di Alberto Leoncini
Ci sono tuttavia alcune cose che giova sottolineare, a bocce ferme, su alcuni nodi non risolti della neonata compagnia: Air France, come tutti sanno, ha acquisito il 25% delle azioni tramite un aumento di capitale, ma non di Alitalia (o per essere precisi di Alitalia Linee Aeree S.p.A., la fallita capogruppo della vecchia compagnia), bensì di CAI (Compagnia Aerea Italiana S.p.A.). Giuridicamente sono due società assolutamente scisse, la seconda ha inglobato la “polpa” della vecchia Alitalia, e AirOne; tutto ciò con il risultato che AirFrance controlla di fatto una quota di mercato italiano, attraverso CAI appunto, ben più ampia di quanta non ne avrebbe controllata acquisendo la “vecchia” Alitalia, poiché AirOne era esclusa dall’operazione. Dico la controlla di fatto, perché la nuova Alitalia non è in grado, comunque, di sopravvivere autonomamente senza essere inserita nell’orbita AirFrance e nell’alleanza SkyTeam, per vari motivi che cerco di sintetizzare: il nuovo network è concentrato sul corto-medio raggio, ossia su tratte con margini di guadagno più bassi, minor mark-up per unità di ricavo e soprattutto, minor coefficiente di riempimento, senza contare la concorrenza delle Ferrovie, destinata a crescere, e delle low-cost.
Dunque al di là del fatto che, dal 2013, data della fine del lockup fra i soci italiani, ci potrebbe essere un fuggi fuggi in favore di Air France, che rileverebbe le quote cedute, già ora senza quest’ultima CAI è praticamente priva di speranze con un “network”, le virgolette mi sembrano d’obbligo, intercontinentale di 13 destinazioni, che peraltro ha visto la chiusura anche del Roma-Los Angeles, unico timido tentativo di espansione del piano Prato varato la primavera scorsa. Se sono vere le indiscrezioni giornalistiche, tuttavia, sembra che Alitalia viaggiasse in perdita su 11 delle tredici destinazioni. Ossia guadagnasse solo sulla Roma- New York e sulla Milano- New York, in poche parole il vero motivo del dissesto finanziario sta nel fatto che, dove tutti i concorrenti guadagnano, l’intercontinentale appunto, Alitalia concentrasse le maggiori perdite!
Volendo rimanere sul profilo strettamente societario, ad oggi AirFrance detiene una quota più che doppia rispetto a qualsiasi altro socio italiano, difatti le altre “grosse” quote si attestano all’11,8% (Intesa, Immsi…). Ossia meno della metà del pacchetto transalpino.
L’integrazione della flotta con AirOne, poi, non ha risolto un altro problema, tutt’altro che secondario: l’eterogeneità della flotta stessa. Come tutti sanno, Alitalia è stata vittima di una dissennata decisione comunitaria che ha vietato il rinnovo della flotta in cambio dell’ennesima “boccata d’ossigeno” statale, quindi si è ben presto trovata con una flotta mediamente più vecchia rispetto ad altri concorrenti. Ora, parlare di flotta obsoleta, come si è fatto, è esagerato, tuttavia si è poco sottolineato che il vero fattore di diseconomia era l’eterogeneità, appunto, che fa lievitare i costi di manutenzione. Con l’integrazione tale rimane, avendo AirOne portato in dote modelli di aerei diversi, seppur più nuovi.
C’è anche da dire che una flotta ammortizzata per la maggior parte è un vantaggio competitivo non irrilevante poiché la quota di ammortamenti che incidono sul conto economico è minore, riducendo il volume totale dei costi. Ed ecco spiegato perché alla fine conviene tenere in esercizio aerei vecchi piuttosto che fare leasing per averne a disposizione di nuovi per quanto più ecologici e funzionali. Salvo ovviamente acquisirne di nuovi e magari coprirli con ipoteche, a tassi sicuramente più abbordabili di un leasing…
L’operazione, inoltre, ha frustrato le aspettative di redditività di molti risparmiatori italiani che avevano investito sulla vecchia compagnia tramite azioni e obbligazioni, e che ora si ritroveranno con un pugno di mosche. Questo a fronte di un piano AirFrance (della scorsa primavera) che prevedeva l’utile nel 2010, tutelando quest’ultimi. Ossia l’inizio della remunerazione del capitale investito, al lordo delle coperture perdite, in 2 (due!) esercizi di bilancio. Penso che una compagnia del genere si sia affidata ad un serio studio di analisi contabile, quindi mi sembrerebbe attendibile una tale stima, pertanto AirFrance veniva in Italia per guadagnare, evidentemente. Altro che l’unica clinica disposta ad accogliere il malato, come diceva Padoa Schioppa!
Certamente, dal punto di vista francese, è meglio pagare un ottavo di quanto si sarebbe disposti, ottenere una quota di mercato maggiore e le rogne sindacali più o meno risolte. Bisognerebbe vedere se i piccoli investitori e risparmiatori italiani siano dello stesso avviso…
Precedenti puntate:
http://www.abcveneto.com/abcveneto08/articoli/a08/aleoncini.html
https://www.criticamente.it/Article3372.html
https://www.criticamente.it/Article3607.html
https://www.criticamente.it/Article4052.html
Alberto Leoncini
Be the first to comment on "Alitalia, io speriamo che me la cavo"