Lo sviluppo? Ma se è già ‘insostenibile’ ora…


A PROPOSITO DI JOHANNESBURG.
Non mi appassiona per nulla il summit di Johannesburg. Già il titolo centrato sullo ‘Sviluppo sostenibile’ è di un’ipocrisia insostenibile. Non esiste alcun ‘sviluppo sostenibile’, lo sviluppo è insostenibile già ora e
qualsiasi suo aumento, non importa con quali tecnologie, non importa con quali fonti di energia foss’anche con quelle, mitiche ‘pulite’ [perché
quando se ne fa uso di massa nessuna fonte di energia è pulita] avrebbe effetti ulteriormente devastanti.
Parimenti ipocrita, anzi contradditorio fino all’idiozia, è legare il miglioramento delle condizioni ambientali al miglioramento delle condizioni dei popoli del Terzo Mondo, aiutandoli ad essere meno poveri. Se questi
popoli, detti ipocritamente ‘in via di sviluppo’, si sviluppassero sul serio, se cinque miliardi di persone arrivassero non ai nostri standard ma alla metà della metà , il pianeta crollerebbe sotto il proprio peso, visto
che cosa sono riusciti a combinare ottocento milioni di cretini industrializzati.
E’ inutile girarci intorno: il problema si risolve – se si vuole risolverlo – solo riducendo drasticamente il nostro sviluppo [e magari distribuendo meglio, all’interno del mondo occidentale, la ricchezza così rimasta] e convincendo i popoli del Terzo Mondo a non adottare i nostri stili di vita e, meglio ancora, lasciandoli al loro destino che non potrà mai essere tanto atroce quanto quello che gli ha procurato la globalizzazione economica.
Ma l’Occidente industriale a questo non pensa affatto. Al contrario, se si imbatte per caso in un Paese che non vuole svilupparsi [poniamo l’Afghanistan
del mullah Omar] lo si spiana con le bombe per potergli vendere musicassette, videocassette, Rayban, pile, Coca cola e democrazia. Perché uno sviluppo come
quello occidentale, basato sulle crescite esponenziali, oltre che di incrementare i propri mercati, ormai saturi, ha necessità assoluta di conquistarne di continuo dei nuovi [a chi vendere le nostre automobili se
non all’Afganistan, all’Uzbehistan e al Burkina Faso?] per non implodere o si abbandona l’attuale, demenziale,modello di sviluppo o non c’è
niente da dire. Tutto il resto, per dirla col Cesare Pavese dei Diari, ‘non son che balle, luride balle’.

Articolo di Massimo Fini tratto da:
‘Il Giorno’ Editoriale – Lunedì 26 Agosto 2002

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