La London School of Economics: il TTIP è DELETERIO

La buona notizia: subito dopo la visita di Obama che ha ordinato di non uscire dall’Europa, il numero degli inglesi che voteranno il Brexit è diventato maggioranza. E’ la prima volta, secondo i sondaggi. Ma non è tutto ‘merito’ del mezzo-kenyota (come l’ha chiamato il sindaco della capitale Boris Johnson). E’ che è ora pubblico il rapporto della London School of Economics sugli effetti del TTIP, il trattato transatlantico. Lo studio l’aveva commissionato Cameron, sperando di trovarvi argomenti per la sua propaganda atlantista. Dopo averlo letto, l’ha secretato. E’ stato costretto a rilasciarlo in base al Freedom Of Information Act (un tipo di legge sulla libertà d’informazione che in Italia non esiste) su istanza giudiziaria di Global Justice Now, un gruppo di cittadini attivi.

 
a London School (LSE) è una storica università imperiale, una delle centrali dell’ortodossia liberale, ovviamente pro-governativa, mica un sito alternativo. Ebbene: la sua valutazione del TTIP è devastante. Per il Regno Unito, dice chiaro, l’introduzione del Trattato transatlantico “configura moltissimi rischi e quasi nessun beneficio“.
 
L’istituto – che è una voce autorevolissima – punta il dito specificamente sulle camere arbitrali, i tribunali (privati e segreti) istituiti dal Trattato, davanti a cui le multinazionali possono trascinare gli Stati, protestando che certe leggi ostacolano il suo business, e quindi la libera concorrenza. Fra gli esempi, il LSE ne ricorda alcuni: l’Australia querelata dalla Philip Morris per aver imposto per legge pacchetti anonimi; la Philip Morris che denuncia l’Uruguay per aver questo stato messo un annuncio del tipo “Il fumo danneggia la salute” sui pacchetti.
 
Esempi più sinistri ancora: l’Argentina denunciata e condannata per avere bloccato i prezzi delle bollette elettriche, a protezione dei cittadini consumatori, durante il tragico collasso economico. La Veolia, la multinazionale francese che gestisce i servizi di acqua, energia e nettezza pubblica, la quale ha avuto lo stomaco di denunciare l’Egitto per aver introdotto il salario minimo, cosa che secondo la ditta la danneggia.
 
Non potrebbe essere più chiaro: non è capitalismo, è il ritorno alla legge della giungla.
 
Il Regno Unito, che nonostante il suo liberismo mantiene una legislazione sociale robusta, si troverebbe in modo permanente sul banco degli accusati, soggetto a multe e punizioni e obbligato a cambiare punti essenziali del diritto. “C’è motivo – dice la LSE – di aspettarsi che il trattato UE-USA imporrà costi significativi al governo. Basandoci sull’esperienza del Canada nel NAFTA [il trattato pan-americano gemello del TTIP], ci dobbiamo attendere che le clausole di “protezione dell’investitore” [del TTIP] saranno regolarmente invocate da investitori USA per atti del governo del Regno che di norma non sono contestabili secondo il diritto nazionale”. Per cui, continua l’Istituto con tipico understatement, “si ha poco motivo di ritenere che [il Trattato] darà al Regno Unito benefici di qualche significato”.
 
Né vantaggi economici, né politici. A questo punto bisogna chiedersi perché i “nostri” governanti europei, quelli che in qualche modo abbiamo eletto a rappresentarci, stiano ancora operando sottobanco – in combutta con Bruxelles – per ingabbiarci nel TTIP.
 

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