Malati, affamati, spaventati: le condizioni di vita dei profughi ugandesi

Nei campi profughi del Nord dell”Uganda si soffre e si muore: la crisi umanitaria è grave e sono necessari interventi rapidi ed efficaci per migliorare al più presto la situazione. L”appello viene da Medecins Sans Frontiere, che ha reso noti a novembre i risultati di uno studio realizzato nei campi profughi di Pader e Lira [Valeria Confalonieri – Peacereporter].


Il Nord dell”Uganda è stato devastato da un conflitto interno per oltre un anno e mezzo, più di un milione e mezzo di persone vivono tutt”ora lontano dalle proprie case e dalle proprie terre e continuano a vivere in quella che è stata descritta come una delle emergenze umanitarie peggiori nel mondo. Nonostante questo titolo, e la recente attenzione internazionale, l”assistenza alla popolazione rimane inadeguata si legge nel rapporto.

Sottolinea Monica de Castellarnau, capo missione dell”organizzazione nell”Uganda del Nord: L”entità delle sofferenze è spaventosa e la situazione rimane critica. Non solo le persone vivono in un costante clima di insicurezza, ma sono anche prive dell”accesso all”acqua potabile, al cibo, all”assistenza medica. I nostri risultati descrivono una situazione al di sopra della soglia di emergenza. Stiamo facendo tutto il possibile, ma c”è bisogno di un impegno maggiore da parte di tutti.

Troppe morti evitabili. A ottobre lo staff olandese di Medecins Sans Frontiere ha verificato le condizioni di vita, e di morte, in sei campi profughi, cinque della zona di Lira e uno a Pader, per un totale di quasi 900 gruppi familiari. Su questo campione è stato rilevato che si verificano quasi tre morti al giorno (2,8 a essere precisi) ogni 10.000 persone, quando la soglia considerata di emergenza è 2. I numeri salgono sotto i cinque anni, fascia di età ancora più vulnerabile alle difficili condizioni di vita degli sfollati: ogni giorno muoiono 5,4 bambini su 10.000, e in alcune zone i morti sono addirittura più di dieci. La situazione è ancora più preoccupante se si considera che i campi visitati sono ormai in uso da almeno undici mesi, e nonostante questo le persone continuano a morire per malattie che possono essere prevenute si legge nel resoconto.
 
Un metro quadro a testa. In questi sei campi Medecins Sans Frontiere presta la propria opera; quindi in altre zone, dove l”assistenza è minore, la situazione potrebbe essere anche più drammatica.

E” anche vero che l”organizzazione umanitaria ha scelto di operare in queste zone proprio perché presentavano le condizioni di vita più difficili: quindi, per certi versi, la mortalità alta riscontrata non ha del tutto stupito i ricercatori, che purtroppo se l”aspettavano.

Le condizioni di vita nel campo comportano diversi rischi. Prima di tutto il sovraffollamento, che favorisce il diffondersi di epidemie: ogni persona ha a disposizione uno spazio vitale di un metro quadro, a fronte di un minimo sotto il quale non bisognerebbe scendere di tre metri quadri e mezzo. Fra le cause di morte e di malattia primeggia la malaria, seguita a distanza dalle malattie respiratorie e dalla diarrea.

Mancano cibo e acqua. Una delle maggiori preoccupazioni dei capo famiglia, che sono soprattutto donne, è il cibo, tanto che spesso la cura dei figli malati viene messa al secondo posto. Infatti, per il 70 per cento degli intervistati la mancanza di cibo e la fame sono indicati come l”aspetto peggiore della vita nel campo.

A Lira la metà del fabbisogno calorico giornaliero viene raggiunta con la distribuzione mensile di razioni alimentari; in alcuni campi però tale distribuzione avviene solo ogni due mesi, e quindi copre solo un quarto dellle necessità alimentari. A Pader la situazione è migliore, poiché il World Food Programme ha recentemente aumentato l”apporto calorico delle razioni alimentari all”80 per cento, vista la difficoltà degli sfollati a procurarsi direttamente il cibo coltivando la terra.

L”acqua rappresenta l”altra grande difficoltà della vita nei campi: il 21 per cento delle persone contattate si procura questo bene prezioso da fonti non sicure e la sua raccolta occupa buona parte del tempo degli abitanti dei campi. La quota giornaliera di acqua a disposizione è meno della metà del minimo necessario e anche la situazione delle latrine è carente.

Traumatizzati e depressi. Aspetti igienico-sanitari a parte, oltre la metà degli sfollati non si sente sicura all”interno del campo e il carico psicologico degli eventi vissuti condiziona pesantemente la vita dei profughi.

Secondo un'altra inchiesta svolta a Pader, quasi tutti gli intervistati (poco meno di 500 persone) avevano vissuto momenti traumatici: Il 63 per cento ha citato la scomparsa o il rapimento di familiari a causa dei ribelli, il 79 per cento ha assistito a torture e il 40 per cento è stato testimone di uccisioni si legge sul comunicato di Medici Senza Frontiere. Non solo, il 5 per cento è stato anche costretto a usare violenza nei confronti di altre persone e sei donne su dieci fra le intervistate sarebbero propense a togliersi la vita. 

Valeria Confalonieri

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