Attac Italia: verso la conferenza dei comitati locali

La Conferenza dei Comitati Locali di ATTAC Italia è convocata per i giorni sabato 19 e domenica 20 Novembre a Roma. Alla Conferenza possono partecipare tutti. E’, comunque, necessario che ogni Comitato Locale nomini un proprio delegato che possa portare nella Conferenza le valutazioni del proprio comitato sul documento politico e altre proposte o suggerimenti. E’ particolarmente importante la presenza dei Comitati che si sono costituiti di recente per conoscerci collettivamente. [Fonte: Attac Italia]


1. Il re è nudo, le promesse finite

L’uragano Katrina ha fatto molto più che seminare morte e distruzione nella cittàƒ di New Orleans e nello Stato della Louisiana : ha scoperchiato il vero volto del modello sociale americano, mettendo tragicamente in mostra le profonde disuguaglianze sociali su cui è fondato. Centinaia di migliaia di persone allo sbando, prive di un sistema di sicurezza comune, costrette, nel paese più ricco del pianeta, a far ricorso unicamente alle opportunitàƒ individuali, alla solitudine competitiva del “si salvi chi puàƒÂ²”. E si è salvato chi, per censo o per potere acquisito, ha potuto trovare la propria soluzione personale e familiare, rivelando un’inedita tragedia di classe che ha falcidiato i poveri, gli esclusi, le minoranze etniche. Di più. L’uragano Katrina ha reso tragicamente evidente, rendendola drammatica quotidianitàƒ , l’insostenibilitàƒ di un modello di sviluppo affidato all’invisibile mano del mercato e della competitivitàƒ individuale e internazionale. La contraddizione capitale/natura ha dimostrato come il modo di produzione capitalistico distrugga le basi stesse della sua riproduzione, mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza della vita sul pianeta. E ancora. L’uragano Katrina ha definitivamente chiarito chi paga la guerra. I popoli iracheno, afgano, palestinese e tutti i popoli invasi militarmente; ma anche le fasce deboli della popolazione americana, private delle più elementari garanzie di sicurezza sociale, dai sistemi di prevenzione alle cure sanitarie, ai mezzi per la ricostruzione. Le risorse pubbliche hanno come unica destinazione il complesso militare industriale, gli “aiuti” alle imprese che non creano maggiore occupazione o migliori condizioni per lavoratrici e lavoratori ma sostengono solo i profitti, la repressione militare e poliziesca del disagio sociale. Lo stato non scompare ma si focalizza sul garantire un adeguato livello di profitti, immediato ed in prospettiva, alle grandi multinazionali. L’uragano Katrina è in sostanza la metafora chiara di un re improvvisamente nudo di fronte alla societàƒ planetaria della comunicazione di massa. Le promesse del liberismo sono state travolte. Al loro posto le facce sgomente, concrete e reali, di donne, uomini e bambini soli, tra le macerie del passato e l’impossibilitàƒ del futuro.

 

2. Meno consenso, maggiore ferocia

Di fronte ad una crisi da sovrapproduzione che data dalla metàƒ degli anni ’70, le politiche neoliberiste si sono poste come obiettivo il mantenimento di un livello elevato di profitti, intensificando lo sfruttamento della forza lavoro, dell’ambiente e della societàƒ ; hanno reso – tramite precarietàƒ e disoccupazione – lavoratrici e lavoratori più deboli e hanno aperto al capitale, con le privatizzazioni, spazi per sicuri profitti monopolistici; hanno dato vita ad un processo di fusioni ed acquisizioni, distruggendo capacitàƒ produttiva in eccesso e mettendo in concorrenza le diverse aree territoriali per avere il privilegio di essere sfruttate. Questo processo, pur ristabilendo margini di profitto, non avvia nuove fasi espansive. Ed ora sono finite le promesse del neoliberismo. L’ idea che da un mondo interamente consegnato al mercato non potesse scaturire altro che guerre senza fine, catastrofi ambientali e quotidianitàƒ precaria non è più solo complessa teoria degli attivisti di movimento, bensàƒÂ¬ consapevolezza diffusa a livello popolare. Il prossimo annunciato arrivo della “pandemia” dell’influenza aviaria non è che l’ultimo esempio di diffusione di una insicurezza planetaria e di un sentimento di precarietàƒ generalizzata della vita. Un allarme peraltro ben orchestrato dalle multinazionali del farmaco, per nulla interessate alla prevenzione, bensàƒÂ¬ pronte a speculare sui pochi farmaci che potrebbero essere efficaci in caso di contagio. Farmaci naturalmente disponibili solo per chi puàƒÂ² pagarli a caro prezzo, in ossequio solo alla indecente sacralitàƒ dei brevetti, che strangola la capacitàƒ di produzione pubblica, ma anche privata, dei farmaci realmente utili. La fiducia nel neoliberismo si è incrinata, ma non è finito il neoliberismo, che risponde con ancor più ferocia alla generalizzata perdita di consenso. D’altronde il nodo è tutto qui: la guerra globale permanente, le politiche di precarizzazione del lavoro e della vita, la mercificazione dei beni comuni e la messa sul mercato dei servizi pubblici appaiono necessarie alla sopravvivenza stessa ed allo sviluppo del modo di produzione capitalistico. Il naufragio di ogni ipotesi di gestione temperata mostra come senza quelle politiche, la crisi del modello sarebbe irreversibile. Libero mercato legittimato da elezioni formali, controllo autoritario dei conflitti sociali : sono questi gli elementi che oggi costituiscono il concetto neoliberista di democrazia, da realizzare all’interno dei paesi occidentali e da esportare con le armi nel resto del mondo. E ad ogni contraddizione si tenta di rispondere con un’ulteriore accelerazione. Un treno in corsa, da far deragliare con una forte mobilitazione popolare contro gli effetti delle politiche neoliberiste.

