Fiat mon amour

Per quanto mi sforzi di cercarla, non riesco proprio a trovare quella barzelletta sulle automobili FIAT, che recita piu’ o meno cosi’: “quante persone ci vogliono per montare una FIAT? Due, una taglia e l’altra incolla”, con evidente allusione alla scarsita’ del prodotto del nostro patrio costruttore d’auto. Eppure in questi giorni fiumi d’inchiostro e d’incenso sono sprecati per il novello conquistatore dell’America.

di Alberto Leoncini


Dopo Cristoforo Colombo, gli italiani conquistano il continente delle opportunità grazie a Marchionne, il demiurgo del rilancio FIAT, prendendo parte all’American Dream grazie alla debolezza della “piccola di Detroit”, come è stata definita Chrysler. Al di là di possibili paralleli con “l’imperialismo straccione” è forse necessaria una disamina su quanto sia avvenuto nelle ultime settimane. Improvvisamente la FIAT non è più l’impresa parassita parastatale, che gode del protezionismo italico e le cui vetture possono al massimo essere usate dalla casalinga di Voghera per fare la spesa alla COOP (ma c’è la COOP a Voghera? Mah…). E’ un’azienda leader per tecnologia e know-how, proiettata nel mondo dell’internazionalizzazione che, altro che multinazionale tascabile, gioca da pari a pari con i big dell’auto candidandosi a diventare uno degli interlocutori principali del settore. A mio avviso sono sbagliate sia le visioni della barzelletta, al di là dell’ironia ancora molto diffuse, sia quelle  trionfalistiche che emergono da tanti commentatori e analisti in questi giorni. Forse sarebbe bene compiere un’analisi più seria, motivata e complessiva sul ruolo della FIAT e sul significato che l’accordo con Chrysler implica.

Ciò mi sembra ancor più necessario se andiamo a valutare la situazione degli stabilimenti italiani del gruppo, che versano ormai da mesi in una preoccupante situazione di progressivo abbandono. Già lo scorso anno FIAT ha prodotto più auto in Polonia rispetto a tutti quelli italiani messi insieme (c’è da dire, a onor del vero, che in Polonia si costruiscono le macchine più piccole e meno costose, con margini di contribuzione e valore aggiunto più bassi,  ma già questo primo dato ha un indubbio significato sul piano della politica industriale specie perché Panda e 500 sono due modelli di punta nella gamma, ai quali il gruppo ha affidato il compito del rilancio), e la situazione di Pomigliano d’Arco, Termini Imerese, Cassino, Melfi, Mirafiori e dello stabilimento SEVEL in Val di Sangro, formano oggetto di cronaca pressoché quotidiana in ogni organo d’informazione. Senza poi menzionare le decine di imprese medio- piccole dell’indotto.

FIAT sicuramente ha compiuto un importante processo di rinnovamento, risanamento e rilancio dai tempi della crisi nera dell’inizio degli anni 2000, e di ciò gli italiani non possono che essere contenti, perché almeno non siamo usciti del tutto anche dal settore auto, che già oggi è per oltre il 70% in mani estere (avete letto bene, oltre due macchine su tre sono prodotte all’estero, a partire da quelle dei beneamati politici, va inoltre sottolineato che tale percentuale raggiunge sostanzialmente il 100% in certi segmenti come SUV, fuoristrada, cabrio..), ma ciò è stato possibile grazie a pesanti dismissioni di molti “gioielli di famiglia”, che hanno sì portato FIAT a focalizzarsi sul “core business” dell’auto ma hanno messo in mani straniere altri importanti pezzi di industria, inoltre una grossa mano è arrivata dalla pesante penale pagata da GM dopo essere venuta meno all’accordo con FIAT, che ha dato una bella boccata d’ossigeno alla cassa. Indubbiamente sono poi stati sfornati modelli di successo, dalla Panda alla Grande Punto, passando per il Doblò (vincitore del premio “van of the year”), Croma, Ipsilon… In modo assai lungimirante queste autovetture hanno puntato molto su sicurezza (molte certificate con le 5 stelle EuroNCAP) e riduzione delle emissioni. Il tutto poi è stato correlato da una efficace politica di “rebranding”, ossia di rinnovo, rimodernamento del marchio presso l’opinione pubblica che ha fatto perdere quell’immagine di brutti- sporchi- cattivi che si associava a FIAT. Dalle felpe di Lapo Elkann a Gianna Nannini e Vasco Rossi che hanno prestato le loro voci per gli spot…

