di Mario Rossi
Restano pur tuttavia da spiegare i primi scricchiolii che si sono palesemente registrati nella base di consenso di Obama. C’era da aspettarselo, in realtà, che, dopo gli ultra-conservatori, anche una schiera di ultra-radicali denunciasse una progressiva assimilazione di Obama a Bush. Ma era invece meno prevedibile che anche una significativa schiera di supporter della prima ora affermassero, già allo scadere dei cento giorni, la loro delusione. La spiegazione potrebbe trovarsi nel fatto che la crisi è ben più profonda di quanto l’opinione pubblica sia disposta ad immaginare. In una certa misura si può dunque spiegare la delusione che fa capolino con la difficoltà a prendere atto fino in fondo della dura realtà della crisi. […]
È però anche vero che i nodi più grossi da sciogliere sono ancora lì: Palestina e Israele, Afghanistan, Iran. E poi la Cina, la partita più difficile da giocare sul terreno economico: non c’è misura di politica economica interna che possa reggere senza un accordo di fondo con il paese che più di ogni altro condiziona l’economia americana.
La crisi può far collassare tutti i sistemi con cui gli Usa imponevano al mondo intero di accollarsi una parte dell’onere del suo alto reddito. Il sogno di Obama potrebbe essere quello di attutite eil colpo trasmutando poco a poco la leadership basata sulla potenza imperiale in una leadership basata sull’egemonia politica.
Questo quadro che vede Obama mirare ad un nuovo ordine mondiale e non solo a nuove regole di mercato può lasciare aperta la porta alla speranza.
* Stralci da www.eguaglianzaelibertà.it
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