Mario Monti, Weimar Reloaded (Maurizio Blondet)

Lo scorso 14 dicembre il nostro ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, e’ volato a Washington ad incontrare il suo pari grado, Tim Geithner, e «investitori» finanziari non meglio identificati. Ad essi, secondo Il Corriere, Grilli ha spiegato il piano del governo Monti per ridurre un poco il debito pubblico, che Monti ha continuato a far salire rispetto al PIL, inarrestabile. Il calo del PIL (e non le tasse, secondo Grilli) ha fatto si che esso si divaricasse dal debito: quello scende e, per forza, questo sale. La soluzione e’ aumentare il PIL «nominale», cioe’ quello reale piu’ l’inflazione (che e’ al 2%, secondo loro), per far convergere le due entita’. Come fare? Tranquilli, ha detto Grilli ai finanzieri esteri: «Il continuo aumento della disoccupazione spinge chi cerca un posto ad accettare compensi sempre minori pur di lavorare, ridando cosi un po di competitivita’ di prezzo alle imprese». Le imprese italiane potranno dunque «ridurre i costi’¦ del lavoro» (Il Tesoro e la via anti-debito).

Ecco dunque il progetto di «rilancio» e «crescita» di Monti (e di Bersani poi, per cui Monti e’ «un punto di non ritorno»): nessuna liberazione delle imprese dallo strangolamento della burocrazia pletorica inadempiente, nessun taglio ai «costi della politica»; niente blocco degli statali e dei loro stipendi, gia’ il 15% superiori a quelli privati; niente fiscalita’ che non sia persecutrice di chi produce, nessun taglio agli statali di lusso con stipendi miliardari. Quello che vuol ridurre, il governo, sono i salari privati, ossia di quelli che producono, non dei parassiti. Mettendo in competizione gli occupati con i disoccupati, costretti ad «accettare compensi sempre minori».

A parte l’odiosita’ morale, e’ il caso di avvertire che proprio questa «soluzione» fu quella che stronco’ definitivamente l’economia della repubblica di Weimar (1919-1933), e fece si che i tedeschi votassero il NSDAP e la facessero finita col liberismo. Non fu infatti l’iper-inflazione, come alcuni credono, a provocare il rigetto della democrazia; l’inflazione tedesca, benche’ atroce per la classe media, era gia’ finita nel 1923, e l’istituzione pluralista duro’ ancora 10 anni. A provocare il tracollo fu invece la deflazione, unita alla recessione, provocata da programmi di «austerita’» rigorosi secondo l’ortodossia liberista, e infine il taglio dei salari privati ordinato per decreto dal cancelliere Heinrich Bruening.

I punti di contatto fra la repubblica italiana d’oggi, e fra Monti e Bruening, sono cosi numerosi da inquietare. Andiamo per ordine:

Fu la prima globalizzazione (1919-1929): vigeva il Gold Standard, il che significa: negli scambi internazionali si usava una moneta comune globale: l’oro, e le monete in quanto erano agganciate all’oro con cambio fisso. Una volta domata l’inflazione, la Germania ”’ sconfitta nella Prima Guerra Mondiale ”’ riaggancio’ il marco all’oro, e conobbe una rapida ripresa.

Crescita drogata da grandi prestiti USA: la Germania era stata condannata a pagare colossali «riparazioni» a Francia e Gran Bretagna perche’ bollata dalla «comunita’ internazionale» (la conosciamo bene anche oggi) come colpevole della Grande Guerra. Tutti gli anni avrebbe dovuto versare 2,5 miliardi di marchi oro fino al 1929 (piano Dawes), poi 37 versamenti di 2,05 miliardi di Reichsmark, poi altri di 1,65 miliardi di marchi fino al’¦ 1988 (piano Young). Berlino non ce l’avrebbe mai fatta, se il governo americano (appunto Dawes e Young, banchieri-politici USA) non avesse fornito altrettanto enormi crediti.