 

3. Ripartire dall’Europa

Il conflitto è divenuto palese anche all’interno del continente europeo. Da una parte prosegue l’inasprimento delle politiche liberiste, delle quali la direttiva Bolkestein rappresenta il simbolo e il più compiuto tentativo di smantellamento dei diversi modelli di stato sociale presenti in Europa, dall’altra arrivano netti segnali di inversione di tendenza. L’esito delle recenti elezioni tedesche dimostra come la strada aperta dal protagonismo sociale dei movimenti, che ha portato allo straordinario doppio NO di Parigi e Amsterdam al referendum sul trattato costituzionale europeo, non sia stato un episodio. Oggi come allora, la resistenza dei popoli europei allo smantellamento dei diritti del lavoro e dello stato sociale dice a chiare lettere come l’Europa disegnata dalla strategia di Lisbona – un unico mercato gestito dai poteri finanziari e basato sulla liberalizzazione dei beni e dei servizi- puàƒÂ² non passare. Di più. I recenti risultati elettorali in Germania, dove alla sconfitta del governo si è associata quella dell’opposizione di centro destra, che contro ogni previsione è arretrata di un punto percentuale, e la forte affermazione di Die Linke, aprono un percorso nuovo, evocativo di significati che, esulando dalla specifica esperienza, potrebbero divenire indicazioni generali. Per la prima volta, infatti, il rifiuto delle politiche liberiste non ha prodotto un voto che premiasse l’alternanza, bensàƒÂ¬ ha coagulato forze e aperto uno scontro a sinistra sul modello sociale nell’epoca della globalizzazione neoliberista; il fatto che questo sia avvenuto, dopo la vittoria nei referendum francese e olandese, nella patria storica della socialdemocrazia fa presagire una tendenza con cui potremmo confrontarci presto in tutto il continente europeo. Appare sempre più chiaro come lo scontro in questa fase, nei singoli paesi e a livello continentale, si vada declinando intorno a due nodi fondamentali: l’economia e la sfera pubblica. Le lotte contro gli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e delle istituzioni finanziarie mondiali, le campagne europee per il ritiro della direttiva Bolkestein, i conflitti sociali in corso in ogni paese sono segnali di protagonismo sociale e di resistenza. Sono necessari ma non ancora sufficienti. La fine delle promesse neoliberiste chiede a tutti un salto di qualitàƒ per passare dalla resistenza alla proposta di alternativa, un “di più” di coraggio teorico e pratico per approfondire le coordinate di un nuovo modello sociale. Il nodo dell’economia, inteso nel suo senso più ampio di modello di sviluppo sociale, chiede di andare oltre lo scontro tra politiche neoliberiste e nuove politiche -pur necessarie- di semplice stampo neokeynesiano (un po’ più di intervento pubblico, un po’ più di beni comuni sottratti al mercato, un po’ più di garanzie sociali e del lavoro). La stessa affermazione dei movimenti sulla scena politica e sociale degli ultimi anni pone agli stessi il problema delle scelte sulla produzione, della riappropriazione democratica dell’economia da parte dei lavoratori, delle lavoratrici, dei cittadini e delle cittadine, di ridefinire i concetti di sviluppo e di rapporto con l’ecosistema. Occorre rimettere in moto la critica e la messa in discussione dell’intero modello di globalizzazione, lavorando alla costruzione di un modello di societàƒ alternativo. La crisi economica strutturale, l’evidenza di una insostenibilitàƒ ecologica e sociale del modello neoliberista oggi chiedono di passare dai movimenti di consumo critico e dalle lotte contro le privatizzazioni – che, procedendo per tentativi di sottrazione successiva di beni comuni dalle voraci mani del mercato, puntano comunque a condizionare, dal basso, dai nodi di una rete, produzione e gestione delle risorse – ai movimenti per la produzione critica: l’intera societàƒ deve essere coinvolta sulle scelte del “cosa, come, quanto e per chi produrre”. E’ necessario un progetto politico di trasformazione globale della societàƒ esistente, che ricominci a declinare forme pubbliche e partecipate di pianificazione della produzione e dell’uso delle risorse, di controllo della produzione a monte e non più solo a valle dei processi. PerchàƒÂ© vogliamo che il pianeta sopravviva, ma non abbiamo rinunciato alla felicitàƒ . Qui si inserisce il secondo nodo, quello della sfera pubblica. Che è in primo luogo l’affermazione dei beni comuni e dei servizi pubblici come oggetto del contratto sociale per vivere assieme, non negoziabili e indisponibili al mercato. Ma è anche ricerca e sperimentazione di forme della partecipazione e della democrazia che devono saper superare la forme ancora arcaiche e testimoniali con cui sono costantemente evocate, anche all’interno dei movimenti, per divenire pratica concreta di governo sociale dei territori, di autogestione plurilivello dei cicli integrati di produzione, consumo e riproduzione sociale. Tutto ciàƒÂ² rende indispensabile e fondamentale investire sulla dimensione internazionale e da questo punto di vista abbiamo due luoghi essenziali dove agire, sfruttando la dimensione internazionale di Attac e la nostra presenza nei Forum Sociali. Si è avviato un percorso in Europa per un coordinamento degli Attac Europei. Occorre rafforzare questo percorso e portare i nostri temi e le nostre iniziative al suo interno. L’alternativa al Trattato Costituzionale Europeo si costruisce dando gambe per camminare ai movimenti sociali. Un primo esempio delle potenzialitàƒ di questo percorso è stata la rete contro la direttiva Bolkestein lanciata a Londra, al Forum Sociale Europeo: proprio questo deve diventare sempre più il luogo dove si costruiscono reti, campagne, vertenze europee. Tale processo non dovràƒ e non potràƒ tuttavia limitarsi alla sola dimensione europea: dall’America Latina, all’Africa, all’Asia emergono movimenti ed alternative che aprono prospettive inedite di superamento del liberismo e di alternative di societàƒ . Dopo il Social Forum di Mumbay si puàƒÂ² cominciare a parlare di effettiva dimensione globale del movimento. E’ un percorso da incoraggiare e rafforzare: il World Social Forum deve prevedere un’agenda di iniziative comuni accanto all’evento dell’incontro tra i vari soggetti.

