BASTA CON LA “TIMIDEZZA”

di Gianfranco La Grassa Qualche giorno fa (16 o 17) è uscito un articolo di un certo Lottieri su Il Giornale; una colonnina messa in una pagina interna, non molto visibile ad un lettore comune. In esso, si assume una posizione in qualche modo dignitosa di fronte alle dichiarazioni del nuovo ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, rilasciate al Corriere della Sera che lo intervistava; dichiarazioni riprese ampiamente dalla stampa filoamericana, e in particolare dalla sinistra che è – dall’epoca del “colpo di mano” (praticamente “di Stato”), compiuto da “mani pulite” per conto di americani, Confindustria (e finanza), con depredazione della ricchezza nazionale e del settore industriale pubblico decisa sul “Britannia” – la rappresentante politica di tutti gli ambienti parassitari italiani. Lottieri giudica del tutto inopportune le dichiarazioni dell’Ambasciatore poiché “è certamente vero che la questione energetica è seria, ma è in primo luogo un problema nostro (corsivo mio)”. Un po’ generico, ma comunque cerca di far capire che gli Usa dovrebbero interessarsi degli “affaracci loro”. In realtà, la questione della lotta tra Eni-Gazprom (gasdotto Southstream, con un suo importante ramo nord, in cui c’entrano anche i tedeschi) e il Nabucco (di pieno interesse americano e contro i russi) è una faccenda che, in effetti, riguarda gli Stati Uniti, poiché è un tassello non indifferente della complessa strategia del conflitto geopolitico mondiale e dell’avvicinamento o meno al multipolarismo. Inutile far finta che gli Usa mettono il becco in casa nostra come farebbe una pettegola “comare” delle commedie goldoniane. Si deve dire con chiarezza quali sono gli interessi in gioco, quali i giocatori e con chi conviene stare per fare i nostri interessi di fondo. In effetti, la scusa con cui Lottieri cerca di giustificare, in nome degli interessi generali “occidentali” (che sono sempre stati guidati dagli Usa fin dal 1945), il nostro rapporto con la Russia è risibile e insostenibile. Egli dice che “è interesse dell’Europa [non apprezzo che dimentichi quello decisivo degli Usa; ndr] che si sviluppi il massimo degli scambi con la Russia, perché solo così quel paese può de-soviettizzarsi e smettere di essere un pericolo per la pace”. In questo modo fa una figura peregrina, diciamo dell’ingenuo (e pure dell’ignorante), cosa che sicuramente non è. Perfino l’Urss (pur dichiarandosi sovietica) non ha praticamente funzionato mai secondo il reale modello dei Soviet (esistenti ma di scarso peso). Tuttavia, questo svarione si può perdonare come peccato veniale; parlare però di soviettizzazione della Russia attuale non può che suscitare ilarità. Ancora più grasse risate scoppiano all’idea che l’“amico” Putin prenda lezioni da Berlusconi in fatto di sedicente “democrazia” occidentale (e italiana in specie), che è fra l’altro quella in cui, appunto, sono state consentite sia le devastazioni politiche compiute a suo tempo, in modo extraparlamentare (ed extraelettorale), da “mani pulite” sia quelle di cui Brunetta parla oggi. Si rassegnino gli “occidentali” (tutti, non solo gli italiani); Russia e Cina saranno nuove formazioni sociali dove non allignerà la verminosa e falsa democrazia dei nostri paesi, e dell’Italia in specie, per oltre mezzo secolo razziata in lungo e in largo da cosche industrial-finanziarie, divoratrici della ricchezza prodotta da lavoratori (dipendenti e autonomi) e succubi al 100% della superpotenza statunitense. Inoltre, un’Italia che pretenda di “democratizzare” la Russia sarebbe proprio la solita “mosca cocchiera”. Si parli sinceramente al “popolo” e lo si chiami a difendersi da chi veramente ci sta danneggiando; punto e basta! Altrimenti ci si presta alla presa in giro e all’accusa di essere o sciocchi o menzogneri. Essendo pur sempre un “professore”, non posso tacere di un’altra “contorsione” di Lottieri nel suo tentativo di non esprimersi chiaramente. Egli cita, per rafforzare le posizioni (timide come detto) assunte nei confronti degli interessi americani (espressi dalle parole del loro nuovo Ambasciatore in Italia), un economista della prima metà ottocento: Fréderic Bastiat, null’altro che un tipico liberista, a mio avviso non particolarmente esaltante per acutezza di intelletto (quello delle ben note Armonie economiche). Liberista per liberista, avrebbe fatto meglio a citare il Ricardo della “teoria dei costi comparati”, fulcro delle successive elaborazioni “scientifiche” (in realtà ben ideologiche) del “libero commercio internazionale” quale toccasana per il benessere di tutti i paesi del mondo. Personalmente, nella prima parte del mio Finanza e poteri (Manifestolibri 2008), ho disquisito invece su un altro autore ottocentesco: List, quello