La società capitalista è anticristiana

Alle radici stesse del cristianesimo si trova la tendenza alla costruzione di una società di eguali, antigerarchica, di economia solidale e pertanto socialista. Effettivamente, Gesù di Nazareth annuncia il suo messaggio come avvento di una nuova società denominata “Regno di Dio”, la cui proposta economica si trova ampiamente sviluppata nel vangelo di Marco, specialmente in quella che viene chiamata “sequenza dei pani”, che va da 6,34 a 8,30, preceduta da un’introduzione che va da 6,30 a 6,33 [Rubén Dri, Adista].

La parte fondamentale della proposta è formulata in una introduzione in cui si hanno le due scene note come “moltiplicazione dei pani”. Sono due moltiplicazioni, o, meglio, è la scena della moltiplicazione che si ripete. La prima scena è preceduta da un’introduzione che ci dice che, dopo il ritorno dei discepoli dalla missione che Gesù aveva loro affidato (Mc 6, 7-13), egli li voleva portare in disparte per farli riposare, perché “era molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31).

Ma questo non era possibile, perché Gesù, “sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6,34). La metafora del pastore in relazione alla dirigenza politica è nota in tutta la letteratura antica. La usano Omero, Platone, Ezechiele. Si trova nei Salmi biblici, nel-l’Esodo, nel poema di Gilgamesh, nel Codice di Hammurabi. I re sumeri, accadi, babilonesi, neobabilonesi e assiri portavano questa denominazione.

Il problema che qui preoccupa Gesù è che il popolo è disorganizzato. Un gregge senza pastore è un gregge disorganizzato, facile preda dei lupi. In questo modo non ha possibilità di uscire dalla situazione oppressiva in cui si trova. Un popolo senza pastori non è un popolo, è una semplice moltitudine, un insieme di atomi senza capacità di prendere decisioni. La proposta economica non può funzionare in un popolo disorganizzato.

Comprare o condividere

“Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: ‘Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare’. Ma egli rispose: ‘Voi stessi date loro da mangiare'” (Mc 6, 35-37).

In questo dialogo abbiamo la chiave per intendere il significato di entrambe le moltiplicazioni dei pani e, in generale, dell’aspetto economico del progetto del Regno. I discepoli parlano di “comprare” – agoràsdein – mentre Gesù parla di “dare – didonai -. Per comprare è necessario avere denaro. Ma la maggior parte del popolo che va con Gesù è povera, cosicché non sarà possibile comprare il necessario per mangiare. D’altra parte, si tratta di un’azione individuale. Chi ha denaro mangerà e chi non lo ha si terrà la fame.

Si tratta evidentemente di un’economia di accumulazione individuale. Era quella che si stava producendo nella tappa critica in cui l’incorporazione alla sfera del dominio imperiale stava distruggendo le comunità contadine. Inoltre, Erode Antipa aveva realizzato un programma di urbanizzazione, con la fondazione di Tiberiade e la ricostruzione di Seforis, che aveva provocato una vera crisi tra i contadini.

Le élite cittadine nuove o rinnovate a Seforis o a Tiberiade avevano bisogno di terre nei campi adiacenti e questo significava la possibilità dell’uso della forza o della violenza così come la realtà quotidiana di prestiti e debiti, ipoteche ed espulsioni. La terra, che era un “dono divino”, si era trasformata in un “bene commerciale”.

I discepoli partecipavano di questa concezione economica, così come gli zeloti. Lo zelotismo era penetrato profondamente nei settori popolari. Senza dubbio, molti dei componenti del movimento di Gesù venivano da questo movimento e continuavano a subirne l’influenza. Si tratta di un movimento popolare antimperialista, in senso rivoluzionario, ma riformista quanto a strutturazione sociale. Effettivamente, in ciò coincideva con il progetto sacerdotale. Tant’è che non intendeva eliminare il sacerdozio, ma purificarlo.

Gesù, invece, propone un progetto radicalmente diverso, contrapposto. Quello della prima Confederazione di tri-bù, che avevano ripreso i profeti più radicali come Amos, Osea e Michea. La società si deve strutturare attorno al valore centrale del “dono”, del dare, della generosità, della solidarietà.

Ma non si tratta semplicemente di dare come chi dà un’elemosina o chi fa un atto di carità. Non si tratta di “populismo”, di risolvere il problema sociale mediante un programma di distribuzione tra i bisognosi, perché in questo progetto di società non possono esserci bisognosi. Nessuno deve avere fame, come avviene, invece, quando per mangiare è necessario andare a comprare.