 

4.Ripartire dai movimenti

In Italia un ciclo dei movimenti si è da tempo concluso. E’ quella fase che, partendo da Genova sino alla imponente mobilitazione contro la guerra del 15 febbraio 2003, ha visto i movimenti rimettere in campo un protagonismo sociale, capace di porre in discussione l’intero modello teorico fondato sull’indiscutibilitàƒ del pensiero unico del mercato. E’ una fase in cui quell’ “è possibile”, declinato di volta in volta su un tema specifico, ha definito le coordinate di un dirompente superamento delle compatibilitàƒ date. In cui il “senza se e senza ma” ha rimesso in campo elementi di un nuovo sistema valoriale di riconoscimento collettivo. E’ la fase della fine della delega a prescindere, che presumeva l’ accettazione della separatezza tra la societàƒ e le istituzioni della democrazia rappresentativa, per riaffermare nuove forme di protagonismo e di rappresentanza sociale. L’attuale fase del movimento vede degli elementi di evoluzione accanto ad altri di difficoltàƒ . In questi ultimi anni, da una parte il movimento si è infatti territorializzato, radicandosi con maggior capacitàƒ nei conflitti sociali, dall’altra ha perso luoghi di ricomposizione unitaria, anche territoriali, col risultato di vederne diminuita la sua efficacia e la capacitàƒ di incisione politica. Un movimento con una forte domanda di partecipazione politica, che ha saputo modificare nel profondo culture e modi di pensare della societàƒ , ma che risente ancora delle modalitàƒ con cui tradizionalmente la politica istituzionale si è rapportata ai movimenti sociali. Superare la separazione delle istituzioni politiche dai bisogni della maggioranza della popolazione è divenuto ancora più arduo in questi venti anni di politiche neoliberiste e di sistema maggioritario. E i diversi modi di relazionarsi alle forme della democrazia rappresentativa di aree e parti di movimento si rivelano del tutto insufficienti : non porta da nessuna parte la riaffermazione della separatezza, intesa come autonomia e superioritàƒ del sociale, come sembrano privilegiare ampie porzioni del mondo solidaristico, in particolare di matrice cattolica. Non modificano nulla della sostanza del problema neppure le “incursioni”, in parte sanamente provocatorie, in parte decisamente opportunistiche, praticate da porzioni delle aree disobbedienti. E non è utile alla costruzione di un altro mondo possibile neppure la subalternitàƒ al quadro politico-istituzionale dato, per cui si subiscono le scelte fatte nei luoghi tradizionali della politica istituzionale, adattandosi di volta in volta alla scelta del “meno peggio”. Il problema è più ampio e ha a che fare con la capacitàƒ dei movimenti di produrre attraversamenti della politica istituzionale, portando con sàƒÂ© i propri contenuti, le proprie capacitàƒ di analisi, le proprie istanze di radicalitàƒ , ma riuscendo di volta in volta a conquistare per la societàƒ nuovi spazi di sovranitàƒ . Sapendo che il miglior modo per produrre cambiamento reale è lavorare per la permanenza dei movimenti in campo, non come mera registrazione burocratica della propria esistenza, bensàƒÂ¬ come capacitàƒ di incidere nel divenire concreto dei conflitti in corso costruendo sempre più vertenze e campagne ed unificandole. Si ripropone quindi ancora con più forza il tema della democrazia partecipativa come strumento dei movimenti. Democrazia partecipativa vista non tanto come un modello da copiare o come la ricerca di spazi di partecipazione subordinata, ma come una tensione costante tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Democrazia che vive nella conflittualitàƒ sociale e nell’azione dei movimenti per spostare i rapporti di forza, come ricerca di spazi di autogoverno e autogestione che emergono dalle lotte sociali per porre sempre più settori fuori dalla logica del capitale e del mercato.

