Il fallimento del consumatore, anche in Italia

Vale a dire, ai sensi della lettera a) dell’art. 3 del Decreto Legislativo n° 206 del 2005 (il ‘Codice del consumo’), ‘la persona fisica che agisce (acquistando per se’ o per altri beni o servizi) per scopi estranei all’attivita’ [‘¦] professionale (cioe’ lavorativa) eventualmente svolta’. Segnaliamo che e’ la prima volta che nell’ordinamento giuridico italiano viene introdotta una procedura che possiamo senz’altro definire paraconcorsuale o parafallimentare applicabile anche al consumatore, come avviene invece da gran tempo nel diritto statunitense. Essa non genera gli effetti che la sentenza dichiarativa di fallimento produce per la persona del fallito.Le piccole imprese individuali o collettive (societa’) a cui si applica questa procedura sono, come abbiamo detto, quelle che non possono essere assoggettate alle procedure concorsuali, vale a dire quelle che, a norma dell’art. 1° della Legge Fallimentare (il Regio Decreto n° 267 del 1942 riformato prima dal Decreto Legislativo n° 5 del 2006 e poi dal Decreto Legislativo n° 169 del 2007) presentano tutte e tre queste caratteristiche: a) hanno avuto, negli ultimi tre anni (esercizi) o dall’inizio dell’attivita’ se di durata inferiore, un totale annuo dell’attivo dello stato patrimoniale inferiore od uguale a 300.000 Euro (per ogni anno e non in media per tre anni); b) hanno realizzato ricavi lordi, cioe’ un fatturato complessivo(*) negli ultimi tre anni (esercizi) o dall’inizio dell’attivita’ se di durata inferiore, per un ammontare annuo inferiore od uguale a 200.000 Euro (idem sopra); c) hanno un ammontare totale di debiti, anche non scaduti, inferiore od uguale a 500.000 Euro (dati dal totale dei debiti dello stato patrimoniale).

L’art. 2 del DL 212/2011 prevede che questa procedura debba essere svolta dal debitore in difficolta’ con l’ausilio di uno degli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento aventi sede nel circondario del Tribunale del luogo dove il debitore ha la sua residenza se e’ un consumatore o la sede principale (la sede effettiva dell’attivita’ che puo’ non coincidere con la sede legale) se e’ una impresa. Oltre agli organismi di composizione la procedura puo’ essere svolta da un professionista (avvocato o commercialista) o da una societa’ di professionisti che abbiano i requisiti per la nomina a curatore fallimentare previsti dall’art. 28 del RD 267/1942 o da un notaio nominato dal Presidente del Tribunale o da un Giudice da lui delegato (art. 11 del DL 212/2011).

L’art. 10 dello stesso Decreto prevede che questi organismi possono essere costituiti dagli enti pubblici (tendenzialmente tutti) e che devono dare adeguate garanzie di indipendenza e di professionalita’ (1° comma). Essi hanno l’obbligo di iscriversi in un apposito registro tenuto dal Ministero della Giustizia che lo disciplinera’ con un proprio regolamento(**) (2° e 3° comma). In particolare, gli organismi(***) di mediazione costituiti dalle Camere di Commercio e dagli Ordini Professionali degli avvocati, dei commercialisti e dei notai sono iscritti di diritto, previa soltanto la presentazione di una domanda, in questo registro (4° comma).

L’organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento, e quindi anche l’organismo di mediazione che soddisfa i requisiti citati, assiste il debitore nella predisposizione di un accordo consistente in un piano di ristrutturazione del debito con le nuove scadenze dei relativi pagamenti da proporre ai creditori, verifica la veridicita’ dei dati contenuti in esso e nei documenti allegati ed attesta la fattibilita’ del piano. La proposta di accordo, assieme all’elenco di tutti i creditori con l’indicazione delle somme dovute, a quello dei beni del debitore e degli atti di disposizione da lui compiuti negli ultimi cinque anni, alle sue dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni ed alle scritture contabili (se impresa) od agli estratti conto bancari degli ultimi tre anni, e’ depositata presso il Tribunale del luogo dove il debitore ha la sua residenza o la sede principale. Il Giudice, se la proposta soddisfa questi requisiti, fissa l’udienza e dispone la comunicazione della proposta ai creditori che e’ eseguita dall’organismo di composizione assieme alle eventuali altre forme di pubblicita’ disposte sempre dal Giudice. All’udienza, se non vi sono stati in precedenza atti in frode ai creditori, viene disposta una sospensione di 120 giorni delle azioni esecutive o conservative individuali dei creditori (pignoramenti, sequestri, ecc.).

Se i creditori che aderiscono all’accordo rappresentano almeno il 70% del passivo (se impresa) od il 50% (se consumatore), esso, assieme alla relazione sui consensi espressi e sulla maggioranza raggiunta, e’ trasmesso dall’organismo di composizione al Giudice che lo omologa. L’accordo vale per tutti i creditori, compresi quelli che non hanno aderito all’accordo, deve garantire il pagamento integrale dei crediti privilegiati, puo’ prevedere l’intervento di terzi garanti che conferiscono beni o redditi per il pagamento dei debiti ed anche limitazioni all’accesso al credito per il debitore. La pubblicita’ dell’accordo omologato nei confronti dei creditori viene anch’essa curata dall’organismo di composizione. L’omologazione sospende le azioni esecutive o conservative individuali dei creditori per un periodo non superiore ad un anno, a meno che l’accordo non sia rispettato e venga risolto prima. L’organismo di composizione vigila sulla corretta esecuzione dell’accordo che puo’ prevedere anche la nomina di un liquidatore da parte del Giudice, specie se per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati dei beni sottoposti a pignoramento. I pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo sono nulli. Se il debitore compie atti in frode ai creditori ognuno di essi puo’ chiedere al Tribunale l’annullamento dell’accordo. Se, invece, il debitore non adempie regolarmente le obbligazioni derivanti dall’accordo ogni creditore puo’ chiedere la risoluzione di quest’ultimo. L’annullamento o la risoluzione non pregiudicano i diritti acquisiti dai terzi in buona fede (artt. da 2 a 9 e commi 6°, 7° ed 8° dell’art. 10 del DL 212/2011).