Tanta generosita’ non era disinteressata, e fruttava grassi profitti. Gli USA avendo venduto forniture belliche gigantesche agli Alleati durante la guerra europea, erano divenuti i grandi creditori del mondo, e Fort Knox traboccava di oro affluito dai Paesi debitori (che erano poi gli alleati; ma gli affari sono affari). Il Gold Standard obbligava a moltiplicare di altrettanto i dollari: un mare di liquidita’ in eccesso stava per abbattersi sull’economia USA, che gia’ subiva la recessione inevitabile una volta finita la super-produzione bellica. La Federal Reserve e i banchieri USA impedirono tale effetto abbassando artificialmente i tassi ”’ la stessa cosa fatta da Greenspan negli anni ’90, e da Bernanke poi ”’ ed incitando all’esportazione di dollari: come nella storia dei petrodollari degli anni ’70, esportarono cosi la loro inflazione all’estero.

Assoluta liberta’ di circolazione dei capitali: questa fu la decisione decretata da Washington e da Londra, potenze vincitrici. I capitali americani, poco remunerati in patria, affluirono in Germania. Nel 1925, il tasso di sconto della Federal Reserve era del 3%; in Germania, era sul 10%. Negli anni seguenti, la remunerazione del capitale investito in USA fu sul 4%, in Germania spuntava l’8%. Il doppio.

Pura finanza speculativa, perche’ basata su un circolo vizioso finanziario: i capitalisti USA si facevano prestare dalla FED al 4%; con questa liquidita’ indebitavano i tedeschi all’8%, e con questi prestiti i tedeschi pagavano le riparazioni a francesi e inglesi. Come «garanzia» per i generosi prestiti, furono ipotecate la Reichsbank (la Banca Centrale), le Reichsbahn (le ferrovie nazionali), i diritti di dogane e l’imposta sui consumi.

Ma una parte delle riparazioni doveva essere pagata in merci e beni: e dunque parte dei prestiti USA andarono anche a finanziare l’industria tedesca.

La repubblica di Weimar piaceva all’alta finanza USA come uno Stato «business friendly»: le dava le due garanzie che il liberalismo capitalista desidera in un Paese per investire, il «mercato» e la «democrazia». E inoltre, i salari tedeschi erano bassi ”’ milioni di soldati smobilitati cercavano un lavoro a qualunque prezzo ”’ e i bassi salari stimolano sempre gli investimenti industriali: come abbiamo visto fino ad oggi in Cina.

Bolle finanziarie: il risultato di tanto denaro a disposizione provoco’ oltre ad un surriscaldamento industriale, gigantesche «bolle». Rapidamente, i terreni e i fabbricati rincararono del 700% a Berlino, e del 400% ad Amburgo. I giornali seguaci del liberismo (perche’ pagati dai capitalisti) lanciarono una campagna per «liberalizzare gli affitti». Gli affitti erano stati bloccati durante la guerra; ma ormai era «ingiusto», dicevano i media, visto che gli immobili si erano tanto apprezzati, che essi rimanessero fermi. Una legge sblocco’ gli affitti, che crebbero immediatamente del 125%. A pagarli erano soprattutto gli operai, appena urbanizzati, risucchiati nelle metropoli dall’industria assetata di manodopera. Berlino passo’ da 2 a 6 milioni di abitanti, e gli alloggi non bastavano mai. I padroni immobiliari erano quelli che guadagnavano.

Anche a spese delle industrie, che pagavano di piu’ affitti e mutui e fidi per i fabbricati industriali. «Leconomia era sempre piu’ dipendente dal capitale estero; il peso degli interessi continuava a crescere (‘¦) I crediti esteri erano per lo piu’ a breve, ma erano piazzati in investimenti a lungo termine, sicche’ la minima crisi economica presso i creditori avrebbe avuto conseguenze gravissime per la repubblica» (cosi lo storico Horst Moeller).

Allora la crisi fu quella del 1929, che da un giorno all’altro lascio’ l’economia germanica a secco di capitali americani. Oggi e’ stata la crisi dei sub-prime in USA, che ha destabilizzato il sistema bancario globale, rivelandone l’insolvenza.

Ma intanto, tra il 1925 e il ’29, l’economia cresceva trionfalmente. Erano Die Goldener Zwanziger, i dorati anni ’20 immortalati dalle vignette di Grosz, coi ricconi grassi in cilindro, sigaro e frac che palpano puttanelle (figlie della classe media rovinata) nei cabaret. Gli industriali tedeschi rispondevano al peso crescente degli interessi passivi e dei costi da «bolla» sui fabbricati, creando un apparato industriale ad alta intensita’ di capitale, in modo da risparmiare sui salari.