 

5. Non esistono governi amici, occorre costruire l’alternativa

Proprio per la pratica dei movimenti, oltre che per il fatto che “amici non si nasce, casomai si diventa nelle circostanze della vita”, non ha alcun senso parlare di “governo amico”. Per i movimenti esistono sicuramente i governi nemici, e l’attuale Governo Berlusconi è inequivocabilmente uno di questi. Per questo dobbiamo considerare come obiettivo politico forte e da perseguire la sconfitta elettorale della coalizione di centro-destra, che in cinque anni di governo ha coinvolto il paese nella guerra globale permanente, ha aumentato in maniera esponenziale la disuguaglianza sociale e l’impoverimento di larghe fasce della popolazione, ha stravolto in senso eversivo le garanzie costituzionali e democratiche, ha sottratto diritti sociali e beni comuni per consegnarli ai poteri finanziari, ha demolito tutte le normative di tutela ambientale, ha fatto dei migranti, dei poveri e dei diversi il bersaglio dell’aggressivitàƒ sociale. Ma la cacciata di Berlusconi non puàƒÂ² essere nulla più che un momento di un percorso, non certo la sua conclusione. Un momento necessario ed interno ad un confronto e a un conflitto forte per il superamento delle politiche liberiste e di guerra, di cui è intrisa anche la componente maggioritaria della coalizione dell’Unione. Abbiamo giàƒ in atto numerosi esempi di berlusconismo senza Berlusconi: governi regionali ed amministrazioni locali nominalmente antiberlusconiani, che portano avanti in modo zelante ed efficace i dogmi del liberismo, dalle privatizzazioni alla subordinazione di tutte le esigenze della vita biologica, civile e sociale alle esigenze del capitale. La cacciata di Berlusconi e del neoliberismo si ottiene rafforzando un blocco sociale contro tali politiche. Vanno costruite campagne, iniziative, vertenze; si deve promuovere l’autorganizzazione tra le soggettivitàƒ sfruttate, per evidenziare che un’alternativa radicale è possibile: è necessario dare una prospettiva diversa a fasce popolari che hanno sostenuto queste politiche in mancanza di alternative che modificassero la loro reale situazione. Non si tratta di pensare a due fasi distinte- prima si caccia Berlusconi e poià¢â‚¬Â¦- . L’iniziativa del movimento è giàƒ la costruzione dell’alternativa al berlusconismo ed al neoliberismo. Quanto più questa azione non si fa condizionare dalle “compatibilitàƒ “, tanto più aumentano le possibilitàƒ di raggiungere l’obiettivo. Ecco perchàƒÂ© la permanenza dei movimenti deve diventare uno degli obiettivi di Attac, da perseguire nella ricerca di unitàƒ a partire dalla radicalitàƒ dei contenuti e dalla messa in campo di campagne che sappiano incidere sull’agenda politica. Da questo punto di vista, il percorso intrapreso con altre reti associative e sindacali, denominato “Cambiare si puàƒÂ²” rappresenta uno strumento su cui investire energie, per tentare una ricostruzione del movimento che non si limiti ad un cartello di associazioni nazionali, per tentare di trovare e ritrovare luoghi di ricomposizione ed organizzazione e per aprire iniziative che ne consentano una maggior efficacia politica. Attac si è sempre mosso in questa direzione: valorizzazione dell’autonomia della politica dei movimenti, campagne su temi forti nel tentativo di spostare in avanti le contraddizioni presenti, ricerca della partecipazione sociale. Si tratta di riaprire una stagione dei movimenti, che, a livello nazionale ed europeo, sappia raccogliere quanto fin qui seminato in termini di critica della globalizzazione neoliberista e di apertura di conflitti sociali per porre le basi per una trasformazione della societàƒ . Ci troviamo di fronte alla necessitàƒ di superare la frammentazione dei soggetti sociali esistente. Le politiche sociali ed economiche attuali aumentano il numero di persone sfruttate, precarizzano e ed escludono fasce sempre più grandi di popolazione. Lo sfruttamento si consolida nella dispersione delle filiere territoriali e delle catene di subappalto, nell’esplodere delle tipologie di contratti di lavoro, nella maggior differenziazione sociale, culturale, nazionale e di genere delle e degli sfruttati. Questo processo crea frammentazione e si declina su diversi livelli oltre a quello lavorativo:-si viene sfruttati come cittadine e cittadini, ridotti ad utenti/consumatori e privati dei beni comuni, divisi tra “cittadini” e “immigrati”, privati sempre più dei diritti civili in nome del securitarismo, esclusi quando non ritenuti forza lavoro utile; – si viene ridotti a consumatori, individualizzati e mercificati; viene imposto il calcolo economico ed utilitaristico come unico metro di giudizio; si viene schiacciati dal potere delle multinazionali che, tramite la finzione del “libero mercato”, costringono ad un modello di consumi, e quindi di produzione, insostenibile per l’ambiente e per la nostra stessa salute; – si viene ad essere aggrediti da forme di nocivitàƒ vecchie e nuove, in logiche di produzione e gestione delle merci gestite sempre più dal capitale in modo esclusivo ed autoritario; – si riacutizzano le spinte ad una divisione di genere di stampo patriarcale; – ritornano in campo i diversi fondamentalismi religiosi come supporto del fondamentalismo del capitale. Al tentativo di mettere gli uni contro gli altri, dobbiamo rispondere con un progetto di riaggregazione dei soggetti sociali, di abbattimento delle frontiere che ci vengono imposte per far sàƒÂ¬ che le diversitàƒ non diventino divisioni: un progetto che non si costruisce in laboratorio ma che vive e si realizza a partire dai bisogni e dalle lotte. Si tratta quindi di lavorare nei movimenti per costruire campagne e reti che partano dai bisogni sociali che il neoliberismo non soddisfa, aggregando le diverse soggettivitàƒ , e i diversi ambiti in cui le soggettivitàƒ vengono frammentate, su obiettivi comuni che facciano da ponte tra l’immediatezza dei bisogni e delle lotte ed un prospettiva globale di costruzione di una societàƒ e di un’economia diverse. Attac nei movimenti sociali puàƒÂ² dare un contributo utile ed originale a questa prospettiva. Con la consapevolezza che si apre un percorso lungo, aspro come lo è la crisi in corso, denso di difficoltàƒ quante sono le domande a cui deve rispondere: l’unico possibile per costruire una vera sinistra di alternativa europea su solide basi, dal basso e in forma partecipata; per costruire un blocco politico-sociale capace di mettere insieme soggetti sociali, forze associative, sindacali e politiche che facciano della diversitàƒ elemento di forza, della partecipazione democratica il proprio elemento fondativo, e della propria radicalitàƒ il segno di un cambiamento possibile. A questo percorso intendiamo dare come Attac il nostro contributo di approfondimento di analisi e di riflessione politica, e il nostro apporto di mobilitazione. Attraverso le seguenti campagne sulle quali riaffermiamo l’impegno diretto e il coinvolgimento dell’intera associazione.

