Equo e libero scambio

Il punto è stabilire quale forma debba assumere la globalizzazione. Nessuno ha il diritto di appropriarsi di questa parola per giustificare le proprie scelte a riguardo. La globalizzazione che non antepone i diritti del popolo degenereràƒ probabilmente in tirannia, forse oligarchica e oligopolistica, basata sulla concentrazione di poteri statali e privati strettamente collegati tra loro, difficilmente controllabili dal pubblico [Noam Chomsky].

Per la cronaca, sono a favore della globalizazzione. Questo è stato tanto vero per la sinistra quanto per i movimenti sindacali a partire dalle loro moderne origini. E’ la ragione per la quale ogni sindacato viene definito internazionale. Ed è la ragione per la quale ci sono stati numerosi tentativi tutti abortiti di formare delle internazionali. Ed è per questa ragione che ho sempre considerato, e ripetutamente scritto, che i movimenti di giustizia sociale degli anni passati, gli incontri annuali a Porto Alegre, Mumbai e altrove (e che adesso hanno generato molti social forum in ambito locale) sono probabilmente la base di una vera internazionale. Che vuole dire: globalizzazione che rende prioritari i diritti dei popoli, dei popoli veri, quelli in carne e ossa.

In realtàƒ i più entusiastici sostenitori della globalizzazione sono coloro che partecipano al World Social Forum e alle manifestazioni collegate quali i Via Campesina Meeting. Non conosco nessuno che si opponga alla globalizzazione -la quale sarebbe integrazione internazionale, economica e di altri genere- eccetto forse pochi fervidi appassionati.

Dunque da un certo punto di vista le aziende e i lavoratori concordano. Sono tutti a favore della globalizzazione, nel senso tecnico della parola, non nel senso dottrinale del quale si sono appropriati i difensori dei diritti degli investitori che hanno costruito il cosiddetto “accordo del libero scambio”, con le loro complesse misure di liberismo, protezionismo e minacce al controllo democratico popolare sulla politica.

Il punto è stabilire quale forma debba assumere la globalizzazione. Nessuno ha il diritto di appropriarsi di questa parola per giustificare le proprie scelte a riguardo. La globalizzazione che non antepone i diritti del popolo degenereràƒ probabilmente in tirannia, forse oligarchica e oligopolistica, basata sulla concentrazione di poteri statali e privati strettamente collegati tra loro, difficilmente controllabili dal pubblico.

Libero scambio di merci, capitali e popoli.

Non capisco come sia possibile parlare di “libero scambio” con la faccia seria. Mettendo da parte le manifeste violazioni del “libero scambio” messe in atto nel WTO stesso –per esempio la garanzia di un prezzo monopolistico che nella storia economica non ha precedenti– cosa vuole dire per le entitàƒ politiche che si relazionano al dinamico settore di stato per lo sviluppo economico (come nel caso statunitense) adottare “accordi di libero scambio”? Sono presenti talmente tanti inganni nel modo in cui vengono formulate le varie istanze che alla fine risulta impossibile procedere senza dover prima dipanare una complessa matassa di dottrina mitologica. Concordo con il filosofo economista del 18à‚° secolo Adam Smith il quale afferma che il libero movimento dei popoli è il nucleo principale del libero scambio. Per quanto riguarda il libero movimento dei capitali, questo è un discorso completamente diverso. A differenza delle persone fatte in carne e ossa, il capitale non detiene alcun diritto, almeno secondo gli standard classici/illuministi liberali. Appena portiamo il discorso della libertàƒ di movimento sui capitali, nonostante si debba affrontare il fatto che almeno per principio le persone abbiano pari diritti, in una societàƒ giusta, parlare dei capitali obbliga invece ad affrontare la realtàƒ : parliamo di coloro che posseggono questi capitali i quali, è ovvio, sono ampiamente favoriti in termini di potere. Nel mondo reale il libero movimento di capitali implica una radicale diminuzione della democrazia per ovvie ragioni che sono state comprese da lungo tempo. Parlare di capitale e lavoro come se fossero sullo stesso piano è decisamente fuorviante al punto che una discussione onesta partendo da queste premesse non è possibile.

Una globalizzazione che sia giusta.

Per affrontare e decidere come debba esprimersi una giusta forma di globalizzazione dobbiamo prima chiarire la situazione riguardante il controllo della produzione, della distribuzione, dell’informazione e dei commerci: controllo democratico o autoritario? Sono tutti pre-requisiti per una corretta discussione sulle interazioni attraverso i confini — ipotizzando che in un mondo onesto ci debbano essere dei confini. (Non credo ci debbano essere ma questo è un altro argomento che richiederebbe un discorso a sè)

Troppe domande importanti sono taciute quando chiediamo una giusta forma di globalizzazione. Lo stesso si potrebbe dire, anche se in modo molto più marginale, per gli investimenti stranieri in paesi dove siano assenti i benefici delle prolungate lotte popolari per i diritti più elementari, inclusi i diritti conquistati sul posto di lavoro. Tanto la Wal Mart, una multinazionale che importa i prodotti dai suoi stabilimenti esteri, quanto i lavoratori, hanno tutti gli interessi a produrre beni a basso prezzo: ma fino a un certo punto. Sono presenti chiare difficoltàƒ per la forza lavoro. E ci sono tanti altri esempi.

La questione riguardante la potenza economica cinese è complicata. Da un lato, gran parte della capacitàƒ produttiva del paese è posseduta dagli stranieri, con una crescita notevole in ambito hi-tech. Dall’altro sono in crescita le disparitàƒ economiche interne alla Cina. A parte questi punti cruciali, i movimenti che lottano per la giustizia sociale dovrebbero sostenere, e normalmente lo fanno, la crescita economica in Cina, o altrove, esattamente come fanno qua: cioè non farlo se questo vuole dire rovinare la gente che lavora e lasciare i poveri contadini nella fame o se questo contribuisse alla distruzione dell’ambiente nel quale i nostri nipoti dovranno vivere.

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