La Repubblica e la tirannide

Qual e’ il governo tirannico? “Ogni qualunque governo, in cui chi e’ preposto all’esecuzione delle leggi, puo’ farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, sospenderle; o anche soltanto eluderle, con sicurezza d’impunita’”, scriveva il nobile Vittorio Alfieri, letterato e viaggiatore inquieto, nel 1777, alla vigilia della Rivoluzione francese. Il testo “Della Tirannide” venne stampato nel 1789, proprio l’anno della presa della Bastiglia.

di Mario Pancera


Nel 1793, all’inizio del Terrore, l’Alfieri, che si trovava a Parigi, dovette fuggire per non rimetterci la testa: proprio lui, che aveva combattuto la tirannide, dalla tirannide sarebbe stato decapitato. La tirannide, ovvero la dittatura come oggi si esplica in concreto in varie parti del mondo, non ha colore, non conosce confini, ha gli unici nemici in chi vuole la libertà.  E poiché tutti gli uomini hanno diritto alla libertà, le tirannidi vanno abbattute: questo il concetto dello scrittore.

Il poeta suo contemporaneo Giuseppe Parini (che pur essendo prete, mentre Alfieri era anticlericale, aveva in comune con lui alcuni princìpi) lo chiamò «odiatore dei tiranni». Non aveva torto. Sempre parlando contro gli impuniti, Alfieri continuava: «E, quindi, questo “infrangi-legge”, che sia ereditario o elettivo; usurpatore o legittimo; buono o tristo; uno o molti; e, ad ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società che lo ammette è tirannide; ogni popolo che lo sopporta è schiavo».

La lingua italiana è invecchiata, ma i concetti sono chiari e, se non bastano le parole, abbiamo avuto e abbiamo gli esempi davanti agli occhi: non soltanto fuori, ma anche in casa. Alfieri è perfetto nella sua spiegazione: lo si può accettare o no, ma non c’è dubbio alcuno sulla sua chiarezza morale. Conosceva l’Italia e l’Europa, parla dei popoli, dei monarchi, dei primi ministri, di repubbliche e naturalmente di viltà, di sopportazione, di ambizione, di ricchezze e povertà, di morte e liberazione dei popoli.

«L’ambizione d’arricchire, chiamata più propriamente “cupidigia”, non può aver luogo nelle repubbliche, fin ch’elle corrotte non sono; e quando anche il siano, i mezzi per arricchirvi essendo principalmente la guerra, il commercio e non mai la depredazione impunita del pubblico erario, ancorché il guadagno sia uno scopo per se stesso vilissimo, nondimeno per questi due mezzi egli viene ad essere la ricompensa di due sublimi virtù: il coraggio e la fede».

L’ambizione di arricchirsi nasce sulla corruzione, che colpisce anche le repubbliche, le quali – par di capire – si arricchiscono non depredando impunemente il pubblico erario, ma con le guerre e con i commerci. Il guadagno derivato da guerre e commerci serve a compensare gli eroi e la fede. Era un concetto settecentesco, che, a dire la verità, anche nel mondo moderno non tutti, purtroppo, hanno superato: si fa la guerra chiamandola missione di pace e «Consumate, consumate per far girare l’economia», è un grido che ascoltiamo spesso da mercanti d’ogni genere.

«L’ambizione d’arricchire è la più universale nelle tirannidi», continua Alfieri; «e quanto elle sono più ricche ed estese, tanto più facile a soddisfarsi per vie non legittime da chiunque vi maneggia danaro del pubblico. Oltre questo, molti altri mezzi se ne trovano; e altrettanti esser sogliono, quanti sono i vizi del tiranno e di chi lo governa».

Sono sempre parole di Vittorio Alfieri: «Lo scopo che si propongono gli uomini nello straricchire, è vizioso nell’uno e nell’altro governo; e più ancora nelle repubbliche che nelle tirannidi; perché in quelle si cercan le ricchezze eccessive, o per corrompere i cittadini o per soverchiar l’uguaglianza; in queste, per godersele nei vizi e nel lusso…».

Mario Pancera

 

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