A proposito di guerre, chiacchiere e diritti umani

La soluzione dei conflitti africani è direttamente proporzionale alla definizione di soluzioni e al rispetto di regole economiche e non solo che possano garantire la sopravvivenza di milioni di uomini e di donne nelle periferie del cosiddetto ‘villaggio globale’. Soluzioni che sarà possibile attuare ” ed è questo il punto – solo se i tradizionali creditori ” Stati Uniti e Unione Europea in testa ” sapranno andare al di là della trita ‘real-politik’, oggi cinicamente incentrata sul teorema “Trade (Commercio) not Aid (Aiuto)”. Diciamolo con tutta franchezza: la società occidentale e i suoi governi, con il loro ipocrita discorso sulla democrazia politica e sulla competizione economica “costi quel che costi”, non incantano neppure i serpenti. Sono ancora troppi i ‘presidenti-padroni’ africani alla ribalta, giudicati moralmente irreprensibili solo perché fanno affari con le cancellerie di mezza Europa, per non parlare di quelle nordamericane o asiatiche.


I capi di Stato e di governo dell’Unione Africana (Ua) stanno discutendo ad Addis Abeba sui conflitti armati che insanguinano il loro continente nel tentativo di definire un’azione politica unitaria che possa garantire pace e sviluppo a milioni d’africani. Si tratta certamente di un tema complesso e articolato che non può essere però disgiunto dal contesto nel quale queste guerre vengono combattute. Un contesto in cui interreagiscono vari fattori, non solo politici, ma anche d’ordine economico e antropologico. àˆ giocoforza ormai ammettere una verità fondamentale: la violenza è a trecentosessanta gradi e riguarda tutti: piccoli e grandi. Non solo i bambini soldato, che peraltro rappresentano una quota consistente della popolazione armata, ma anche i signori della guerra, i mercenari, i gruppi finanziari e non pochi governi del consorzio delle nazioni. Dall’anno Duemila, i Paesi africani i cui governi hanno ottenuto il potere in modo anticostituzionale vengono esclusi dai summit dell’allora Organizzazione per l’unità africana (Oua) ora Unione Africana (Ua). Ad eccezione, s’intende, dei soliti dinosauri golpisti del calibro del togolese Gnassingbé Eyadema o del suo omologo sudanese Omar Hassan el Beshir. Ma il ‘Rinascimento africano’, tanto sognato da Nelson Mandela, è ancora tutto in salita, non foss’altro perché il processo di riforme riguarda un po’ tutti, sia il Nord che il Sud del mondo. Tutti sanno da Parigi a Washington, da Londra a Bruxelles, da Addis Abeba a Nairobi, che la soluzione dei conflitti è direttamente proporzionale alla definizione di soluzioni e al rispetto di regole economiche e non solo che possano garantire la sopravvivenza di milioni di uomini e di donne nelle periferie del cosiddetto ‘villaggio globale’. Soluzioni che sarà possibile attuare ” ed è questo il punto – solo se i tradizionali creditori ” Stati Uniti e Unione Europea in testa ” sapranno andare al di là della trita ‘real-politik’, oggi cinicamente incentrata sul teorema “Trade (Commercio) not Aid (Aiuto)”. Diciamolo con tutta franchezza: la società occidentale e i suoi governi, con il loro ipocrita discorso sulla democrazia politica e sulla competizione economica “costi quel che costi”, non incantano neppure i serpenti. Sono ancora troppi i ‘presidenti-padroni’ africani alla ribalta, giudicati moralmente irreprensibili solo perché fanno affari con le cancellerie di mezza Europa, per non parlare di quelle nordamericane o asiatiche. Il caso di Teodoro Obiang Nguema, dispotico presidente della Guinea Equatoriale è a dir poco emblematico. Godendo i favori di Washington continua impunemente a fare il bello e il cattivo tempo, violando sistematicamente i diritti umani, con la compiacenza della società texana Halliburton Inc., specializzata nella trivellazione petrolifera. àˆ per questo che lunedì scorso, il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Alpha Oumar Konarè è sbottato nel corso di una conferenza stampa, dicendo chiaro e tondo che “l'Africa è spesso aiutata in maniera insufficiente, troppo spesso mal consigliata e vittima di una concorrenza sleale e di sovente costretta a negoziare trattati economici con un coltello puntato alla gola. Finora raramente il continente ha potuto scegliere le sue politiche, costretto com'è stato a subire la dittatura del corto termine”. àˆ questa la vera grande crisi antropologica che affligge il continente e investe il mondo intero: il fatto che un numero spropositato di vite innocenti vengano travolte da una violenza ‘tout court’, una violenza senza quartiere che, tra parentesi, è l’effetto del sottosviluppo e non la causa. E sì perché fin quando non si affronteranno le questioni scottanti legate al commercio internazionale, al debito estero dei Paesi poveri, al controllo dei traffici illeciti di armi, droghe e quant’altro, quelle profuse nei vertici internazionali, poca importa se ad Addis Abeba o a Parigi, saranno parole prive di significato per non dire altro. Ma com’è possibile pensare ad una forza di ‘peace-keeping’ africana quando la stragrande maggioranza dei soldati di questo continente sono costretti a sbarcare il lunario estorcendo denaro ai civili in forza delle divise mimetiche che indossano? Ben vengano dunque le parole del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che in un messaggio al presidente di turno dell'Ua ha scritto in riferimento alle guerre africane: “Queste tragedie non sono la manifestazione di un destino ineluttabile, né il frutto di calamità naturali. Esse sono purtroppo opera dell'uomo”. E allora tiriamo le conseguenze una volta per tutte. Dobbiamo convincerci che il futuro della vita e della pace sta nella seria adesione al codice giuridico universale dei diritti umani. àˆ questa l’unica vera ricetta, peraltro raccomandata ripetutamente da Giovanni Paolo II e da altre menti illuminate, per arrestare l’assurda e inesorabile spirale di violenza che insanguina il continente africano.

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