Eppure non è tutto oro quel che luccica, perché l’impressione che si ha è quella di un gruppo che tiene il piede su due staffe: da un lato l’italianità, sfruttata abilmente dal punto di vista commerciale e dell’immagine anche presso le istituzioni, dall’altro un tentativo maldestramente coperto di sfuggire dal nostro paese con accordi, joint venture e licenze che portano FIAT a giocare in tutto il mondo…fuorché in Italia, salvo tornarci prudentemente per progettare e ideare, e per associare alla politica d’azienda  quanto di positivo il nostro paese può ancora dare. L’Alfa, se riuscisse a tornare negli USA, non è quella immortalata dal famoso film “Il laureato” che sfreccia sulle motorways d’oltreoceano con Simon and Garfunkel in sottofondo; sarà un’Alfa prodotta negli USA, in qualche stabilimento che non può più permettersi il lusso di produrre autovetture che per percorrere otto chilometri utilizzano un litro di propellente.

Sarà dunque una FIAT molto diversa quella che varcherà l’Atlantico, un gruppo che ancora non riesce a raggiungere il fantomatico traguardo di circa 6 milioni di autovetture prodotte indicato da Marchionne per  sopravvivere a questa crisi. Il piano delle alleanze dunque deve ancora essere completato cercando di non fare nel frattempo la fine della rana che vuol diventare bue… Altro gustoso particolare da tener presente è “l’entusiastica” accoglienza riguardo  un possibile ingresso in Opel da parte del mondo politico tedesco. Sempre per il famoso principio di libera concorrenza, che vale, evidentemente come rapporto di forza più che come criterio ordinatore delle relazioni economiche comunitarie, come già abbiamo avuto modo di vedere qualche mese fa con la reazione dei lavoratori inglesi in una raffineria oltremanica.

Ma torniamo a FIAT , che è stata in questi ultimi anni fautrice di significative innovazioni incrementali nel campo automobilistico, dalla tecnologia MultiJet al tettuccio della Ferrari California fino alla porta USB su Punto prima che scoppiasse la moda dell’mp3 in auto, e l’aspetto che credo possa giovare a tutto il nostro sistema paese di questo accordo è l’aver riportato al centro del dibattito politico-economico il settore auto e le sue problematiche, sperando che finalmente ci si convinca che il Nord-Ovest non possa sopravvivere solo con l’export del Barolo e degli amaretti. Con tutto il rispetto per i citati prodotti di cui sono un grande estimatore. Se FIAT è stata capace di proporsi come interlocutore per il rilancio di Chrysler, vuol dire che tanto “taglia- incolla” le macchine FIAT non lo erano, perché una tecnologia non si improvvisa ed è sempre frutto di una imprenditorialità che si sviluppa in tempi tutt’altro che brevi. E va anche ricordato che è l’unico gruppo automobilistico al mondo in grado di coprire con i propri marchi tutti i principali segmenti e fasce di prodotto, dalle utilitarie alle supercar, e questo è stato probabilmente uno degli elementi che ha giocato a favore della conclusione dell’accordo.

Altro discorso, parimenti non eludibile, è quello sulla sostenibilità del trasporto auto perché qualora vi fosse la tanto auspicata ripresa, sulla quale permango comunque scettico, il prezzo del petrolio potrebbe ritornare senza grosse sorprese su quotazioni attorno ai 90 dollari/barile e ciò tornerebbe ad inibire il mercato dell’auto. Risulta non procrastinabile, oggi più che mai, una politica nazionale del settore che permetta di supportare da un lato il ruolo internazionale di FIAT senza compromettere gli stabilimenti e le attività presenti nel nostro paese riconvertendole verso i settori del “verde”, che ormai sembra la strada segnata per tutte le economie che vogliano rimanere competitive in un’ottica di medio- lungo termine. Non possiamo permetterci di perdere l’indubbia opportunità di essere arrivati per primi a trovare una collocazione nuova e inedita, finanche non definitiva, per il nostro produttore di automobili ma bisogna tener presente che la vera sfida sotto il profilo ambientale, occupazionale e, perché no, della redditività è solo a pagina uno…

Alberto Leoncini

albertoleoncini AT libero.it

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