L’ultimo canto del Gallo, prete eccentrico e generoso

(Fonte: Inviatospeciale.com/)

I suoi ragazzi lo chiamavano semplicemente cosi, “il Gallo”. Poco importava fosse un prete, d’altra parte la sua immagine (pubblica e non) non corrispondeva certo allo stereotipo del sacerdote di santa madre chiesa.

In questo senso la vignetta di Chiara (giovane e acuta ritrattista, genovese come lui) e’ piu’ efficace di tante parole ampollose, quelle sempre pronte quando si tratta di glorificare davanti alla bara personaggi detestati fino a poche ore prima.

Di certo Andrea Gallo, che ci ha lasciato all’eta’ di 85 anni, non era gradito ai bigotti ecclesiastici, alle conventicole (di base piu’ che di vertice) impegnate ossessivamente a mostrare al mondo il loro anacronismo ricorrendo a formule, usi e costumi medievali; ma sbaglierebbe chi pensasse che il fondatore della comunita’ di San Benedetto al Porto sia stato inviso alle gerarchie.

Gallo aveva vantato un buon rapporto personale con lo storico vescovo della Lanterna, il cardinal Siri, che dall’alto della sua scuola teologico-pastorale di stampo rigorosamente conservatore ne ammirava il coraggio e lo considerava un uomo capace e attento alle esigenze degli ultimi. Se e’ pur vero che alla fine degli anni 60 sconto’ le sue opinioni con alcuni trasferimenti sgraditi, non si puo’ sostenere a ragion veduta che la comunita’ di base che il Gallo ha guidato per quarant’anni sia stata osteggiata dall’alto.

Anche tutti i successori del vecchio porporato (fino a Tarcisio Bertone e Angelo Bagnasco, gli ultimi due vescovi della citta’, oltretutto molto rappresentativi nella Curia vaticana) avevano prontamente imparato a rispettarne l’eccentrica declinazione dell’esercizio pastorale. Tanto e’ vero che in sessantacinque anni di sacerdozio don Gallo non e’ mai stato sospeso a divinis a causa di modi di agire che definire eterodossi appare un eufemismo: dai profilattici consegnati alle prostitute di Sampierdarena all’enfatica diffusione di opinioni in materia di unioni omosessuali, fino alla partecipazione in prima fila e per oltre dieci anni ad eventi politico-sociali fortemente connotati a sinistra.

Una certa elasticita’ trova spiegazioni nel fatto che don Andrea era comunque un prete e faceva soprattutto il prete: chissa’ quanti galli con la tonaca incolonnati nel pollaio hanno pensato, mentre lo detestavano obbedienti e silenziosi, che la sua fede lo ha salvato. In fondo, dimostrava plasticamente l’idea di ‘inclusione’ che le gerarchie hanno sempre voluto rappresentare: come a dire, se c’e’ spazio per Comunione e Liberazione (e che spazio), sotto la cupola di San Pietro c’e’ posto anche per preti di frontiera come lui che – qualcuno lo avra’ pur pensato – abbaiano e non mordono, fanno parte a pieno titolo della comunita’ ecclesiale e rispettano addirittura il voto di obbedienza (seppur a loro modo, dopo averne accertato e accettato la stravaganza), contribuendo all’unita’ della chiesa cattolica e aiutando magari senza volerlo chi desidera presentarla come un’istituzione ‘democratica’.

Chi scrive conserva alcuni ricordi in compagnia del Gallo, risalenti ai primi anni 90, ovvero prima che diventasse ‘famoso’, in particolare in quel pubblico di sinistra che ne agita (talvolta strumentalmente) la bandiera. La sua comunita’, San Benedetto al Porto, fu pioniera di alcuni progetti-pilota: fu una delle prime strutture di accoglienza ad aprire un ristorante (‘La Lanterna’) per farlo gestire ai ragazzi tossicodipendenti. L’esperienza comunitaria si allargo’ poi al basso Piemonte, al punto che gia’ venticinque anni fa venivano accolte storie e vissuti difficili in ben cinque strutture, sparse tra il capoluogo ligure e alcuni paesini dell’alto Monferrato.