 

Campagne dell’associazione

 

1. CAMPAGNA TASSA TOBIN

La Campagna per la Tobin Tax (TT) in Italia si inquadra in una campagna europea che intende promuovere l’adozione della TT in tutti i paesi della zona euro, compresa la piu’ importante piazza finanziaria europea, l’Inghilterra. Sostegno alle campagne nei singoli paesi, azioni di pressione e sensibilizzazione sui singoli Parlamenti nazionali e su quello europeo, importanti scambi di ‘esperti’, sono le finalita’ del gruppo europeo nel quale abbiamo portato tutte le forti motivazioni politiche che hanno caratterizzato il percorso della Tobin Tax in Italia In Italia sono terminate le audizioni Parlamentari, l’ultima, il 21 aprile 2005, ha visto la presenza dell’economista finlandese Heikki Patomaki, dell’eurodeputato inglese Glynn Ford e del giurista belga Lieven Denys e di una nostra delegazione in qualitàƒ di auditori. In precedenza la nostra stretta e proficua collaborazione con il Vice presidente delle commissioni riunite, On. Alfiero Grandi, ha permesso di avere altri due illustri relatori, il prof. Spahn (proponente il doppio tasso per la TT, un tasso debole in casi ‘normali’ ed uno alto in caso di attacchi speculativi) e il capo di gabinetto economico francese prof. Landau (primo autore del cosiddetto ‘Rapporto Landau’, commissionato da Chirac per analizzare le possibilita’ di finanziare gli obiettivi di abbattimento della poverta’ nel mondo attraverso tassazioni globali). Tutte le audizioni sono scaricabili da: http://www.italia.attac.org/tobin/p… Riteniamo ora che, avendo compiuto tutto l’iter nelle apposite commissioni,la proposta di legge di iniziativa popolare presentata dal Comitato promotore – con un Attac Italia in primissima fila -, forte delle oltre 178.000 firme raccolte, abbia superato le piu’ autentiche ‘Primarie’ e che conseguentemente nella prossima legislatura si debba giungere all’adozione della legge, anche in quanto non sono emersi nel dibattito in commissione sostanziali argomenti contrari (o quando sono stati posti si sono rilevati solo prettamente ideologici e mai di merito). In questa logica il Comitato Italiano per la Tobin Tax Europea intende ora indirizzare a tutte le forze dell’Unione una richiesta ufficiale per inserire nel loro programma di governo l’introduzione della Tassa Tobin, in tempi certi e predefiniti , mantenendo inalterata la proposta di legge di iniziativa popolare per quel che riguarda il tasso prescelto, adottando pero’ il tasso “forte” della ‘variante Spahn’ nel caso di attacchi speculativi.

