Nelle mani dei contadini


(Fonte: http://comune-info.net)
Le imprese transnazionali sono sempre piu’ concentrate verso la conquista della biomassa. Si comportano come veri «bio padroni», dice Pat Mooney, docente universitario canadese, da anni accanto ai movimenti globali nella lotta contro la brevettazione e la privatizzazione della biodiversita’. Con il consenso dei governi, inclusi quelli dei paesi «emergenti», come il Brasile, le imprese lavorano per individuare i metodi scientifici che consentono di trasformare le ultime risorse del pianeta in materiale di consumo. Il fumo creato con la green economy e le nano-tecnologie ha stordito e illuso tanti e arricchito alcuni, non certo i contadini che attraverso il loro lavoro quotidiano e le loro organizzazioni continuano a produrre, anche se nesso uno lo dice, il 70 del cibo che mangiamo. Il loro potere diffuso e la loro ostinazione restano enormi. Per altro, gran parte dei contadini rifiutano di essere al soldo dell’agricoltura industriale e non usano prodotti chimici nei campi per scelta e percheÌ non se li possono permettere. Se vogliamo sopravvivere ai cambiamenti climatici e garantire cibo buono e sano a tutti, dobbiamo soltanto permettere a quei  contadini e a quelle contadine di restare i custodi della biodiversita’.

intervista a Pat Mooney di Monica Di Sisto e Alberto Zoratti*

Pat Mooney eÌEuro un veterano delle lotte per l’ambiente, e il primo ad aver compreso a fondo la connessione tra agricoltura e riscaldamento globale. EÌEuro presidente dell’ETC (Erosion, Te-chnology and Concentration) Group di Ottawa ed eÌEuro stato insignito nel 1985 del Right Livelihood Award (il premio Nobel alternativo) per le sue tesi contro la brevettazione e la privatizzazione della biodiversitaÌEuro. Ha partecipato nel 1992 alla prima edizione del vertice delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, a Rio de Janeiro, e giaÌEuro contestava con forza l’invadenza della logica istituzionale del business-as-usualche si nascondeva tra le pieghe del nuovo paradigma di sviluppo, con l’istituzionalizzazione delle prime alternative immaginate al sistema capitalista. E fu anche tra i primi a criticare l’abbraccio mortale tra le multinazionali e la societaÌEuro civile nel nome del green washing. Nel 2012, vent’anni dopo, ha partecipato a Rio+20, ed ha levato alta la voce su quella che definisce, senza timori, «la vetrina delle multinazionali padrone del cibo, con la complicitaÌEuro e il silenzio di molta parte delle ONG ambientaliste storiche».

Quali erano le sue aspettative sul vertice di Rio+20?

GiaÌEuro sapevamo che Rio+20 non sarebbe stato un successo, a meno che non volessimo credere alle favole, ma siamo anche consapevoli che finalmente, 20 anni dopo la prima edizione, i movimenti e la societaÌEuro civile erano ben informati e lucidi rispetto alla vera direzione che avrebbero assunto i negoziati ufficiali. Nel 1992 parlavamo di bio-pirateria e di neo-colonialismo ed eravamo presi per pazzi visionari, tacciati di catastrofismo. Oggi, al contrario, eÌEuro sempre piuÌEuro chiaro che gli obiettivi su cui le multinazionali sono concentrate e spingono i governi a dirigersi sono la conquista della biomassa, di tutto il vivente. Si comportano come veri e propri bio padroni: grandi multinazionali che con la complicitaÌEuro dei governi lavorano alacremente per individuare e raffinare i metodi scientifici che gli consentono di trasformare le ultime risorse del pianeta in materiale di consumo: da materiale edile a cibo, a combustibile e carburante.

Lei eÌEuro molto critico anche sul ruolo dei Paesi emergenti.

Non si puoÌEuro non esserlo: lo stesso Brasile che ha ospitato il Vertice sta conducendo una politica ambigua sull’utilizzo delle terre con un approccio industrialista. Basti pensare che a Rio gli autobus utilizzati per trasportare i delegati tra i vari padiglioni erano alimentati da agro carburanti. Li usano per dimostrare l’eco compatibilitaÌEuro del loro sviluppo. Purtroppo la stessa idea del bio eÌEuro diventata una grande mistificazione: sembra che arricchito da questo suffisso tutto diventi immediatamente buono e sano. Non eÌEuro cosiÌEuro. La stessa agricoltura biologica, quando prodotta in modo intensivo, eÌEuro in realtaÌEuro molto impattante. L’agricoltura intensiva porta all’accaparramento delle terre nei Paesi del Sud del mondo, facendoci credere che il loro utilizzo da parte di grandi aziende o di governi stranieri serva a sfamare le persone, a dare posti di lavoro occupando solo terre incolte e non utilizzate. Non eÌEuro cosiÌEuro. I terreni sfruttati non sono mai incolti, servono alla sovranitaÌEuro alimentare delle comunitaÌEuro che vi abitano, e sono ricchi di acqua. Non esiste land grabbingsenza water grabbing. Si dovrebbe invece ripartire da qui e sostenere la piccola agricoltura familiare per salvare questa terra, queste popolazioni e il diritto al cibo.