Nella narrazione, con la semplice proposta del “dare” che fa Gesù, il progetto è già sufficientemente chiaro per chi ha memoria storica e ricorda i profeti. Ma poiché questo non sempre avviene, perché la memoria molte volte si perde, e i settori dominanti fanno tutto il possibile perché ciò avvenga, il “dare” si completa con il “dividere”: “spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero” (Mc 6, 41).

Se i pani erano solo cinque e quelli che avevano fame 5mila, per quanto li si potesse dividere non sarebbe rimasta a ciascuno neanche una briciola. L’atto di dividere è, come tutto in questa narrazione, simbolico. Se si uniscono “dare” e “dividere”, si ha “condividere”. Dividere per dare, una parte a te e l’altra a me, “condividere”. Il “dare” significa la generosità che deve animare questo “condividere”.

Il suo significato è rivoluzionario, profondamente rivoluzionario. Si tratta di sostituire un’economia di accumulazione individuale o di gruppo con un’altra del condividere. Si tratta di sostituire le relazioni verticali, di dominatori e dominati, con altre orizzontali, fraterne, intersoggettive, di mutuo riconoscimento. Implica cambiare le relazioni sociali, cosa che comporta, a sua volta, un cambiamento profondo dell’individuo.

È logico che questa proposta stupisca i discepoli e li sprofondi nello scetticismo: “Gli dissero: ‘Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?'”. Gesù non si perde in spiegazioni. Va direttamente al dunque, alla pratica: “‘Quanti pani avete? Andate a vedere’. E accertatisi, riferirono: ‘Cinque pani e due pesci'” (Mc 6,37-38).

Questo è molto importante. E non è stato colto da alcun esegeta, se non mi sbaglio. I discepoli continuano a parlare con la mentalità del “comprare”, cioè dell’economia di accumulazione o mercantile. Per chi pensa così, la situazione si presenta come quella di chi deve risolvere il problema della fame di “cinquemila persone” mediante “cinque pani”. Impossibile. Tutto il passaggio, come già ho segnalato, è simbolico. I cinque pani sono in diretta contrapposizione con i cinquemila del racconto che alla fine saranno alimentati. Nella logica dell’accumulazione questo è impossibile.

Per la logica di Gesù o del condividere, il fatto che vi siano solo “cinque pani” è apparente. È lo sguardo individualista, di accumulazione. Sotto questo sguardo i beni sono sempre scarsi, non basteranno mai ad alimentare tutti. Ma la realtà è diversa, poiché alcuni hanno un pane, altri cinque, altri dieci, altri nessuno. Se si condivide, ce n’è per tutti, si crea abbondanza. È questo che Gesù vuole comunicare, ma non lo farà mediante un discorso, bensì nella pratica.

Perciò, dopo il rapporto che gli passano i suoi discepoli, “ordinò loro – epétacsen autòis – di farli mettere tutti a sedere, a gruppi – symposia symposia -, sull’erba verde. E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono – ejortàsthesan -, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane – dòdeka kofìnon pleròmata – e anche dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini” (Mc 6,39-44).

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Diventare popolo organizzato

La suddivisione non si farà in maniera anarchica, disordinata, poiché ciò farebbe sì che facilmente alcuni ricevano più del dovuto e altri meno o niente. La moltitudine riunita non è una semplice moltitudine, è un popolo, o deve arrivare ad essere popolo o, ancora di più, “movimento”, forza agglutinante del popolo. Per questo Gesù “ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull’erba verde”. Il movimento di Gesù non è un conglomerato confuso di individui. Comporta un’organizzazione.

L’ordine di cui si tratta è la riunione dell’insieme in gruppi “di cento e di cinquanta”, che erano le unità di combattimento delle milizie contadine all’epoca della Confederazione di tribù. Non si tratta di eserciti professionali, ma di milizie popolari che formulano modelli per l’organizzazione sociale. O forse, al contrario, l’organizzazione sociale formula modelli per l’inquadramento militare delle milizie. In realtà, milizia e organizzazione sociale conformano un’unità dialettica. Il popolo è organizzato per risolvere tutte le sue necessità, tra cui quelle di difesa militare, senza esercito professionale.

Mille, cento, cinquanta, dieci: queste sono le unità di combattimento dell’antica Confederazione di tribù. Di fronte all’attacco degli eserciti professionali delle monarchie, la Confederazione metteva facilmente in piedi la sua organizzazione militare. Nel racconto evangelico figurano le unità di cento e di cinquanta. Probabilmente sono state le più usate. O le altre non sono state usate nel movimento di Gesù. D’altra parte, a Marco non interessa offrire dati precisi sull’organizzazione. Gli basta segnalare la sua realtà.

Questa organizzazione non è meramente militare, ma fondamentalmente sociale. Così lo era nell’antica Confederazione, come appare chiaramente nel consiglio che Ietro dà a Mosè. Il senso è che distribuisca il potere tra i diversi gruppi per risolvere i doversi problemi umani, religiosi, sociali, politici. È quanto appare con particolare vivacità nella narrazione evangelica.