Comitato Italiano Tobin Tax Europea

2. CAMPAGNA STOP BOLKESTEIN

La campagna Stop Bolkestein è stata lanciata a livello europeo nell’ottobre 2004 al FSE di Londra. Fra i promotori principali la rete europea di Attac e le reti sindacali. In Italia il lancio è avvenuto nel gennaio 2005, su iniziativa principale di Attac Italia e della FP Cgil, le due organizzazioni che da subito hanno seguito l’iter della direttiva e lanciato l’appello alla mobilitazione. La campagna ha visto l’adesione immediata di quasi tutte le reti del movimento italiano, dei sindacati di base e di importanti categorie della Cgil (oltre alla funzione pubblica, la Fiom, la Fillea, la Flc e la Filcem); mentre dal punto di vista politico ha messo insieme uno schieramento che vede Sinistra Ds, Verdi, Pdci e Prc. La campagna si è articolata con decine di iniziative di dibattito nei territori e con una raccolta di firme – giunte oggi a diverse decine di migliaia – da inviare al Parlamento Italiano ed Europeo per chiedere il ritiro della direttiva. Forti appuntamenti di mobilitazione sono stati la manifestazione europea a Bruxelles del 19 marzo scorso e l’appuntamento -in preparazione mentre scriviamo la giornata europea del 15 ottobre – con manifestazioni nazionali, in particolare a Roma. La Campagna Stop Bolkestein è un ulteriore tassello del lavoro che come Attac abbiamo lanciato ormai più di due anni fa sulla questione del pubblico/privato, della lotta alle privatizzazioni dei beni comuni e dei servizi pubblici, della ricerca di un nuovo concetto di pubblico partecipato. Il risultato politico sin qui ottenuto è stato senz’altro quello di aver reso le questioni di cui sopra centrali per la pratica dei movimenti, riuscendo nel contempo a staccarle dal vecchio dibattito “stato/privato” ed innescando invece il percorso della partecipazione e della democrazia come fondative di un nuova idea di pubblico. Contemporaneamente, il lancio della ricerca nazionale sui servizi pubblici – attualmente in corso – insieme a FpCgil, Arci e ad Associazione Rete Nuovo Municipio, ha consentito un salto di qualitàƒ anche politico nella contaminazione di settori (mondo del lavoro, enti locali) proprio sul tema della lotta alle privatizzazioni. Dopo la manifestazione del 15 ottobre, la Campagna Stop Bolkestein prevede un percorso europeo di mobilitazione, di cui le prossime tappe saranno il 21 – 22 novembre (quando la Commissione Mercato Interno del Parlamento Europeo torneràƒ a riunirsi per votare gli emendamenti sulla direttiva) e gennaio 2006, quando è previsto l’arrivo in Aula della direttiva. Fermare la Bolkestein è un obiettivo difficile, ma la doppia vittoria del NO in Francia e in Olanda al referendum sul Trattato Costituzionale, le elezioni tedesche che hanno visto la sconfitta delle politiche liberiste sia del Governo uscente, sia di quelle promesse dall’opposizione del centro destra, le decine di vertenze aperte sul territorio nazionale per la difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici (dall’acqua al territorio, dall’energia ai trasporti, dalla sanitàƒ alla scuola, alla proprietàƒ intellettuale) dicono che il vento sta cambiando. Le politiche liberiste continuano ma hanno perso il consenso popolare. Vincere sulla Bolkestein significherebbe un forte salto di qualitàƒ verso un’altra Europa possibile.