Si eÌEuro parlato molto di green economy come risposta alla crisi: eÌEuro d’accordo?

Nel 1992 la nostra grande preoccupazione era rivolta alla bio-pirateria e a quelli che chiamavamo, appunto, bio pirati. Ora dobbiamo tenere d’occhio i nuovi bio padroni, percheÌ non sono piuÌEuro pirati: sono i nuovi veri padroni riconosciuti e indiscussi dell’ordine globale. Nel 1992 si erano appropriati e avevano immesso sul mercato una quota di biodiversitaÌEuro che valeva circa il 23,8% del totale della diversitaÌEuro biologica. Arrivati a Rio abbiamo dovuto constatare che stanno per controllare anche il rimanente 76,2% della biomassa globale non ancora sul mercato. Questa operazione la potremmo definire: finanziarizzazione della natura attraverso la green economy. EÌEuro cioÌEuro a cui puntano e dobbiamo ammettere che hanno giaÌEuro fatto molta strada in questa direzione, molta di piuÌEuro di quanto ci aspettassimo. Mi somigliano molto, parlano inglese come me, hanno la mia pelle e il mio tipo di retroterra: sono i vecchi, cattivi poteri coloniali mascherati da innovazione tecnologica. E per fronteggiarli, purtroppo, i G77, il blocco dei Paesi emergenti e di quelli piuÌEuro poveri cui guardiamo comunque con speranza, dovrebbero unirsi per resistere, visto che i loro territori sono i piuÌEuro ricchi in biodiversitaÌEuro. Purtroppo, i veri vincitori, almeno in questo momento, sembrano essere proprio i capitali privati che sono riusciti a imporre questo processo di capitalizzazione della natura molto piuÌEuro di quanto ci saremmo aspettati.

Il mantra che si accompagna alla fiducia nella green economy eÌEuro quello nella nostra enorme capacitaÌEuro tecnologica: anche lei eÌEuro cosiÌEuro fiducioso a riguardo?

La convinzione che le nuove tecnologie risolveranno i problemi ambientali e sociali del pianeta ha, potremmo dire, dominato gli ultimi anni dei negoziati delle Nazioni unite che hanno portato al Summita’ Rio+20 in Brasile nel giugno dello scorso anno. Anche la stessa menzione del concetto di nuove tecnologie ha affollato il testo dei negoziati e lo ha decorato in ogni sua parte. Il messaggio che volevano affermare con questa operazione era: «Noi decisori politici non dobbiamo neanche fare piuÌEuro lo sforzo di elaborare politiche e strategie: l’unica cosa che dobbiamo fare eÌEuro lasciare che le tecnologie risolvano tutti i problemi al nostro posto». E questa eÌEuro pura follia: le tecnologie ridotte alla scala di nano-tecnologie hanno infuso nella gente la convinzione che, insieme, biotecnologie, genomica, nanotecnologia e biologia di sintesi possono salvare da gravi crisi planetarie come le crisi alimentari, le pandemie, i limiti alla crescita e il picco petrolifero. Riconosco, in effetti, che l’avanzamento tecnologico puoÌEuro contribuire a risolvere alcune particolari situazioni, ma quello del trasferimento tecnologico dai Paesi sviluppati ai Paesi meno avanzati eÌEuro un tema che eÌEuro stato al centro del dibattito fin dal primo Summita’ del 1992, ed eÌEuro un fallimento percheÌ eÌEuro sin da allora che se ne discute e non se ne eÌEuro fatto un bel niente. Non dobbiamo porci, a livello di Nazioni Unite, solo il problema del know how, ma anche del know whate del know why. Se le Nazioni Unite non hanno un sistema efficace di valutazione delle tecnologie che sappia dirci con certezza se ha un senso fare un certo investimento tecnologico che non sia quello semplicemente economico-finanziario, allora c’eÌEuro qualcosa che non va. Probabilmente stiamo andando nella direzione sbagliata, oltretutto nel modo piuÌEuro dispendioso che si possa immaginare.

Mooney2547a Questa fiducia cieca nella tecnologia e nell’industria sta indebolendo anche la nostra capacitaÌEuro di avere a disposizione abbastanza cibo per tutti?