Effettivamente, lì i gruppi sono denominati sympòsia, parola plurale da sympòsion che secondo il vocabolario significa: 1) convivio, banchetto; 2) gli invitati; 3) sala del banchetto. Il termine non può essere innocente e significare solo “gruppo”, come traducono tanto la Bibbia Latinoamericana quanto la Bibbia di Gerusalemme, la Traduzione Interlineare di Gutiérrez Escalante e Fernando Belo.

Si tratta di unità ricalcate sulle milizie contadine, ma, essendo chiamate sympòsia, con riferimento al banchetto e alla convivialità, evocano una quantità di scene in cui Gesù banchetta, rompendo tutte le regole stabilite dalla società sacerdotale. Gesù vuole un movimento organizzato tanto per la lotta come per la festa, o, meglio, per la festa della vita che richiede sempre momenti di lotta.

I gruppi si siedono sull'”erba verde”, notizia importante che illustra non solo il momento del calendario in cui si realizzò l’evento, cioè la primavera, ma anche e principalmente la relazione di Gesù e del suo movimento con la natura. La scena è come quella di un accampamento.

“Tutti mangiarono e si sfamarono, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini”. Vi sono qui tre temi di grande importanza: il cibo per tutti, la sazietà, le dodici ceste e i cinquemila.

In primo luogo, “mangiarono tutti”. Si supera l’econo-mia in cui mangiano solo quelli che possono comprare. Non bisogna aspettare che la “la coppa si riempia e resti lì”. Nello stesso processo di produzione di beni, questi arrivano a tutti. Le relazioni non sono di dominazione, ma orizzontali, fraterne, di mutuo riconoscimento. La scarsità di beni risponde alla visione distorta del dominatore. Il militante popolare vede che i cinque pani sono migliaia di pani.

L’idea che si ha del messaggio di Gesù è che raccomanda o pone come condizione la povertà, il sacrificio, la mortificazione, la negazione di tutti i sensi. In questo modo si capovolge il messaggio e lo si trasforma in un messaggio di morte, quando è un messaggio di vita. L’affermazione che “tutti mangiarono e si sfamarono” non è circostanziale ma essenziale. Richiama l’essenza stessa del racconto.

Il messaggio del Regno di Dio comporta come momento essenziale la “sazietà” nel suo senso completo, cioè come realizzazione piena di tutte le aspirazioni, gli aneliti, le potenzialità, gli ideali, le utopie dell’essere umano. Sazietà a tutti i livelli, materiali e spirituali; nell’alimentazione, nel vestiario, nell’abitazione; nell’educazione, nella lettura, nell’arte.

Avanzano “dodici ceste”. È il simbolo per eccellenza del popolo delle dodici tribù, della Confederazione in cui tutto si divideva. Dodici è la totalità, tutto il popolo liberato. Servirà qui espressamente distinguere la comunità ebrea, rappresentata dal “dodici”, dalla comunità ellenista, rappresentata dal “sette”, della seconda moltiplicazione che qui non commenteremo.

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Una proposta socialista

Quelli che avevano mangiato “erano cinquemila uomini”. Cinque pani per cinquemila uomini. Così vedeva il problema chi si collocava nell’ambito del progetto sacerdotale. Così lo vede oggi chi si pone nell’ambito del progetto capitalista neoliberista. Se l’economia non cresce, non si può ridistribuire. Come se l’economia già non fosse cresciuta abbastanza per inondare l’universo di beni!

Le prime comunità cristiane compresero perfettamente il messaggio. Effettivamente, “tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (at 2,44-45). A questo passaggio del libro degli Atti degli Apostoli si ispira Marx quando afferma nella celebre Critica del programma di Gotha che solo “nella fase superiore della società comunista” “la società potrà scrivere nella sua bandiera: ‘da ciascuno, secondo le sue capacità; a ciascuno, secondo le sue necessità'”.

Il valore fondamentale che deve unire i membri del cristianesimo è il “dono”, il dare, il condividere. È per questo che una società basata sul lucro, sull’egoismo, come il capitalismo, è essenzialmente anticristiana. Una società cristiana è necessariamente socialista nel senso profondo della parola, cioè una società in cui il valore fondamentale sia quello della condivisione.

Rubén Dri è docente di Filosofia e Scienze dell’Educazione alla Facoltà di Scienze Sociali dell’Università Nazionale di Buenos Aires, e autore, tra l’altro, del libro “Processo alla Chiesa argentina: le relazioni tra la gerarchia ecclesiastica e i governi di Alfonsín y Menem”.

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