Rottamiamo l’Euro

euro“Lo zelo per la tua casa mi divora”, questa famosa citazione del Salmo 69 viene recuperata nei Vangeli all’interno dell’episodio nel quale Cristo rovescia i banchi dei cambiavalute (i casi della vita…) e dei mercanti appostatisi a far affari nel sacro Tempio.

di Alberto Leoncini.


Volendo attualizzare questa frase all’odierno scenario economico europeo, non si può non notarne la sconvolgente efficacia: in dieci anni di vita l’Euro è stato protetto, osannato, difeso a spada tratta contro ogni ragionevole evidenza. Fino ad un annetto fa chi si azzardava a mettere in discussione tale progetto era passibile della gogna, prima, del rogo sulla pubblica piazza poi.

Poi “è successo un duemilaotto” (si vede che l’otto è un numero “rivoluzionario”…), è arrivata la crisi, il modello economico-monetario europeo è stato messo al tappeto ed è risultato pesantemente inadatto a farvi fronte: il libero mercato ha dovuto cedere il passo all’assistenzialismo pubblico (vedasi banche, grandi industrie, assicurazioni…), molti Paesi sono entrati in situazioni di finanza aggregata da far venire i capelli dritti, ma soprattutto la politica monetaria di Francoforte si è rivelata una cura peggiore del male: il basso costo del denaro ha spinto l’indebitamento privato (in Italia, nazione tradizionalmente risparmiatrice, come anche in Spagna dando luogo alla bolla edilizia), la moneta forte ha pesantemente ridimensionato le esportazioni specie dei beni a domanda flessibile (nei quali l’Italia era tradizionalmente all’avanguardia, pensiamo alla moda o l’orafo), ha reso competitive le merci extra europee e ci ha ancorato a politiche energetiche obsolete rendendo competitivi i combustibili fossili a scapito delle energie rinnovabili (una scelta conveniente nel breve termine, assolutamente suicida già nel medio). Ora si rincorrono una ridda di dichiarazioni dei maggiori leader politici ed economici europei che parlano di “uscita dall’Euro” per diversi Paesi, quasi fosse un castigo divino. Insomma l’Euro è messo in discussione coram populo anche da quella classe politico-economica che lo ha difeso a spada tratta, specie dopo essersi accorti che non è affatto immune dalle speculazioni modello Soros (noto per il suo attacco alla lira, che aveva portato la nostra valuta a uscire dalla banda SME), e che Eurolandia è un’area tutt’altro che stabile finanziariamente . La Grecia, alla quale voglio in questa sede esprimere la mia solidarietà e vicinanza sperando che la fierezza dimostrata contro i persiani alle Termopili possa essere riscoperta contro i “neoi barbaroi” della finanza internazionale, è solo la punta di un iceberg che vede coinvolte le finanze allargate quantomeno di Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Belgio.

Piangere sul latte versato serve a poco, tanto più che il fatto di aver basato la moneta comune sul modello tedesco era palesemente insostenibile, indipendentemente dalla crisi, per diverse ragioni: la prima e più importante è che la Germania è una, gli altri Paesi europei non hanno la medesima stabilità politico-economica, inoltre la politica economica europea è sempre stata orientata ad una crescita illimitata, sostenuta sullo sfruttamento delle risorse naturali e finanziarie di altre aree geopolitiche (Africa e Sud America, anzitutto); nello scacchiere internazionale, poi, ha poco senso fare i paladini delle “regole” quando gli altri operatori se ne infischiano bellamente specie per quanto riguarda la “guerra delle aliquote”, il divieto ad aiuti di Stato e il dumping.

A riprova di ciò basti dire che gli spread Bund/Titoli di Stato di altri paesi sono a livelli preoccupanti da un bel pezzo, inoltre va sottolineato che sostenere la crescita illimitata fosse una pia illusione perché i prezzi delle materie prime e i flussi commerciali sono stati implementati solo grazie all’apertura del libero commercio con il fu blocco sovietico e la relativa area di influenza.

L’aspetto “sociale” è sempre stato l’inquilino del sottoscala nella politica economica europea: al di là delle tante belle parole, degli intenti e dei propositi, l’Europa è sempre stata ostaggio del monetarismo e del liberoscambismo più spinto. Oggi ne paghiamo lo scotto e continuiamo ad essere assoggettati alle stesse ricette che inibiranno la domanda, creeranno depressione nel mercato interno, faranno diminuire il gettito fiscale…Un film già visto: le vittime designate da immolare al Tempio del mercato saranno le solite: sanità, pensioni, istruzione e imprese pubbliche. Ora in Grecia, domani da noi, dopodomani, chissà, magari in Spagna, o viceversa, come si dice invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia.

La strategia è chiara: si tratta di tenere gli stati in una sorte di “braccio della morte finanziaria”, in ogni momento può avvenire un downgrading del debito pubblico, un attacco sui titoli di Stato o, ancor più semplicemente, si possono innescare fallimenti a catena nelle grandi imprese con bilanci precari creando situazioni di panico borsistico. In questo frangente può essere fatto passare di tutto: dai tagli alle pensioni alle misure draconiane e palesemente contrarie alle Costituzioni sui nodi nevralgici della vita di uno Stato.

Insomma, appare chiaro che l’Euro nei termini in cui era stato concepito dai vari Prodi, Padoa Schioppa, Trichet, Monti… sia un esperimento finito, da rottamare. A questo punto una classe politica seria dovrebbe trarne le conseguenze e non lasciare che l’agonia ci faccia volteggiare sopra i più rapaci predatori. A modesto parere di chi scrive, l’Euro a due velocità non può essere una soluzione credibile perché significherebbe chiudere di fatto ogni possibilità di federazione europea per l’avvenire: che futuro potrebbe mai avere un’Europa che, nel momento del bisogno, ha chiuso la porta in faccia ai più deboli? Molto più credibile e serio, ciò servirebbe anche a compattare davvero l’Europa superando l’attuale situazione di “simulacro”, sarebbe mantenere un Euro più competitivo sui mercati, meno vincolato ai famigerati parametri di Maastricht, ma specialmente affiancare a questa divisa monete nazionali emesse a costo zero dagli stati per finanziare i propri fabbisogni, pur se con parametri comuni e concertati in sede comunitaria, al più studiando progetti di monete complementari e “solidali” riferite ad aree economiche omogenee. Ciò permetterebbe una corretta concorrenza all’interno del mercato comune e una difesa, sempre comune, sul piano globale.

 

Alberto Leoncini

albertoleoncini AT libero.it

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