Se vogliamo sopravvivere ai cambiamenti climatici, dobbiamo adottare politiche che consentano che i contadini diversifichino le varietaÌEuro vegetali e animali nel nostro menu. Solo loro hanno il know howe la pazienza di scoprire quali piante e quali specie animali da allevamento sopravvivranno. Abbiamo bisogno, per avere questo, di un radicale cambiamento nel meccanismo normativo. CosiÌEuro come in campo ambientale, anche in agricoltura coltiviamo la convinzione che la tecnologia sia in grado di soddisfare le nostre future esigenze alimentari. Negando oltretutto il pesante contributo che l’agricoltura industriale ha dato alla crisi ecologica e alimentare che stiamo subendo. In questo momento, con i cambiamenti climatici, l’insicurezza alimentare del Sud del mondo si eÌEuro trasformata in una sfida globale condivisa. Anche i Paesi ricchi di terre potranno non avere abbastanza risorse di tempo, acqua e altro per nutrirsi a sufficienza nel 2050. Ai decisori politici sono convenzionalmente offerte due opzioni: la catena alimentare industriale high-tech in gran parte vista come iper-produttiva ed efficiente; oppure la rete agro-ecologica alimentare delicata e semiclandestina.

Ma eÌEuro davvero questa la realtaÌEuro? Sospesa tra il supermercato del cibo finto e il contadino del secolo scorso?

Assolutamente no. Noi siamo in una crisi alimentare comune e continuativa. Il fatto eÌEuro che non conosciamo quasi per nulla la terra e i suoi percheÌ, altrimenti saremmo consapevoli a tutti i livelli che sono loro i depositari delle politiche e pratiche piuÌEuro efficaci. Basti pensare che i contadini riescono, attraverso il loro lavoro quotidiano e le loro organizzazioni con le quali si aiutano e si sostengono, a produrre almeno il 70% del cibo che mangiamo tutti i giorni. Il ciclo alimentare passa principalmente dalle loro mani, invisibili ai dati ufficiali che risultano per questo poco aggiornati, cosiÌEuro come la stessa immagine che le istituzioni offrono di questa realtaÌEuro. Un esempio: il calcolo ufficiale delle aziende agricole esclude la caccia, la raccolta, la pesca e la produzione agricola urbana. EÌEuro con questi dati che si arriva a un comodo 70% che potremmo sfidare chiunque a smentire. La produzione contadina, in piuÌEuro, per circa il 60% del totale non usa prodotti chimici industriali nel campo percheÌ non se li puoÌEuro permettere. Questo la sottrae a logiche industrialiste fin dalla base della coltivazione, e quindi da una trappola di mercato assai insidiosa. Dobbiamo poi considerare che circa un terzo del cibo prodotto nelle filiere industriali va perduto durante la produzione, il trasporto, la trasformazione o marcisce nei frigoriferi. Se a questo si somma quanto del nostro cibo finisce a nutrire animali da allevamento o automobili, la fotografia eÌEuro chiara. E c’eÌEuro di piuÌEuro: l’OCSE ha verificato che nei Paesi dell’area, e in misura crescente nel Sud del mondo, circa un quarto delle calorie consumate eÌEuro sprecato percheÌ non necessario, contribuendo al contrario all’obesitaÌEuro diffusa. Tutti questi argomenti dimostrano in modo secondo me incontrovertibile l’inefficienza delle catene alimentari industriali. Possono forse nutrire gli abitanti dei Paesi industrializzati, ma davvero poco tutti gli altri: si fermano a un 30% dei nostri bisogni, una percentuale davvero esigua per essere usata, come oggi succede, come parametro di riferimento per tutte le politiche alimentari.

Chi sono i contadini globali, allora?

I contadini portano in tavola risorse uniche e hanno bisogno di aiuto per dimostrarlo e farlo sapere. Nel corso dei primi cento anni dell’era coloniale, senza treni, telegrafi, figuriamoci twitter, i contadini hanno adattato il mais dei Maya praticamente a ogni regione agricola dell’Africa, mentre i contadini in Asia hanno fatto lo stesso con le patate dolci. I contadini schiavi si sono portati con seÌ almeno 50 varietaÌEuro di sementi al momento di essere deportati in America. Questo tesoro precolombiano eÌEuro stato preceduto da un trasferimento arabo, e ancora prima lungo la via della Seta specie animali e vegetali transitavano da e per l’Eurasia e l’Africa. Solo piuÌEuro di recente, nel 1849, gli Stati Uniti cominciarono a esportare gratuitamente pacchetti di semi sperimentali a coloni per cominciare a coltivare nel Mississippi occidentale. Fino al 1897 oltre 20 milioni di pacchetti di semi sperimentali sono stati spediti ai coloni ogni anno. Questa sperimentazione cosiÌEuro di successo finiÌEuro solo alla fine degli anni Venti, quando le imprese sementiere compresero che la distribuzione pubblica stava interferendo coi loro affari privati.

