L’occidente paga per la sua egemonia

Negli ultimi tre anni, montagne di carta sono state trasformate in libri sul terrorismo, nelle sue varie sfaccettature, di stato, internazionale, a sfondo religioso o politico e sulla reazione ad esso. Gran parte della produzione saggistica e giornalistica ha scelto di applicare lenti religiose o geopolitiche al microscopio dell’indagine.
Un intero campo è rimasto in gran parte escluso dall’approfondimento, ed è quello della finanza internazionale, dei punti di contatto tra network illegali e capitalismo globalizzato. A questa lacuna cerca di sopperire il libro [La nuova economia del terrorismo – ed. Saggiatore – n.d.r.] di Loretta Napoleoni, economista, da molti anni impegnata nell’analisi delle strutture e dei meccanismi finanziari delle zone di attrito tra legalità e illegalità internazionale.


Intervista a Loretta Napoleoni

Come accade spesso seguendo i flussi di denaro, si arriva molto lontano, al rapporto tra interessi occidentali ed elites arabe e musulmane. E si deve anche partire da molto lontano, dalle guerre di «prossimità » combattute tra i due blocchi nei decenni della Guerra fredda. Le reti finanziarie e i meccanismi di raccolta e gestione del denaro che sostengono oggi l'economia globale del terrore, nascono in quell'epoca che sembra lontana anni luce.
«Per questo preferisco parlare di economia del terrore, più che di economia del terrorismo, per evitare le implicazioni del termine terrorismo, che sfugge a una definizione ‘oggettiva’. Se parliamo di terrore, inoltre, possiamo seguire meglio la storia dei meccanismi economici che ci interessano. A questo proposito, penso che ci troviamo nella terza fase dell’evoluzione dell’economia del terrore. La prima fase, durante la Guerra fredda, è stata quella dei finanziamenti di stato alle guerre sporche o di bassa intensità ; la seconda fase, negli anni settanta e ottanta, possiamo chiamarla di privatizzazione del terrore. Ed è la fase in cui alle spinte ideologiche o politiche si sostituisce una specie di imprenditoria del terrore: la gestione delle organizzazioni prende il sopravvento sugli scopi delle organizzazioni stesse. La fase di oggi, che sostanzialmente coincide con i tempi della globalizzazione finanziaria, si caratterizza per l’esistenza di vere holding dell’economia del terrore: transnazionali quanto le imprese occidentali, e capaci di usare gli stessi canali finanziari. La deregulation dei mercati finanziari ha indubbiamente favorito questo processo. L’esempio più clamoroso è ovviamente al Qaida che, sotto molti aspetti manageriali, è completamente diversa dalle organizzazioni del passato. Al Qaida è capace di generare risorse e di muoverle da un paese all’altro. Nello stesso tempo, c’è stata un’integrazione tecnica tra l’economia del terrore e l’economia criminale classica: spesso usano gli stessi intermediari o riciclano denaro nelle stesse banche, o comprano armi attraverso gli stessi canali. Il volume complessivo stimato di questa economia altra è attorno ai mille e cinquecento miliardi di dollari».

Dopo l’11 settembre, l’amministrazione statunitense aveva indicato come una delle priorità della lotta al terrorismo, l’individuazione e il congelamento dei flussi finanziari illegali. Tuttavia, le indagini e l’azione sono risultate molto complicate, sia per la difficoltà di distinguere flussi legali e flussi illegali, sia per l’opacità del sistema finanziario internazionale. A che punto siamo?

Dei mille e cinquecento miliardi di dollari di cui parlavo prima, un terzo viene di solito definito «prodotto interno criminale», ed è quello relativo alle organizzazioni criminali tradizionali. Ci sono poi i movimenti illeciti di capitale: corruzione, tangenti e cose del genere, che contano per un altro terzo. Un terzo, infine, viene generato direttamente dai gruppi armati, tanto quelli della galassia dell’islamismo politico armato, quanto di altre aree, come le Farc e le Auc, in Colombia. Una parte di questo denaro viene prodotto legalmente, attraverso investimenti finanziari o immobiliari «puliti». Il resto, frutto di attività illegali, deve comunque essere riciclato. Il metodo per rendere presentabile denaro che non lo è, è lo stesso usato dalle organizzazioni criminali comuni, passando soprattutto attraverso i paradisi fiscali.
Il principale luogo di riciclaggio, fino all’11 settembre, erano proprio gli Stati uniti, punto di arrivo della maggior parte delle operazioni off shore. Ovviamente, ci vuole la complicità di qualche banca, ma questo non è mai stato un problema. Dall’11 settembre in poi, con l’approvazione del Patrioct act, gli Stati uniti hanno cercato di chiudere alcuni canali d’ingresso del denaro sporco, perciò una parte di questo flusso di contante sta prendendo la via dell’Europa. I punti d’ingresso sono soprattutto il Lussemburgo, la Svizzera, il Liechtestein, Gibilterra e i paradisi fiscali delle Channels Island sotto sovranità britannica. Ma anche Cipro, prossimo membro dell’Unione europea.
Secondo alcune analisi, una porzione dell’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro potrebbe dipendere proprio da questo flusso di denaro. I mercati immobiliari più importanti, invece, per il riciclaggio di denaro sporco, sono l’Olanda e il Belgio.
Per l’economia statunitense, questo flusso di denaro era importantissimo, visto che tamponava parte dell’enorme debito pubblico del governo federale. Prima del Patriot act, il limite per i versamenti in contanti ” che sono il principale strumento di riciclaggio ” era di diecimila dollari. Tuttavia, era facile aggirarlo. Bastava fare diversi versamenti al di sotto di questa cifra. La Florida, per esempio, era, e probabilmente è ancora, il principale punto d’ingresso dei soldi sporchi del traffico di droga del Sudamerica. E le banche della Florida accettavano regolarmente depositi in contanti al di sopra dei diecimila dollari. Il beneficio netto di questa disinvoltura bancaria per l’economia della Florida è stato stimato in quindici miliardi di dollari l’anno.