Che dire di questa procedura oltre al fatto che essa e’ un segno dei tempi? In primo luogo che essa riprende il vecchio istituto ormai dimenticato del ‘procedimento sommario nel fallimento’, che era disciplinato dai vecchi articoli 155 e 156 della Legge Fallimentare, che quasi mai fu utilizzato per il limite troppo basso del passivo (un milione e mezzo di vecchie Lire) e che fu abrogato nel 2006. Il fatto di non avere mai elevato questo limite ad una cifra significativa (per esempio, cinquanta o cento milioni di vecchie Lire) porto’ all’inapplicabilita’ di questo procedimento che avrebbe potuto smaltire velocemente i fallimenti delle piccole imprese e diminuire i tempi molto lunghi dei procedimenti fallimentari, vera piaga del sistema economico italiano. Per questo motivo, il fatto di ripristinare una procedura simile, almeno per le piccole imprese, e’ un fatto che credo senz’altro positivo.

Per il consumatore in difficolta’ finanziarie, invece, la procedura andrebbe perfezionata, per esempio, prevedendo il coinvolgimento degli organismi di microcredito (anche per prestare delle risorse a questo soggetto) e delle associazioni antiusura. Molto spesso, inoltre, il debito maggiore del consumatore medio italiano e’ quello del mutuo della casa, per cui occorrerebbe studiare dei meccanismi di sostegno al pagamento delle rate di esso.

Infine, sia per le piccole imprese che per i consumatori, bisogna cercare di incentivare le operazioni c.d. di consolidamento delle passivita’ (debiti) a breve verso le banche o le societa’ che erogano crediti al consumo in mutui a medio termine e con tassi di interesse piu’ bassi (e, magari, agevolati) rispetto ai debiti consolidati. Un ottimo esempio di meccanismo di agevolazione di queste operazioni fu quello, voluto da Carlo Azeglio Ciampi quando era Ministro del Tesoro, del consolidamento delle passivita’ a breve verso le banche riservato alle PMI aventi sede nel Mezzogiorno e nelle isole e disciplinato dall’art. 2 della Legge n° 341 del 1995(****). Questa disposizione costituiva un fondo che versava alla banca consolidante una parte degli interessi del mutuo a cinque anni in cui venivano consolidati i debiti a breve e che garantiva sempre la banca consolidante nel caso di fallimento dell’impresa beneficiaria del consolidamento (il fondo fu gestito dall’allora Istituto Bancario San Paolo).

Insomma, oggi piu’ che mai avremmo bisogno di un uomo come Ciampi o di lui con venti anni di meno.

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(*) L’espressione ‘ricavi lordi‘ dell’art. 1° della Legge Fallimentare e’ stato interpretato, nella pratica, sempre nel senso di fatturato complessivo annuo al lordo di resi, sconti ed abbuoni. Questo perche’ secondo noi l’interpretazione corretta sarebbe quella di ricavi al lordo, cioe’ compresa, l’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto). Ma, cosi interpretando, si comprimerebbe il limite (gia’ non elevato) di 200.000 Euro di fatturato annuo, che al netto dell’IVA, scenderebbe a 165.289 Euro (200.000 / 1,21). A nostro giudizio, e’ molto strano che il legislatore abbia individuato un limite dell’attivo dello stato patrimoniale di 300.000 Euro e uno del fatturato annuo di 200.000 Euro perche’ quest’ultimo, almeno nel 90% dei casi delle piccole imprese, e’ superiore al primo (come testimoniano anche i paramentri per l’individuazione delle micro, piccole e medie imprese di cui alla Raccomandazione CE n° 361 del 2003). Sarebbe stato piu’ aderente alla realta’ concreta delle piccole imprese italiane, visto che il limite del totale dell’attivo e’ di 300.000 Euro, porre il limite del fatturato alla stessa cifra o ad una superiore, per esempio, 350.000 Euro.

(**)Questo regolamento determinera’ anche le indennita’ da corrispondere agli organismi per lo svolgimento della procedura. Nel caso di sovraindebitamento del consumatore queste indennita’ saranno ridotte alla meta’.

(***)Gli organismi di mediazione sono quelli abilitati a svolgere la procedura stragiudiziale di composizione delle controversie in materia civile e commerciale denominata, appunto, mediazione. Questa procedura e i requisiti degli organismi sono disciplinati dal Decreto Legislativo n° 28 del 2010 e dal Decreto del Ministero della Giustizia n° 180 del 2010.

(****)Ho sempre pensato che la ‘invenzione’ o ‘re-invenzione’, nel 1995, da parte di un ex Governatore della Banca d’Italia allora Ministro del Tesoro, di un prodotto bancario classico come il consolidamento delle passivita’ a breve di una impresa in un mutuo a medio ”’ lungo termine sia l’ennesima dimostrazione dello scarsissimo grado di innovativita’ di prodotto del sistema bancario italiano, nonostante le sue dimensioni elefantiache ed i suoi oltre 300.000 addetti.

 

(Tratto da: http://www.finansol.it)

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