Questa eÌEuro la storia. Ma oggi?

Per rispondere ai cambiamenti climatici abbiamo bisogno di introdurre ancora una volta questi tipi di scambi di semi. Negli ultimi sessant’anni i contadini hanno donato circa due milioni di varietaÌEuro di piante coltivate localmente alle piuÌEuro grandi banche genetiche. I contadini sono anche gli allevatori e i custodi di oltre 8 mila varietaÌEuro di alimenti per animali da allevamento di 40 specie. Le banche genetiche, come prioritaÌEuro politica, devono moltiplicare le varietaÌEuro agricole e renderle disponibili gratuitamente alle organizzazioni contadine che ne facessero richiesta. Se vogliamo sopravvivere ai cambiamenti climatici, dobbiamo adottare politiche che permettano ai contadini di continuare come in passato a diversificare le piante e gli animali, le loro specie e la loro alimentazione. Per questo i fondi ci sono: potrebbero essere stanziati sia dalla FAO, sia dalla CBD, la Convenzione ONU sulla biodiversitaÌEuro. Le uniche persone con l’esperienza e la pazienza di sperimentare colture e tipi di bestiame sono i contadini. Sostenere i contadini richiederaÌEuro un cambiamento fondamentale nel meccanismo di regolamentazione, compresi i regimi di proprietaÌEuro intellettuale, in modo che possano scambiare e sviluppare semi e razze tra di loro in tutto il mondo. Il resto di noi ha una grande necessitaÌEuro di stringersi attorno alla catena alimentare per vedere come possiamo collaborare. Grazie alle tecnologie di telefonia cellulare sparse in tutti i continenti, la nostra capacitaÌEuro collettiva di scambio di informazioni rende possibile per tutti noi stare al passo con l’energia innovativa dei contadini.

In questo scenario cosiÌEuro complesso e davanti a sfide cosiÌEuro importanti, quali indicazioni possono essere utili alla politica?

Il primo principio in caso di crisi non eÌEuro fare confusione tra cioÌEuro che effettivamente funziona e cioÌEuro che eÌEuro inutile. Il secondo principio eÌEuro di essere guidati da coloro che piuÌEuro subiscono questa situazione: i contadini. Sono le persone che coltivano il cibo e hanno l’accesso alla biodiversitaÌEuro grazie alla quale potremmo sopravvivere alle sfide future. Questo eÌEuro il motivo per cui la recente riforma delle Nazioni Unite e della FAO e l’introduzione della Commissione per la sicurezza alimentare mondiale (CFS) sta diventando cosiÌEuro importante. Non solo abbiamo tutti i governi e le agenzie multilaterali attorno al tavolo del CFS, ma ci sono anche la societaÌEuro civile organizzata e i movimenti contadini. L’unica cosa che i contadini non possono fare eÌEuro votare. Un’ultima buona notizia eÌEuro che la societaÌEuro civile, qualunque negoziato seguiraÌEuro dentro e fuori delle Nazioni Unite, saraÌEuro piuÌEuro forte e consapevole di quanto lo fosse a Rio de Janeiro nel 1992, si opporraÌEuro alla mercificazione del vivente e dei Beni Comuni e allo sfruttamento dei Paesi del Sud del mondo, nuovamente meta di saccheggio. Ci saremo sempre, con argomentazioni forti e non solo con proteste e generiche accuse. SaraÌEuro difficile, d’ora in poi, ignorarci.

 

Monica Di Sisto e Alberto Zoratti, tra i fondatori e redattori di Comune-info, hanno collaborato all’edizione del «Rapporto sui diritti globali 2013» (Ediesse). Questa intervista e’ parte di quel Rapporto, dove e’ stata pubblicata con il titolo originario: «I contadini, custodi della biodiversitaÌEuro contro i bio padroni». Sul Rapporto promosso da Cgil, Antigone, Arci, Cnca, Sbilanciamoci! e altri, dal titolo «Il mondo al tempo dell’austerity», leggi anche questo articolo di Sergio Segio: «La rottura dell’uguaglianza».

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In questo articolo di Repubblica, Carlo Petrini, fondatore di Slow food, ragiona della riscoperta dell’agricoltura. Scrive Petrini: «Come giustamente titolava un sito di settore qualche giorno fa, e’ ora di salire in agricoltura». Quel sito e’ Comune-info. In link all’articolo in questione e’ segnalato in questo articolo

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(Tratto da: http://comune-info.net)

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