Nelle mani del Nord il destino dei poveri


JOHANNESBURG – Migliaia di delegati, un investimento in dibattiti da
decine di milioni di dollari, per ascoltare a Johannesburg bei discorsi
sull’effetto serra e lo sviluppo sostenibile che si scontrano con un
mondo contraddittorio dove gli interessi degli uni sono in conflitto
con gli imperativi degli altri. I Paesi ricchi discutono su come
ridurre l’inquinamento, con la superpotenza americana – maggiore
produttore al mondo di anidride carbonica [22,5% delle emissioni] – che
non ha nessuna voglia di rimettere in causa la sua politica energetica.
I Paesi poveri seguiranno questo appassionante dibattito ma anche loro
senza crederci troppo. Questo circo della diplomazia internazionale,
delle Ong, dei dibattiti, dei Forum, di global e anti-global, che
comunque mangiano, bevono e dormono tutti i giorni, è un lusso che i
poveri veri non si possono permettere. Il Summit mondiale sullo
sviluppo sostenibile è iniziato ieri a Johannesburg, con un forte
appello del presidente sudafricano Thabo Mbeki a superare le divisioni
tra poveri e ricchi e mettere fine «al principio selvaggio della
sopravvivenza del più forte». Ma lo schema è sempre lo stesso. Un Nord
del mondo iper-sviluppato tenta di convincere un Sud che affoga nella
miseria a rinunciare al sogno dello sviluppo. Nel Terzo Mondo la
questione ambientalista è ancora percepita come una merce
d’importazione che auspica la fine dell’inquinamento da automobili, la
creazione di spazi verdi e il mantenimento di foreste, la protezione di
specie animali minacciate. Non che questi problemi in Africa e in Asia
non esistano ma in termini globali la nascita di uno statunitense ha un
impatto maggiore sullo strato di ozono, sul riscaldamento climatico
globale e su altri elementi dell’ambiente terrestre, di quello di
dozzine di indiani e cittadini dello Zimbabwe messi insieme. àˆ chiaro
che la bomba demografica del Terzo Mondo preoccupa, soprattutto se
accompagnata dallo sviluppo economico di cinesi, indiani e popolazioni
africane che consumeranno molto di più e costituiranno una minaccia per
l’ambiente simile a quella rappresentata oggi dai cittadini dei Paesi
ricchi. Questi però sono problemi che avranno un impatto nel lungo
periodo. Sul breve le cose stanno diversamente. Le considerazioni
giuste e ammirevoli sul futuro della Terra e l’ambiente devono fare i
conti con una realtà ineludibile. Perché qui, su questa Terra, ci sono
delle priorità . L’inquinamento atmosferico non è la preoccupazione
principale delle masse africane che stanno ore ad aspettare l’ipotetico
passaggio di un autobus che arriverà sempre in ritardo e
superaffollato. La domanda è questa: come si può pensare al domani, al
futuro, se già manca tutto oggi? Perché le nazioni del Sud del mondo
facciano dell’ambiente un asse della loro politica è necessario che
questi discorsi, quasi sempre precipitati dal Nord sulle loro teste,
non appaiano appunto come un lusso che non si possono assolutamente
permettere. Ma di cosa si sta parlando davvero a Johannesburg? Del
futuro della Terra, di salute mondiale, di politiche demografiche, di
ambiente? No, si parla soprattutto di soldi. «Le questioni finanziarie
e commerciali – informa il segretario del vertice, Nitin Desai –
rappresentano la gran parte dei problemi sui cui non si è trovato
ancora un accordo: si tratta di passaggi cruciali per attuare uno
sviluppo sostenibile». Questa è la vera novità rispetto al vertice
sulla Terra di Rio del ’92: l’aspetto economico è diventato centrale.
Non solo si discute di commercio internazionale, Wto, imprese
multinazionali, ma il mondo del business, rappresentato dai grandi
gruppi, a Johannesburg costituisce uno dei partner, insieme a Governi,
Ngo e istituzioni, con cui attuare gli accordi, se ci saranno. I
ricchi, Stati Uniti in testa, non hanno nessuna intenzione di
rinunciare ai loro interessi: per esempio a erogare 350 miliardi di
dollari l’anno di sussidi per sovvenzionare gli agricoltori e i
prodotti a basso prezzo di un’industria alimentare che sta invadendo i
mercati del Terzo Mondo. I poveri, o per meglio dire i loro leader,
sovente esponenti di sistemi corrotti e autocratici, se non dispotici,
non vogliono impegnarsi ad accogliere la richiesta americana di una
dichiarazione ferma sulla lotta alla corruzione. Ma anche gli europei,
che sulla riduzione della povertà e gli interessi globali del Pianeta
sembrano di più ampie vedute rispetto agli americani, non sono
entusiasti all’idea di aumentare gli aiuti allo sviluppo in progetti e
proposte dall’irrazionalità insostenibile. Gli aiuti allo sviluppo dei
Paesi ricchi nell’ultimo decennio sono scesi in media dallo 0,33% del
Pil allo 0,22 per cento, sotto l’obiettivo dello 0,7% concordato
nel ’92 a Rio. Di questo si discute a Johannesburg e su come
distribuire tra i partner – istituzioni, governi, Ong, imprese – una
fetta più grande della torta degli aiuti. I soldi fanno litigare ma
mettono anche d’accordo: saranno loro, non lo stato di salute della
Terra, la misura del fallimento e del successo di questo vertice.

Alberto Negri [Il Sole 24 ore]

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