della classe stanno puntado il dito contro loro stessi, perché quel che insegnano è inefficace, è, appunto, inutile. Nessuna riforma ci potrà salvare se non diamo spazio alle idee, ovvero a chi le idee le ha. Intese non come aritificio teorico, ma come migliore formula per comprendere noi stessi e la vita. Quando questo accadrà, allora, assieme alle parole, molte cose cambieranno: la teoria, la cultura, i valori non saranno più ornamenti esteriori di una vita stanca, ma il distillato migliore delle sue esperienze: ciò per cui vale la pena lottare.


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