«Le industrie smantellavano le vecchie fabbriche e le rimpiazzavano coi piu’ nuovi macchinari. La Germania stava diventando il Paese industriale piu’ avanzato del mondo, piu’ degli stessi Stati Uniti (‘¦) l’intero sistema ferroviario fu rinnovato‘¦». Cosi Bruno Heilig, giornalista ebreo dell’epoca, che scampo’ nel 1938 a Londra (Bruno Heilig, ‘Why the German Republic Fell’).

Non mi dilunghero’ sulle «privatizzazioni» scandalose e truffaldine che allora prosperarono. Mi limito a citare il nuovo porto sulla Sprea, che il municipio di Berlino rammoderno’ spendendo milioni di marchi, attrezzandolo di gru e magazzini (era il porto che serviva il rifornimento della capitale) e che poi fu ceduto a due privati ”’ con l’argomento che la mano pubblica non poteva gestirlo «con efficienza e profitto» . Il consorzio privato, Schenker eamp; Busch, pago’ 396 mila marchi ”’ unico pagamento per 50 anni di affitto (il solo prezzo d’affitto del nudo terreno del porto sarebbe stato di 1 milione di marchi l’anno) e per giunta si fece dare dal comune un prestito di 5 milioni di marchi come capitale operativo. L’alto funzionario pubblico responsabile del progetto, e che aveva poi consigliato la privatizzazione, lascio’ l’impiego pubblico e fu assunto da Schenker eamp; Busch con uno stipendio principesco. Intanto «i lavoratori berlinesi, gia’ aggravati dal rincaro delle pigioni, pagavano un tributo a quei privati per ogni pezzo di pane che mangiavano» (Heilig).

La crescita a credito cominciava a perdere colpi. Gli interessi sui debiti degli industriali crescevano, crescevano i costi degli affitti e dei macchinari. Ma per qualche anno «ogni segno di crisi fu scongiurato comprimendo i salari e licenziando lavoratori» (Heilig). u significativo che anche durante il boom dei Venti Dorati, i disoccupati restarono tanti, si mantennero sui 2 milioni. Tanto meglio, per gli industriali: manodopera a basso costo. E coi «risparmi» sui salari, comprarono macchinari ancora piu’ efficienti onde aumentare la produttivita’. Cosi gli aveva insegnato il liberismo anglosassone. E i tedeschi sono allievi-modello.

L’altra faccia della produttivita’. Accadde quello che sempre accade quando si retribuisce troppo il capitale (i banchieri, essenzialmente) e poco il lavoro: le merci, prodotte in quantita’ sempre maggiore, non trovano acquirenti, perche’ i consumatori (che sono i lavoratori) hanno perso potere d’acquisto.

Gli imprenditori corsero ai ripari applicando i dettami del liberismo americano appena appreso. Nel 1931, ridussero la quantita’ di merci prodotte, sperando con cio’ di sostenerne i prezzi. Ma cosi facendo «interessi, tasse, ammortamenti ed affitti, ossia le spese fisse, divise su un volume minore di beni, aumentarono il costo unitario di ogni beneIl costo di produzione crebbe in proporzione inversa ai profitti, fino a divorarli» (Bruno Heilig).

Quali misure vennero prese? Altri licenziamenti in massa. Ovviamente, «per ogni lavoratore licenziato era un consumatore che scompariva», ha scritto Heilig, sicche’ i datori di lavoro «ne ebbero ben poco sollievo».

Gia’. A far colare a picco le imprese erano i «costi non comprimibili», non gia’ il costo del lavoro; ma questo era il solo ritenuto «comprimibile» ”’ e fu compresso senza pieta’. Furono i costi incomprimibili, nel corso del 1931, a rendere insolventi sempre piu’ imprese. Gli interessi sui debiti diventarono impagabili, e non furono piu’ pagati. Con l’insolvenza dei debitori-imprenditori, cominciarono a fallire le banche.

