Lo show del politico fuori dal mondo

C'è la politica, con i suoi ideali, le sue lotte, il suo “compromettersi”, il suo fare anche brutta figura. E poi ci sono i politicanti. La politica oggi, quella vera, quella autentica, viene paradossalmente portata avanti non da chi dovrebbe istituzionalmente farla ma da chii si sporca le mani con associazioni, forum, volontariato o anche semplicemente con una manifestazione contro la guerra. Gli altri, i politicanti, la stragrande maggioranza che siede in parlamento (siano essi di destra o di cosiddetta sinistra) sono troppo presi dalle beghe di partito, dal misurare ogni dichiarazione per non ferire troppo l'avversario, dallo scannarsi per una candidatura o per una lista unica, per accorgersi di cos'è davvero l'impegno politico e gli interessi di un paese.

[di Domenico Starnone]


Il politico auspica. Lo diceva Giorgio Caproni in Show, una poesia di vent'anni fa che bisognerebbe avere sotto mano tutte le volte che si guardano i politici in tv. Poi specificava in un altro testo intitolato Lorsignori:

“Han la testa sul collo,
dicon loro.
Di pollo.
I piedi sulla terra.
Lavoran per la pace
preparando la guerra.
Tengono alta la face.
Ma, soprattutto, auspicano.
Dio, come auspicano”.

Oggi la politica istituzionale, la nuova vecchia politica che si esibisce in tv, la politica con la testa sul collo e i piedi per terra, seguita ad auspicare, auspica più che mai. Nel frattempo marchia e isola, molto più di venti anni fa, chi secondo loro non ha la testa sul collo, non sta con i piedi per terra ed è stanco di auspici. Si prenda l'Iraq, per esempio, e si provi a ribadire che quella guerra non si doveva fare, che nessuna guerra si deve più fare, che le cose lì si stanno mettendo sempre peggio. Bene, i politici con la testa di pollo e i piedi per terra vi risponderanno immediatamente che nutrite un pregiudizio antiamericano e propendete per i regimi totalitari, i dittatori tipo Hitler. Non solo. Subito dopo sarete catalogati tra i simpatizzanti di Gino Strada (come se fosse un insulto) e verrete inseriti tra i cittadini sedicenti di sinistra che costituiscono un problema per la presentabilità della sinistra stessa, quella ser ia che sa che la pace si auspica ma il mondo si prende per quello che è. Questa è l'architettura trionfante del pensiero politico corrente.

Riguarda non solo la questione irachena, ma tutte le questioni fondamentali del nostro caotico pianeta. Ogni formulazione critica radicale, se non è articolata nei termini che l'ingranaggio della nostra politica istituzionale può riusare in vista delle prossime scadenze elettorali, viene ritenuta imbarazzante, nociva, forse criminale […] Cosa intende fare Rutelli, con le sue uscite autobiografico-pensose? Vuole tenere saldamente il centro per impedire che lo occupino Fassino e D'Alema, intende provarsi a fare in prospettiva le scarpe a Prodi o vuole tentare tutt'e due le cose? Il triciclo sta perdendo già rotelle? Fassino, proponendosi come antagonista televisivo di Berlusconi, s'è detto pari a Prodi, più di Rutelli, più di Boselli? Questa è politica. In realtà sono piccole insulse domande che però hanno il potere di svuotare quelle grandi e rivelarci che il senso della cupa quotidiana fatica dei leader e dei semileader è zero. Non che formalmente essi non si esercitino su questioni serissime: la guerra, la pace, le banche, il lavoro, la giustizia, l'istruzione, la distribuzione della ricchezza, l'avvelenamento del territorio. Ma ciascuna di quelle questioni è poi di fatto stritolata dal congegno delle schermaglie interne ed esterne e qualche concettino o sentimento auspicato è presto scolorito dalle mediazioni politico-elettorali.