Gruppo di Lavoro “Stop Bolkestein”

3. CAMPAGNA TFR

La campagna contro il conferimento del TFR ai fondi pensione si propone lo scopo di evitare un gigantesco trasferimento di risorse da lavoratrici/tori al capitale per il tramite dei mercati finanziari in cui esse/i sono costretti a sperare per sopravvivere una volta in pensione, lasciando loro la totale incertezza su quanto riceveranno. Per raggiungere questo obiettivo il governo ha configurato il meccanismodel silenzio-assenso.Se entrosei mesi dalla data che saràƒ prefissata da undecreto se i/le lavoratori/trici non daranno esplicito diniego il loro TFR (parte del salario consegnato al lavoratore a fine rapporto, utile come ammortizzatore tra un periodo di disoccupazione e l’altro o per affrontare spese necessarie, come l’acquisto dell’abitazione) saràƒ fatto confluire nei fondi pensione. Fermare questo meccanismo consente di far crollare il pilastro delle riforme neoliberiste miranti alla privatizzazione delle pensioni succedutesi in Italia a partire dalla riforma Dini. Consente di riaprire la prospettiva di un’azione per una pensione pubblica che consenta un livello di vita comparabile a quello degli ultimi anni di lavoro e una pensione decente per lavoratrici/tori precari/e o con periodi di disoccupazione. A tale scopo abbiamo lanciato al movimento la proposta di una legge di iniziativa popolare. Consente anche combattere i fondi pensione. Questi concorrono a determinare l’intensificazione dello sfruttamento dei lavoratrici/tori, i licenziamenti per ridurre costi, la precarietàƒ , lo sfruttamento dell’ambiente, amplificano le crisi finanziarie, strangolano i paesi costringendoli alle politiche di neoliberiste per difendere le loro valute o ripagare i debiti. A tale scopo abbiamo lanciato la campagna contro il TFR nei fondi pensione e lavoriamo alla costruzione di un coordinamento tra le organizzazioni, i sindacati di base, aree critiche confederali e forze politiche che hanno dichiarato di voler mettere in campo campagne analoghe sul TFR.

Gruppo di lavoro TFR

4. CAMPAGNA ACQUA: VERSO IL FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI SULL’ACQUA

Molto sta cambiando in questi anni sul campo della lotta per il riconoscimento dell’acqua come bene comune dell’umanitàƒ e verso la ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico integrato. Soprattutto nei territori. Stiamo infatti assistendo ad un intensificarsi sempre maggiore di decine di vertenze locali. In tutte attac è presente, spesso come principale promotore. Dalla Toscana, dove a fine agosto sono state presentate 43.000 firme per la legge di iniziativa popolare regionale, al Lazio, dove in tutte le province, in tutti gli ATO, il conflitto sale e con esso la partecipazione, all’Abruzzo, alla Campania, alla Lombardia, alle Marche, e l’elenco sarebbe ancora lungo. Complici dell’aumento del livello della protesta i primi, drammatici, fallimenti delle gestioni private e miste pubblico private con i relativi disservizi, scandali politici e finanziari, vertiginosi aumenti delle tariffe, sorditàƒ delle istituzioni e degli enti locali alle richieste popolari. E insieme al lievitare delle proteste aumenta anche la consapevolezza diffusa della complessitàƒ del paradigma acqua. Con migliaia di iniziative, seminari e forum, con radicale diffusione, l’acqua si è fatta battistrada di un grande processo di autoeducazione popolare orientata all’azione. I saperi sull’acqua si sono moltiplicati e radicati e non è un caso che un po’ ovunque si arriva a parlare e ad articolare proposte di legge regionali: in esse confluiscono conoscenze e precisi desideri sulla gestione ed il controllo dell’intero ciclo dell’acqua. Saperi e conflitti che, processo impensabile e difficile da realizzare fino a pochi anni fa, fanno oggi rete e compiono il difficile salto da un raccontarsi vicendevolmente problematiche ed esperienze ad una progettualitàƒ comune. Nascono cosàƒÂ¬ i coordinamenti di comitati territoriali, i coordinamenti regionali ed infine il percorso verso il forum italiano dei movimenti dell’acqua, mentre aumentano i contatti e gli scambi sempre più fitti con i movimenti mondiali, primi fra tutti quelli latinoamericani. Sul percorso del forum italiano dei movimenti per l’acqua abbiamo, come Attac, deciso di spendere molto; la costruzione procede e si ampliano la rete e i consensi. La maturitàƒ di questo movimento è innanzitutto evidente dall’obiettivo esplicito e condiviso di utilizzare questo percorso per la costruzione partecipata di una nuova Legge quadro nazionale che unisca tutti i temi elaborati in questi anni, dalla ripubblicizzazione della gestione del s.i.i. e della proprietàƒ delle infrastrutture, al superamento delle forme di gestione di diritto privato, alla partecipazione dei cittadini e delle cittadine, alle questioni legate alle concessioni, alle problematiche ambientali. Ed è in questo senso che si inserisce anche la sfida della costruzione di un grande spezzone dei movimenti per l’acqua alla manifestazione nazionale del 15 ottobre, contro la direttiva Bolkestein, per i diritti sociali ed i beni comuni. Siamo comunque sicuramente lontani da ottenere significative vittorie, anche se segni di cambiamento nelle politiche di privatizzazione sono giàƒ evidenti. In Abruzzo ad esempio e in altri territori, ma anche nelle scelte programmatiche di alcuni partiti. Si ha insomma la sensazione che sull’acqua si puàƒÂ² vincere. Ma il percorso è lungo e spesso costellato di trappole e falsi amici. Mantenere il conflitto nei territori, cercare di fermare i processi di privatizzazione ancora in atto, costruire reti reali di iniziative comuni tra movimenti, far vivere ed arricchire la strada verso il forum dei movimenti per l’acqua sono alcune delle nostre sfide più immediate. Un’ultima, ma necessaria, riflessione riguarda Attacacqua. Il gruppo di lavoro ormai da tempo ha finito di avere la sua iniziale funzione di aggregazione e di autoformazione e anche la riattivazione della lista acqua richiesta dall’ultima conferenza dei comitati locali non ha portato i risultati sperati. Forse poco consapevolmente, per discutere e trovarci, abbiamo scelto i luoghi e gli spazi di questo rafforzato movimento, e le battaglie territoriali sono diventate il nostro più immediato campo d’azione. Che sia o no un dato di autocritica o un processo naturale è sicuramente oggetto di riflessione.

