I politici di fronte sfide del futuro: governare lo sviluppo o cedere al neoliberismo

Questa intervista, raccolta da Christian Losson, è stata pubblicata sul quotidiano francese “Libération” (16/02/04) con il titolo : “il manque toujours ce Graal: la volonté politique”

[tratto da Adista – contesti n. 16 del 28/02/2004]


Che ne è della riduzione della povertà nel mondo? Il britannico Mark Malloch Brown, amministratore del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Pnud), stende un bilancio in occasione di una serie di incontri sull”argomento tenutisi a Parigi in questo fine settimana.

Lo sviluppo è votato all”insuccesso?

Ci sono due tendenze che si intersecano. Una, innescata trenta anni fa, parla di progressi drastici. àˆ dimostrata dall”Asia, dove l”analfabetismo è sceso del 50% e la speranza di vita è aumentata di otto anni. L”altra è dimostrata dal numero crescente di Paesi che, dietro queste cifre, hanno camminato a ritroso sulla strada del loro sviluppo, soprattutto nell”ultimo decennio. 54 Paesi sono oggi più poveri che negli anni “90: in Asia centrale, nella regione indigena dell”America Latina, nei Paesi insulari e, ovviamente, in Africa. Hanno in comune il non accesso al mercato globale. Sono una concentrazione di fallimenti, di tranelli della povertà , di circoli viziosi e di mancanza di competitività .

La globalizzazione ha innescato uno sviluppo a due velocità ?

A tre velocità . C”è il primo mondo, i Paesi ricchi che hanno potuto consolidare il loro alto livello di prosperità . Ma all”interno del mondo in via di sviluppo, si assiste ad una cesura tra i Paesi intermedi e i Paesi meno avanzati. Questi vedono il loro indice di sviluppo umano arretrare come non mai. Se i progressi continuano a questo ritmo, gli obiettivi di sviluppo dell”Onu non saranno raggiunti dall”Africa subasahariana che nel 2147…

Ma intanto i Paesi intermedi hanno vinto la battaglia dello sviluppo?

àˆ una lotta senza fine. I Paesi del “secondo mondo”, oltre alla riduzione della metà , per esempio, del numero di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, devono anche affrontare nuovi pericoli: il supersfruttamento delle terre, le nuove variazioni climatiche, il danno all”ambiente legato alla crescita della popolazione. Sono quelli che maggiormente si dovranno confrontare con la degradazione del suolo che affligge due miliardi di ettari e rovina già la vita di circa un miliardo di esseri umani.

La globalizzazione ha dunque accelerato la velocità di uscita da un cattivo sviluppo o, al contrario, la caduta in un sottosviluppo più terribile?

Ha avvantaggiato i due primi mondi, ma è sfuggita al “terzo stato” del mondo attuale. Questo fallimento non è dovuto ad un eccesso di globalizzazione, ma semmai a una “globalizzazione zero”: il nuovo ordine economico lo ha escluso dal sistema. Per i suoi meccanismi e per il suo funzionamento, la globalizzazione ha reso i poveri ancora più poveri…

L”ingresso del nuovo millennio è stato accompagnato da infiammate dichiarazioni di solidarietà per lottare contro la povertà . Che resta di questo?

L”emergere di una coscienza globale e di una società civile che presenta il conto. Le élite hanno capito che riusciranno nel proprio compito solo esercitando un buon governo. La questione non è più avere una cattedrale, una compagnia aerea o un esercito high-tech, ma piuttosto dei veri risultati in materia di salute, di educazione, di accesso all”acqua potabile. Il manifesto del XXI secolo è tutto qua: mettere in campo le priorità sociali e ambientali. Il Nord, da parte sua, ha degli obblighi morali: abbassare le sue barriere agricole, permettere l”accesso alle medicine, adoperarsi per reali trasferimenti finanziari e tecnici.

Si tragga lezione dai fallimenti passati e si avranno le chiavi per un reale sviluppo?

In parte, sì. Il mondo non ha mai avuto come oggi i mezzi per lottare contro le pandemie, la debolezza produttiva, la mancanza di energia, il deficit di servizi di base come l”accesso all”acqua, all”educazione o alla salute. Quando sono stati lanciati gli obiettivi del millennio, i 200 migliori specialisti di ogni campo – agronomi, economisti, medici, insegnanti, scienziati – hanno abbozzato delle soluzioni potenziali. Le soluzioni sono note, anche se si può discutere sul modo di pervenirvi. Ma manca sempre il Graal che apre le porte: la volontà politica.

Allo stesso tempo, i nuovi mezzi di comunicazione, che permettono ai più poveri di avere una finestra sul mondo ricco, alimentano ancora più frustrazioni…

Evidentemente non c”è mai stato un tale senso di urgenza. Raggiungere gli obiettivi del millennio è tentare di fare muovere un transatlantico planetario; è lungo e delicato. Siamo ad un momento chiave dell”ordine mondiale: la collera e l”ingiustizia stanno provocando un boomerang terribile se non si agisce in fretta. Ciò rischia di destabilizzare il pianeta, falciare la crescita e esacerbare i conflitti fra le nazioni. Non ci si può più permettere di osservare le fratture del mondo e dire: “continuino gli affari”.

La situazione attuale dello sviluppo sembra dunque tutto tranne che duratura?

Il 2005 non sarà solamente il momento di un bilancio degli obiettivi di riduzione della povertà , a cinque anni dal loro annuncio e a dieci dal termine prefissato per la loro realizzazione. Sarà un anno decisivo, rivoluzionario o apocalittico per il secolo a venire, a seconda che i dirigenti del mondo comprendano che bisogna dotarsi di mezzi per lottare contro le disuguaglianze e accelerare l”inclusione dei più diseredati, o che rinuncino e che optino per il laisser-faire, aprendo la strada alla destabilizzazione mondiale e ad una forma di neoterrorismo.

I leader dei Paesi ricchi non si dotano di veri strumenti finanziari per una reale solidarietà internazionale. Molti, per esempio, preferiscono indossare il nuovo credo dei partenariati pubblico-privato.

I partneriati pubblico-privato hanno un ruolo da giocare quando trattiamo in termini di investimenti e di infrastrutture, ma la loro logica di rendita, anche addolcita da una necessaria “responsabilità sociale ed ambientale”, non può servire da alibi a scelte politiche. D”altronde, i governanti hanno talvolta l”obbligo di essere più avanti della loro stessa opinione pubblica. Non posso credere che i leader dei Paesi ricchi, i Blair, gli Chirac o i Bush non abbiano coscienza della posta in gioco attuale e che non finiranno per dire: non si risolveranno i nostri problemi nazionali (l”immigrazione, per esempio) che aggredendoli alla loro radice, lo sviluppo.

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