Lo studio dei poli nell’analisi dei cambiamenti climatici

Il conferimento del premio Nobel per la Pace ad Al Gore per il suo impegno ambientale ha riposizionato una volta di più i riflettori dell’opinione pubblica sui grandi temi legati al cambiamento climatico. Ne abbiamo parlato con il dott. Gianluca Frinchillucci, direttore del “Museo Polare Silvio Zavatti” di Fermo (www.museopolare.it), esploratore ed antropologo instancabile, autore di moltissime pubblicazioni internazionali non solo in ambito polare. Intervista a cura di Alberto Leoncini. 

E’ facile, semplicemente facendo “zapping” imbattersi in fantomatici esperti che usano e abusano di questo grande dramma mondiale per finalità poco più che salottiere. Ben poco viene davvero attuato a livello di prassi legislativa ed amministrativa su scala quotidiana, eppure ormai è chiaro che questi temi non riguardano più lo sparuto villaggio sulla costa est della Groenlandia o la comunità di 50 pescatori nell’Oceano Indiano che rischia di essere sommersa dalle acque, nemmeno l’Africa, grande ferita del nostro stile di  vita, è la sola a soffrire la siccità e la desertificazione. L’Uragano Katrina ha distrutto New Orleans, e senza dubbio quello è stato il punto di non ritorno per palesare in modo definitivo la drammaticità dell’attuale situazione.

Dal 2007 al 2009 è in corso l’Anno Polare Internazionale (IPY), cui l’Italia, pur vantando una delle più avanzate scuole di ricerca polaristica parteciperà in via indiretta e non ufficiale. Questa sarà comunque l’occasione per avere un quadro univoco della situazione a partire dalle aree più sensibili sotto questo punto di vita, i Poli, appunto.

Perché essere ai poli è importante sotto il profilo scientifico e culturale?

La presenza scientifica ai Poli è fondamentale per vari aspetti: perché in quelle aree si possono monitorare i cambiamenti climatici in modo molto precoce, poi perché le culture che si sono sviluppate nell’area artica sono estremamente importanti per lo studio dell’adattamento dell’uomo alla natura, dato il loro rapporto “dialettico” con quest’ultima.  La necessità di stabilirsi in questi ambienti estremi, infatti li ha portati a sviluppare strumenti di ricerca, materiali, tecniche che possono essere utili nella vita di tutti i giorni.

Qual è il ruolo dell’Italia nell’Artico?

L’Italia vanta una tradizione di esplorazione e ricerca di eccellente livello, dai grandi esploratori del passato (dai  fratelli Caboto, al Duca degli Abruzzi, passando per Nobile e Zavatti, di cui io presiedo l’Istituto a lui intitolato) fino ai giovani studiosi che generosamente si interessano a quelle aree nelle basi di ricerca. Inoltre il CNR-Polarnet ha un importante base nelle isole Svalbard.

In che cosa consiste il progetto “Carta dei popoli artici”?

E’ un progetto del quale vado orgoglioso, perché il nostro Istituto Zavatti si è punto di coordinamento a livello internazionale per la catalogazione dei popoli artici e delle loro caratteristiche peculiari da un punto di vita culturale e antropologico. Abbiamo già instaurato rapporti con molti centri di ricerca all’estero che collaborano con noi. Questa attività è particolarmente importante per il futuro in quanto le culture in oggetto stanno scomparendo o sono destinate a denaturare le loro caratteristiche originarie, poterne avere una documentazione sistematica e coerente sarà una grande risorsa specialmente per gli studiosi di domani.

Qual è la situazione antropologica e climatica?

I cambiamenti climatici sono ormai evidenti. È difficile mettere in dubbio il contrario. Non sappiamo bene cosa porteranno ma di sicuro per le popolazioni che vivono nell’Artico gli effetti dei cambiamenti climatici saranno più evidenti e forse anche drammatici. La situazione antropologica degli Inuit è simile a quelle di moltissime altre etnie “ di interesse etnologico”. In questi ultimi anni la loro vita è completamente cambiata e stanno “traghettando” la loro tradizione nel futuro.

Come tutti i periodi di cambiamento la crisi culturale è molto forte. Sono passati in pochi decenni dalle lampade alimentate con l’olio di balena al GPS e dai canti sciamanici alla musica rock. Le nuove generazioni cercano nuove emozioni e vogliono staccarsi dal modello culturale di provenienza. Non c’è bisogno di andare tra gli Inuit per capirlo, basta analizzare come vivono i nostri giovani nei piccoli paesi sugli Appennini.

A mio avviso passato il periodo della ricerca forzata di modelli culturali diversi dal loro mondo, i giovani ricercheranno la loro tradizione e la  trasmetteranno alle future generazioni. Sta a noi lavorare seriamente per aiutarli nel loro difficile passaggio. Più raccoglieremo dati sulla loro storia e  tradizione più la loro memoria avrà qualche possibilità di sopravvivenza. Per culture agrafe la trasmissione della memoria attraverso i racconti e le interviste è fondamentale e a noi aspetta il compito di andare nelle contrade più remote dell’Artico per farlo.

Intervista a cura di Alberto Leoncini

Gianluca Frinchillucci, 39 anni, laureato in Lettere e in conservazione Beni Culturali. Direttore dell’Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti” di Fermo (FM). Ha effettuato ricerche etno-antropologiche  nell’Artico (Groenlandia orientale), nelle Ande, nell’Amazzonia peruviana e in Etiopia. Ha ideato il Progetto di ricericerca “Carta dei Popoli Artici”. E’ curatore del blog http://arcticdreams.blogspot.com

 

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