Gruppo di lavoro ATTACQUA

5. CAMPAGNA AGCS

La Campagna Bolkestein, che mobilita da mesi movimento e sindacati, si sta intrecciando con l’opposizione – possiamo dire ormai storica – all’OMC. E’ una campagna che interessa il nord e il sud del nostro pianeta ma che sembra aver fatto meno breccia nei cuori e nelle menti dei militanti del movimento e dei sindacati. A dicembre 2005 a Hong Kong la riunione ministeriale dell’OMC cercheràƒ di fare avanzare il Doha round sui vari fronti sui quali il negoziato è impegnato. L’attenzione dei Comitati Locali di fronte a questo avvenimento dovràƒ pertanto concentrarsi ad identificare i risultati che questi negoziati avranno sul “locale”. In particolare sui servizi pubblici e le liberalizzazioni e privatizzazioni che ne deriveranno. Se da un lato la Direttiva Bolkestein, grazie alla mobilitazione generale di questi mesi potràƒ essere, se non annullata, almeno ridotta nelle sue conseguenze, dobbiamo peràƒÂ² avere chiaro nella nostre elaborazioni che gli accordi dell’OMC saranno la base di partenza per la Bolkestein n. 2 che recupereràƒ quanto eventualmente saràƒ stato emendato dalla Bolkestein n. 1. All’interno del Doha Round i negoziati si interessano a tutti gli aspetti delle attivitàƒ umane, dall’agricoltura ai servizi. E’ proprio su questi ultimi che si è sviluppata una forte opposizione in Europa, continente nel quale i servizi rappresentano oltre il 70% del PIL. La campagna AGCS è in corso da molti anni, si sta sviluppando nel mondo e in Europa, ma in Italia l’attenzione di associazioni e sindacati non si sia sviluppata sufficientemente. La Campagna europea contro l’ACGS, voluta da Attac, si prepara alla Convenzione di Liegi di ottobre 2005, un avvenimento che segnala l’incontro tra movimento ed eletti negli Enti Locali, dando cosàƒÂ¬ materialitàƒ ad un progetto politico all’interno del quale componenti istituzionali e movimento dibattono e si arricchiscono reciprocamente. Ma non si tratta di riunire eletti e movimento contro l’AGCS solo per il gusto di stare insieme e neppure per segnalare la comune volontàƒ di chiedere la moratoria dei negoziati OMC e AGCS. Ma proprio per dare uno sbocco politico alla nostra azione. Di fronte alla volontàƒ dell’AGCS di trasformare in merce ogni attivitàƒ umana, dobbiamo chiederci quale azione politica possiamo sviluppare. L’OMC, come club di interessi, non è certo il primo dei bersagli da colpire, ma solo l’icona del potere politico che i governi gli hanno attribuito. E dunque è proprio ai governi e alle loro politiche che dobbiamo rivolgere la nostra azione affinchàƒÂ© il mandato a Mandelson, rappresentante europeo presso l’OMC, sia modificato escludendo istruzione, sanitàƒ e servizi sociali, cultura e audio visivi, l’acqua, ecc.. La nostra azione deve inoltre fare sàƒÂ¬ che in Italia ogni Ente Locale possa dichiarare che nel suo territorio i servizi pubblici sono fuori dal negoziato AGCS. L’azione dei CL di Attac è dunque indispensabile affinchàƒÂ© dal basso, attraverso la sollecitazione militante ai Consigli Comunali, Provinciali e Regionali (approvazione di ordini del giorno, ecc.) si possa arrivare a segnalare al governo attuale e a quello che lo seguiràƒ questa esigenza. Inoltre la nostra azione nelle prossime elezioni politiche del 2006 dovràƒ essere particolarmente incisiva nei confronti dei candidati su questo tema. Dovremo cioè essere in grado di segnalare ai cittadini e alle cittadine le prioritàƒ proprio parendo da questi temi, mostrando loro che i candidati vicini ai cittadini sono proprio coloro che difendono stato sociale e servizi pubblici.

Ottobre 2005

IL CONSIGLIO NAZIONALE DI ATTAC

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