Si prenda il tormentato voto Ds sulla missione in Iraq. La condizione degli abitanti di quel paese martoriato è un esercizio da show televisivo. Il sangue e la morte, come hanno stimolato il nostro impavido premier a giocare il gioco dello stratega fianco a fianco con i veri grandi della terra in modo da far sbavare D'Alema, così finiscono per essere, a sinistra, l'ennesima occasione da non perdere per mostrarsi con la testa sul collo e i piedi per terra, quindi sinistra di governo. Come a dire una messinscena tutta interna ai dispetti o ai consensi di partiti e partitini. O un'ulteriore dimostrazione che ogni parola pesa non per quello che significa ma solo negli usi eventuali che può farne il centrodestra per sminuire il centrosinistra, il centrosinistra per sminuire il centrodestra, i singoli partiti del centrodestra per regolare conti, i singoli partiti del centrosinistra per sregolarsi dopo essersi regolati. Il tutto in un momento in cui le differenze sono sempre più vaghe ed è difficile capire perché Fassino non tenti un'alleanza con Follini, come mai Casini stia a destra e Rutelli a sinistra, perché D'Alema non fa un piccolo sforzo e non va a sentire di che umore è Fini, visto che in passato si è trafficato senza problemi con Bossi. Questo modo di fare politica non ha più alcun senso e tuttavia riesce ancora a celebrare se stesso come l'unica forma possibile della politicità . Uno starnuto di Parisi ha più eco di un intervento di don Ciotti, la voce di padre Zanotelli è meno robusta di quella di Boselli, Fassino o Prodi che si pronunciano su pace e guerra si attribuiscono più autorità dei medici che operano tra sventagliate di mitra. A essere insomma particolarmente sgradevoli sono le gerarchie imposte da questa politica e dai suoi media, che tendono sempre più a disegnare un canone fuori del quale ogni ricerca di politica nuova o è azione d i supporto a quella dei segretari di partito, a qualche seppur esigua percentuale elettorale, o è ghirigoro, tempo perso. Chiunque non rientri in quel modello è fuori, conta zero, parla a vanvera, sogna o fa poesia per un pubblico ridotto di cani sciolti o, peggio, di provocatori […]

Questo sminuire, sbeffeggiare, tener fuori, criminalizzare tutto ciò che disturba i politici seri con la testa sul collo e i piedi per terra ha la sua vetta in Silvio Berlusconi che, avendo accorpato in sé tutte le funzioni, tende di conseguenza a sbarazzarsi di tutte le rogne, compreso il noioso contraddittorio televisivo. Da tempo infatti Berlusconi interviene nelle trasmissioni televisive come celeste voce unica. Da tempo, quando lui echeggia, cade negli studi televisivi lo stesso silenzio che ci dovette essere quando Dio dettò a Mosè i comandamenti. Da tempo tende a mostrarsi in tv come corpo di leader intangibile e senza pari, quindi senza contestatori. Anche in questo, il nostro premier porta a compimento un processo, realizza un ideale della politica corrente: via i rompiballe, trattiamoli come se non ci fossero. Ma i politici non vogliono sentirlo come il mostrum, il frutto gigantesco del loro orticello guasto. Si arrabbiano invece perché il neopolitico Berlusconi, col suo estremismo onnipresente e onnipotente di segretario-presidente-allenatore-premier-costruttore-imprenditore-editore-pubblicitario-telenovellatore transpettacolare, è una testa di pollo che vuole far fuori tutte le altre teste di pollo. Quindi protestano, si indignano, auspicano. Verrebbe da dire: si arrangino, se non fosse che lo stato complessivo delle cose è pessimo. Gli unici che ne hanno limpida fattiva consapevolezza sono quelli che hanno smesso da tempo di auspicare e si battono per la pace. La richiesta di pace rompe infatti con tutti gli auspici e con la logica del vorrei ma non posso. Restituisce, col suo qui e ora, a tutte le questioni di fondo del pianeta quella radicalità che le meschine politiche nazionali tendono a farci vergognare di sollevare. Esige patti che bandiscano per sempre la guerra e pongano di conseguenza sotto controllo tutte le ragioni che la generano, subito, prima che salti tutto per aria. La necessià imprescindibile della pace ha la forza di una nuova politica capace di togliere ogni residuo significato a quella vecchia che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi.

Fonte: www.ilmanifesto.it

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