Anno 2036: comincia un’altra storia?

Come sarà il mondo tra trent’anni? Con quali tecnologie avremo a che fare? Gli Stati Uniti saranno ancora i padroni indiscussi dei giochi geopolitici mondiali? L’economia, la globalizzazione, continueranno a favorire l’accumularsi della ricchezza nelle mani di pochi? E poi, come cambierà la società civile, quale sarà il nuovo equilibrio tra le classi sociali? Prova a guardare nella sfera di cristallo, il ministero della Difesa inglese (MoD). Lo fa ad uso e consumo delle forze armate britanniche, per capire come prepararsi al meglio al mondo che la prossima generazione potrebbe trovarsi davanti [Agnese Licata, Altrenotizie.org].

 


Lo “scenario strategico futuro” – precisa il rapporto stesso – vuole individuare tendenze, portare avanti un’analisi “più probabilistica che preveggente”, perché troppo spesso la storia procede per salti, in modo discontinuo e imprevedibile.

Il Development, Concep&Doctrine Center del MoD tratteggia un quadro a dir poco grigio. Bastano le stime anagrafiche per intuire tutte le tensioni che potranno caratterizzare un pianeta popolato da 8 miliardi e 500 milioni di persone. Tensioni, scontri, se non guerre, già presenti oggi che siamo a oltre 6 miliardi. Il nodo del contendere continuerà ad essere il controllo delle risorse, in un mondo “multipolare”, in cui l’egemonia degli Stati Uniti verrà sfidata da un gruppo di nazioni come Cina, Russia, India, Brasile e Indonesia.

“Gli Stati Uniti – si legge nel rapporto – saranno presumibilmente in grado di sostenere la loro leadership internazione al massimo fino al 2020”. Già entro il 2015 la Cina supererà il Giappone, diventando la seconda economia mondiale. La pressione sul pianeta di una crescita economica che continuerà ad andare avanti ponendosi pochissimi interrogativi, sarà un aumento annuo della domanda energetica mondiale tra l’1,5% e il 3,1%. La storia (come del resto anche il presente) insegna che la concorrenza per il reperimento dell’energia spingerà gli Stati più potenti a trovare accordi bilaterali direttamente con i regimi instabili dell’Africa e dell’America Latina.

Insomma, il ministero della Difesa inglese non sembra dare molte speranze: il neocolonialismo continuerà ad esistere, anzi sarà ancora più forte. Così come il divario tra la ricchezza dei Paesi occidentali e quella del resto del mondo. Del resto, come potrebbe essere diversamente se, come indicano le tendenze demografiche per il 2035, la popolazione dell’Africa sub-sahariana crescerà dell’81%, mentre quella del Medio Oriente arriverà addirittura a +132% ? Di contro Europa, Cina e Giappone dovranno fronteggiare un declino delle nascite. A dispetto dei facili moralismi della Chiesa e di tutti i suoi papi, la mancata diffusione di metodi anticoncezionali condannerà gli abitanti di molte nazioni in via di sviluppo alla miseria più assoluta, oltre a un’emergenza Aids/Hiv che – come sottolineano gli inglesi – “rimarrà dominante nell’Africa sub-sahariana, Asia e Europa dell’Est”.

C’è un altro elemento da considerare. Si tratta di quell’87% di giovani al di sotto dei 25 anni che, tra trent’anni, si concentreranno tutti proprio nel Sud del mondo. Potenzialità inespresse, sprecate, frustrate da una situazione mondiale che li costringe, ancora, ai margini dello sviluppo. Quanto reggeranno le barriere, il filo spinato, le leggi poste oggi a difesa della ricchezza di poche nazioni e contro la sacrosanta richiesta di tanta parte della popolazione mondiale di avere una vita, anche loro, dignitosa se non felice? Disoccupazione, povertà, mancanza di prospettive accomunerà la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Come reagiranno i governi occidentali all’aumento dei viaggi della speranza, all’incontro-scontro tra identità, stili di vita anche molto diversi?

Le previsioni inglesi dicono che l’Europa avrà sempre maggiori difficoltà a mantenere un sistema efficiente di garanzie sociali (il cosiddetto welfare state). E allora, rivolte come quelle della comunità cinese di Milano o quelle meno recenti delle banlieus francesi potrebbero essere l’inizio di un fenomeno futuro con dimensioni e conseguenze ben più ampie?

“È solo per merito dei disperati che ci è data una speranza”, scriveva negli anni 60 Herbert Marcuse in “L’uomo a una dimensione”, citando Walter Benjamin. Saranno i disperati, in quanto unica forza realmente esterna al giogo del potere, a ribellarsi, a dare un impulso diverso al mondo futuro? Non secondo il rapporto britannico. Per gli inglesi la classe rivoluzionaria dei prossimi trent’anni sarà la classe media, quella borghesia che, nelle profezie di Marx, si sarebbe “proletarizzata”.

Basta leggerlo, il perché: “La crescente distanza tra essa (la classe media, ndr) e un ridotto numero d’individui super-ricchi e altamente visibili potrebbe alimentare disillusione verso la meritocrazia, mentre la crescita delle classi urbane inferiori potrebbero portare a una crescente minaccia all’ordine sociale e alla stabilità (…). Di fronte a questa doppia sfida, le classi medie di tutto il mondo potrebbero unirsi, usando l’accesso alla conoscenza, risorse e abilità per avviare processi trasnazionali a favore della propria stessa classe”.

Potrebbero… le probabilità che ciò accada, secondo il MoD, sono superiori al 10% e inferiori al 60%. Ma comunque più probabile che il verificarsi dell’ipotesi marcusiana, proprio per quell’accesso a conoscenze, risorse, abilità che già oggi è un discrimine, una barriera tra chi può avere una voce e chi, invece, è destinato ai margini della società, tra la classe media e gli immigrati, i poveri, “i disperati”.

Tanti altri aspetti affronta il rapporto del ministero della Difesa inglese: una tecnologia (militare e civile) sempre più efficiente ma anche più invasiva e pericolosa; criminalità e corruzione in costante aumento, in una crescente commistione tra illegalità e strutture statali; la scomparsa dei fatti dall’informazione a tutto vantaggio di gossip e notizie non verificabili; l’aumento del radicalismo ideologico e religioso.

Tutto questo, sembra oggi, molto probabile, plausibile, logico. Ma la storia (e quindi gli uomini che la fanno giorno dopo giorno), si è detto, gioca brutti scherzi. Può procedere per decenni su binari prevedibili e lineari per poi, d’improvviso, cambiare direzione o accelerare inspiegabilmente. E basta volgere lo sguardo indietro per rendersi conto di quanto questo sia vero. Basta provare a pensare cosa, trent’anni fa, nel 1977, sarebbe stato possibile prevedere del mondo di oggi. Non certo il crollo dell’Urss. Neanche l’avvento di un nuovo terrorismo, quello islamico. Probabilmente neanche la rivoluzione digitale e internet.

E certamente nessuna delle donne e degli uomini che allora lottarono per riforme sociali come il divorzio e l’aborto avrebbero mai potuto pensare che, trent’anni dopo, si sarebbe tornati a mettere in discussione dei diritti sacrosanti dell’individuo e che si sarebbe dovuti tornare a difendere, con le unghie e con i denti, la laicità dello Stato prima di quella delle coscienze.

Forse aveva ragione un intellettuale scomodo come Pier Paolo Pasolini, quando scindeva nettamente il “progresso” dallo “sviluppo”, affermando che i due processi potevano rivelarsi tra loro antagonisti. Perché la storia è anche questo: progresso ma anche, spesso, regresso. Imprevedibile.

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