Nell’impianto analitico del suo libro, un concetto chiave per la comprensione dell’economia del terrore è quello di stato-guscio. Di cosa si tratta?

Lo stato-guscio è uno stato che si limita al suo involucro, cioè la struttura socio-economica, senza però che ci sia né un riconoscimento internazionale né la struttura politica tradizionalmente associata al concetto di stato. Un esempio classico è l’Olp di Arafat, capace di avere solide basi economiche che lo hanno messo in condizione di fare una politica autonoma, pur senza un territorio su cui esercitare la sovranità . Dalla struttura dell’Olp poi è derivata anche l’ossatura dell’Autorità nazionale palestinese, che, oggi, a Gaza, si trova a fare i conti con un altro stato-guscio, quello di Hamas. Si potrebbero fare altri esempi: alcuni quartieri cattolici nell’Irlanda del nord; le zone controllate dalla guerriglia in Colombia o in Perù e così via. àˆ anche quello che sta accadendo in Iraq nelle varie aree sotto il controllo dei gruppi armati sciiti o sunniti, oppure è quello che è accaduto in Somalia. Nel processo di creazione di uno stato-guscio rientrano anche gli attacchi contro le agenzie internazionali, come l’Onu o la Croce rossa, che servono a legare le sorti della popolazione locale con quelle dello stato-guscio stesso.

Questo modello, tuttavia, è più legato a quelle che lei ha definito prima e seconda fase dell’economia del terrore. Al Qaida esce da questo quadro?

Al Qaida non è uno stato-guscio e non mira a creare uno stato-guscio, anche se ha avuto bisogno di alcune strutture statali, come il Sudan o l’Afghanistan dei talebani. Al Qaida, soprattutto negli ultimi anni, ha cambiato natura, diventando una specie di holding. Non conduce più azioni armate, ma finanzia e rivendica quelle condotte da altri gruppi che ne riconoscono la leadership. La forza di bin Laden non è solo finanziaria o logistica: in un discorso del 1996, bin Laden ha citato esplicitamente le ragioni della sfida all’occidente e ai governi arabi. Sono ragioni materiali, economiche, prima che spirituali e religiose.

Quali sono?

Partiamo dai dati: nonostante la ricchezza, soprattutto petrolifera, dei principali paesi arabi, nessuna delle prime dieci banche del mondo è araba. Nonostante la mole di denaro affluito nei paesi produttori di petrolio e di gas naturale, le condizioni materiali della maggior parte della popolazione sono peggiorate. Nello stesso tempo, le forze economiche del mondo arabo e del mondo musulmano hanno scoperto di essere in grado di espandersi: è avvenuto in Asia centrale dopo il crollo dell’Unione sovietica, e sta avvenendo in Africa.
Tuttavia, l’espansione economica è bloccata dalla posizione egemonica del mondo occidentale, che ha cooptato una parte delle élites arabe e musulmane. Per esempio, la famiglia regnante saudita o le oligarchie dei paesi del Golfo. Esiste anche, però, una seconda linea di élites, commerciali e imprenditoriali, frustrata nelle sue aspirazioni economiche e di prestigio dalla posizione delle oligarchie. Anche per la direzione presa dalle politiche occidentali, questa borghesia in ascesa ha trovato nella religione il collante per legare a sé le masse dei paesi arabi e musulmani, profondamente scontente per la ricchezza, la corruzione e lo strapotere delle oligarchie, che godono del sostegno occidentale.
Per molti aspetti, è una situazione simile a quella che, in Europa, produsse la spinta per le Crociate. Anche se le parti erano invertite: il mondo arabo-musulmano era ricco, colto e in espansione e controllava le vie dei commerci. L’Europa era povera, litigiosa e sottoposta a una pesante pressione demografica. Le crociate furono una valvola di sfogo, ma anche uno strumento per l’espansione economica delle classi urbane. E la religione legò guerrieri, mercanti, clero e contadini. A mio modo di vedere, le condizioni attuali di gran parte del mondo arabo e musulmano sono molto simili, e c’è una simile spinta espansiva, anzi, una necessità di espansione economica.

Questo però riporta la palla nel campo occidentale, e in particolare alle forme della politica economica e alle strategie della risposta alla sfida?

àˆ uno scontro tra due sistemi economici e penso che il sistema egemone, cioè l’occidente, debba rendersi conto di questo squilibrio e allentare la presa. Nel lungo periodo, nessun impero sopravvive per sempre e il sistema egemonico, prima o poi, è destinato a essere soppiantato.

Bisogna allora rimuovere le oligarchie?

Di fondo è uno scontro economico, ma tutti hanno interesse a presentarlo in termini religiosi. Anche la Casa bianca, che fa leva sui toni dei fondamentalisti cristiani, come Bush stesso, contro quelli dell’islam radicale. E così evita di discutere di economia, di finanza e di controllo dei mercati. Ma ciò non cambia la natura dello scontro, né è una via d’uscita. Anzi.
Una fonte che ho consultato per alcuni aspetti della mia ricerca, una fonte del dipartimento di stato della Casa bianca, mi ha detto: «Per uscire dalla situazione in cui ci siamo messi, dovremmo ammettere pubblicamente che abbiamo sbagliato tutto negli ultimi decenni. Dovremmo ammettere che abbiamo sostenuto dei regimi che non avremmo dovuto sostenere. Scusate, ricominciamo daccapo».

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