E’ bizzarro (ma non stupisce di certo) che il Gallo sia piu’ noto per le sue partecipazioni a cortei o per aver intonato ‘Bella ciao’ in una chiesa piuttosto che per il suo impegno concreto, ma forse di certe interpretazioni non era dispiaciuto manco lui.

Visitammo la comunita’ di Frascaro, in provincia di Alessandria, trascorrendo la vigilia di Natale con una quindicina di giovani e giovanissimi strappati al degrado, alle difficolta’ e al male di vivere. Il ‘recupero’ consisteva nel farli convivere in una cascina riadattata a comunita’ di recupero, a contatto con la natura e il lavoro agricolo cooperativo, guidati da un ex ospite (diventato ‘operatore’), con la supervisione del Gallo e dei suoi collaboratori genovesi.

Una volta alla settimana il ‘pastore’ si presentava nelle cinque case-famiglia per incontrare gli utenti e li intratteneva per un paio d’ore raccontando loro episodi di vita e stringendosi a modo suo alle loro vite difficili. Quel giorno, prima di scambiarsi affettuosi auguri, parlo’ molto di politica, ricordo’ la sua amicizia con Fausto Bertinotti e con il cote’ di una certa sinistra che oggi definiremmo ‘radicale’ e che vent’anni fa rappresentava una speranza per chi non si rassegnava alla scomparsa del partito comunista piu’ grande d’Europa.

Il Gallo racchiudeva in ‘parole e opere’ impegno sociale ed esperienza storica, sostegno fattivo agli ‘ultimi’ e speranze derivanti dall’impegno politico (seppur indiretto) coerente con i suoi valori. Affrontava i problemi quotidiani dei suoi ragazzi senza forzature, lasciando le porte aperte al mondo, permettendo quindi agli ospiti di ‘scappare’ qualora il desiderio di riscatto e la forza di volonta’ fossero entrati in cortocircuito. Ovviamente pronto a ri-accoglierli in seguito.

Il Gallo e’ stato piu’ criticato negli anni per il suo libertarismo terapeutico piuttosto che per le sue idee politiche. Anche se non sembrerebbe, a prima vista. Non occorre arrivare al metodo-Muccioli e ai suoi sostenitori (ovvero: ricoveri coatti in strutture chiuse per combattere gli effetti devastanti delle tossicodipendenze ‘pesanti’) per trovare fieri avversari dell’approccio educativo da lui scelto (approccio in verita’ non diffusissimo, forse per la sua interpretazione piuttosto estrema).

Chiacchierando con i ragazzi ospitati a Frascaro, ragionammo all’epoca sulla schiavitu’ indotta da ‘sostanze’ e da alcuni interlocutori provenne una riflessione interessante e scomoda: il modello terapeutico ‘migliore’ non esiste e loro stessi riconobbero, dal loro punto di vista, l’importanza di ricorrere a metodi coercitivi in alcune fasi della vita del tossicodipendente convinto di provare ad uscire dal suo incubo o dagli effetti perversi di una sostanza che da’ piacere. Certuni tra noi – aggiunsero i ragazzi – scelgono il ricovero in strutture ‘chiuse’ convinti dell’impossibilita’ di farcela altrove, mentre altri confidano su forza di volonta’ e sostegno terapeutico in un contesto piu’ ‘aperto’, verificandone i risultati in corso d’opera.

Sarebbe bello se il Gallo fosse ricordato per la sua autentica passione per gli ultimi (ricambiata con grande affetto) piuttosto che per i pugni chiusi agitati davanti ad un pubblico alla ricerca di miti eccentrici. Il suo indubbio carisma ha rappresentato ‘la’ speranza per centinaia di giovani vite desiderose di una prospettiva di riscatto: una testimonianza ancor piu’ importante per i milioni di ragazzi, figli di un Paese malato, che il futuro neanche riescono ad immaginarlo.

Paolo Repetto

(Tratto da: http://www.inviatospeciale.com/)

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