dell’“industria nascente” e della sua protezione temporanea, fino a quando non fosse stato colmato il dislivello rispetto al primo paese industriale, l’Inghilterra, che invece pretendeva il “libero mercato mondiale” per poter assoggettare gli altri paesi alla sua potenza, riducendoli a semplici fornitori di materie prime e agricole. Furono le tesi listiane ad essere di fatto seguite nello zollverein (“Unione doganale” tedesca) del 1834, base per la successiva nascita della Germania (1871) e per il suo rapido rafforzamento mentre l’Inghilterra declinava. Ancora più chiaro l’esempio degli Stati Uniti. La “Confederazione del sud” esigeva il “libero mercato” per poter continuare a vendere il cotone delle sue piantagioni all’industria inglese, importandone i manufatti. L’“Unione” degli Stati nordisti esigeva dazi doganali per sviluppare la sua industria, appunto “nascente”. La lotta per la liberazione degli schiavi fu una bella “trovata” ideologica (magari Lincoln ci credeva veramente) che portò il nord a schiacciare il sud; senza la guerra civile (o di secessione) del 1861-65, gli Stati Uniti mai e poi mai sarebbero divenuti la principale potenza del secolo XX. Oggi sarebbe senza senso chiedere dazi doganali verso i prodotti dell’ultima ondata innovativa industriale, in cui gli Usa hanno ancora un chiaro vantaggio (tanto meno, però, verso i tessuti e i giocattoli cinesi). Inoltre, nessuno si illude che l’Italia possa ricoprire il ruolo della Germania e poi degli Usa di allora. Tuttavia, occorrono politiche svincolate da quella che si presenta come tesi scientifica ed è pura ideologia liberista. Non esiste, se non nelle illusioni degli economisti, la libera competizione mercantile su scala globale. Occorre che ci sia dietro una “politica”. Intanto, nel senso di una politica economica che la smetta di favorire, con incentivi e finanziamenti di sostegno (puramente drogato), i vecchi settori “maturi”, con bassi margini di profitto e di potenzialità; e che invece punti con estrema energia sui settori o altamente innovativi o “strategici” come sono ad esempio quelli energetici. Tanto più che la “bufala” delle energie alternative, sostitutive a breve termine, è finalmente sbugiardata. Solo gli scervellati non sanno che, come minimo fino al 2030 (ma anche più), sarà sempre fondamentale l’energia da idrocarburi (con grande sviluppo del gas). Se così non fosse, tutti quelli che si stanno “scannando” sui progetti Eni-Gazprom o il Nabucco (in “odore di santità” presso gli Stati Uniti) sarebbero dei pazzi. Invece sanno bene quello che fanno (e pure Lottieri credo lo sappia bene!). Basta quindi con i finanziamenti alla Fiat e sempre maggior sostegno (politico più che economico) all’Eni (e a Finmeccanica, Enel, ecc.). E’ su questo punto che gli americani – con le loro rappresentanze nelle scalcagnate forze politiche – vorrebbero scardinare gli assetti in Italia. Lo “scatenato” Brunetta (che smaschera parte dei disegni della sinistra filoamericana italiana) sta solo dicendo quanto scrissi (con Preve) nel 1995 (“Il teatro dell’assurdo”), illustrando con precisione che cos’era “mani pulite”, preceduta dalla famosa riunione sul panfilo “Britannia”, ecc. ecc. Temi ripresi continuamente dal blog su cui scrivo, con alcuni valorosi collaboratori. Solo che noi, a differenza di Brunetta (per non parlare del “timido” Lottieri) riveliamo pure senza tanti veli che, dietro a queste meschine forze politiche, si muovono i nuovi “junker tedeschi” (o “proprietari di piantagioni di cotone sudisti”): cioè la Fiat e i vertici confindustriali, più la finanza italiana di tipo “weimariano”. La scusa di questi parassiti – che fino a ieri inneggiavano appunto al liberismo e oggi ricominciano a voler “socializzare le perdite” divorando risorse produttive del paese da indirizzarsi invece assai meglio – è che l’occupazione ne risentirebbe; in particolare, si sostiene che, per ogni lavoratore Fiat licenziato, altri sette perdono il posto nell’indotto. Allora, finanziamo soprattutto il settore immobiliare, che in ogni dove rappresenta un quota notevolissima del Pil, e muove un indotto numeroso e di estrema varietà di mestieri. E’ evidente che, se uno pensa non all’immediato ma al lungo periodo di una “strategia di sviluppo”, è necessario incrementare i settori di punta (innovativi o di grande rilevanza per il peso politico del paese). Solo conquistando migliori posizioni, alla fine si incrementa anche l’occupazione e si innalzano i redditi. Certamente soprattutto i profitti; ma se ne avvantaggeranno anche i lavoratori, alla fin fine. Dunque lo ripeto: deciso sostegno ai settori di punta e a quelli strategici dell’energia. Ridurre i finanziamenti “a fondo perduto”!


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