Il cancelliere Heinrich Bruening, salito al potere nell’ottobre ’31, spese miliardi di marchi (dei contribuenti) per «salvare le banche», applicando da allievo modello i dettami del liberismo anglosassone. Come oggi, quando sono le banche a crollare per i loro investimenti sbagliati, il «mercato» viene sospeso, e invece di lasciarle fallire, si invoca la mano visibile dello Stato, l’intervento pubblico a loro favore.

Non basto’, ovviamente. Allora Bruening, che ormai gestiva l’economia a forza di decreti d’autorita’, lancio’ una politica di austerita’ e rigore, tagli di bilancio, deflazione deliberata. Il cancelliere «ascoltava i funesti consigli del dottor Sprague, lemissario della Bank of England. Il quale naturalmente voleva la continuazione della politica di deflazione ad ogni costo; deliberata permantenere il valore dei fantastici investimenti della City in Germania» (Robert Boothby: Recollections of a Rebel, 1978).

Anche oggi, il rigore e la deflazione decretati da Mario Monti sono nel solo interesse dei grandi creditori internazionali, che vogliono mantenere il «valore dei loro investimenti». Proprio di questo il nostro (loro) Grilli e’ andato a rassicurare gli investitori americani che creera’ «crescita» tagliando i i salari.

Nel 1931, Bruening fece lo stesso:

per decreto, ordino’ una riduzione generale dei salari del 15%.

Nella sua teoria, riteneva che riducendo il potere d’acquisto del lavoratori, si sarebbe prodotta di conseguenza una riduzione dei prezzi. Il «prezzo umano», la messa alla fame dei lavoratori e delle loro famiglie, non gli sembro’ indegno d’esser pagato.

La massa salariale prima del 1929, ossia nel boom liberista, ammontava a 42,4 miliardi di marchi. Durante il cancellierato Bruening scese a 32 miliardi (il Terzo Reich la fece risalire, nel 1937, a 48,5 miliardi).

Ovviamente, il drastico taglio dei salari non funziono’ come sperava Bruening, anzi accelero’ il tracollo. Come abbiamo visto, i prezzi delle merci erano determinati da fattori ben diversi che dalle paghe: dai costi incomprimibili, dal servizio del debito, dagli indebitamenti per comprare suoli sopravvalutati dalla bolla. Bruening avrebbe dovuto agire su quelli. Non lo fece.

I disoccupati salirono a 7 milioni: un terzo della forza-lavoro nazionale; a cui si dovettero aggiungere «i «disoccupati parziali», part time e precari, altri milioni non censiti.

«Lapparenza di prosperita’ economica degli anni Venti si rivelava ingannevole. Quando la crisi americana del 1929 e la poca fiducia nella stabilita’ economica e politica di Weimar spinsero (gli stranieri) a ritirare i crediti, leconomia tedesca collasso”¦ La generazione giovanile si vide privata di possibilita’ professionali, economiche e sociali; era sradicata e si sentiva derubata dellavvenire». (Moeller). «La classe media (era) spazzata via: questa la situazione ad un anno dallapice dalla prosperita’» (Heilig).

In quell’anno, il numero dei deputati nazisti al Reichstag passo’ da 8 a 107. Avevano votato per loro 13,4 milioni di tedeschi; il 60% erano persone che prima non avevano votato, astenendosi. Nel gennaio 1933, divenne cancelliere Adolf Hitler. E comincio’ la ripresa, usando ricette contrarie a quelle del liberismo (1).

Oggi, i poteri forti ”’ che hanno la memoria lunga ”’ hanno agito d’anticipo, di fatto favorendo un colpo di Stato dall’alto in Italia, svuotando di senso le votazioni; hanno accelerato la creazione della giunta oligarchica a livello europeo, in modo ”’ mentre cadono a picco tutti i dati dell’economia reale ”’ da prevenire una deriva «populista» della volonta’ popolare, che scalzi il loro potere come avvenne «allora».

1) Bruening se ne ando’ in USA, dove fu accolto a braccia aperte dall’Universita’ di Harvard. Vi resto’ come docente di politica liberista fino al 1951.

(Tratto da: http://www.stampalibera.com)

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