Argentina: l’ombra lunga di Menem

Esiliato. Giornalista, scrittore: Rolo Diez prosegue l'impegno sociale attraverso la letteratura. Nel suo nuovo libro rievoca gli anni Ottanta e le radici di un paese in bilico tra memoria, oblio ed esili, ieri politici, ora economici.

di Alessandro Berruti


In Argentina non ci torna, ma la nostalgia per il paese che lo ha costretto all'esilio trapela nei suoi romanzi. Rolo Diez, con i sessantatre anni rivelati dai baffi brizzolati, fa parte della lunga schiera di intellettuali latinoamericani costretti a lasciare il continente durante gli anni bui delle giunte militari. Attivista nella sinistra radicale, dopo essere finito in carcere e aver patito una sorella desaparecida, nel 1977 lascia il paese e nel 1980 si trasferisce in Messico, dove oggi vive. Il suo ultimo libro edito in spagnolo, Papel Picado, ambientato negli anni della dittatura, è stato premiato alla Semana Negra proprio mentre il presidente argentino Kirchner cancellava le leggi che avevano finora sottratto alla giustizia i responsabili della dittatura. L'autore di “La ragazza che voleva la luna”, in queste settimane presenta in Italia il “Passo della tigre”, una storia dolce, amara e feroce, come la vita ai tempi di Menem.

Nei suoi libri sono sempre presenti zone d'ombra, trame ambigue. Quanta ambiguitàƒ c'è oggi nella societàƒ argentina?

Dobbiamo chiarire di cosa parliamo quando parliamo di ambiguitàƒ . Per me questa parola è qualcosa di indefinito, che potrebbe interpretarsi in un modo o in un altro, che potrebbe avere aspetti positivi ma anche negativi. Tutti siamo una mezcla molto varia, abbiamo cose buone e cattive, e la societàƒ è anche cosàƒÂ¬. Credo che un romanzo sia uno specchio della societàƒ , a suo modo, non è giornalismo, non è uno specchio diretto, è uno specchio più ambiguo, ma è un modo di avvicinarsi alla realtàƒ circostante.

In ognuno di noi, e in ognuno dei suoi personaggi, c'è una parte buona e una cattiva. Il presidente argentino Kirchner che personaggio le sembra?

Fortunatamente, finora, quello che abbiamo visto forma la sua parte buona. àƒË† un uomo che risulta molto positivo per l'Argentina, perchàƒÂ© crea la possibilitàƒ che nel paese ci sia una qualche giustizia in merito a tutte le atrocitàƒ commesse dalla dittatura militare. In questo senso si sono prese misure importanti, come le decisioni di processare gli oppressori, di annullare le leggi che hanno garantito l'impunitàƒ e c'è un sentimento generale che questo deve farsi.

Significa che il popolo argentino è pronto a fare i conti con il proprio passato?

Assolutamente sàƒÂ¬, perchàƒÂ© quello che Kirchner fa coincide con l'opinione generale, lo prova il fatto che dal 20% di voti che aveva è passato attualmente a un consenso che si avvicina all'80% di tutto il popolo, questa è la grande forza del presidente in questo momento.

Il suo ultimo romanzo è ambientato negli anni Ottanta, quelli di Menem. Ancora oggi la sua influenza non sembra passare…

Per nulla, è una forza potente e attuale. Parliamo di “menemismo” per sintetizzarlo, a prescindere da chi è la persona candidata, per tutti quei gruppi che aderiscono senza condizioni ai centri internazionali di potere, alla politica che ha denazionalizzato il paese e proseguito – ma l'inizio fu con i militari – nella distribuzione della ricchezza ogni volta più ineguale. Sono le basi della grande crisi economica argentina.

Il Cile non riesce a liberarsi di Pinochet, in Guatemala l'ex dittatore Rios Montt si candida alle presidenziali. In questo contesto, dove sta l'originalitàƒ dell'Argentina?

Non è una risposta facile, bisognerebbe considerare molti processi in vari paesi. Io credo che in Argentina la dittatura militare sia stata una risposta di altissimo livello repressivo contro lotte popolari importanti. E tutta la gente che aveva a che fare con queste lotte non sparisce da un giorno all'altro. Queste forze sociali penso abbiano diversi momenti nella storia: nel '70 abbiamo le grandi lotte, dal '76 si produce la grande repressione e adesso c'è di nuovo un movimento positivo, fortunatamente spinto dal governo, che risponde alle aspettative create proprio negli anni passati.

Lei fa parte di una generazione di esiliati politici, mentre ora si parla di esiliati economici…

L'Argentina è un paese che si costruàƒÂ¬ ricevendo l'immigrazione europea, che fu economica. Tanto che qualcuno si inventàƒÂ² la barzelletta che noi argentini “discendiamo dalle navi”; fino al 1914 la popolazione straniera risultava maggiore di quella nazionale. E non c'era un'esperienza di esilio di massa, anche se c'erano lotte tra i peronisti, ma il grande esilio appare negli anni del terrorismo di Stato, negli anni Settanta, ed è essenzialmente politico. Invece negli ultimi anni si è prodotto un esilio economico, soprattutto dei giovani, che se ne sono andati in grande quantitàƒ in Messico, Spagna, e nel resto d'Europa. La ragione fondamentale è la mancanza di lavoro e, ovviamente, la ricerca di orizzonti migliori.

Che rapporto ha con il suo passato?

Con il mio passato ho un buon rapporto, in generale. Rivendico le mie lotte, almeno nei principi, anche se ci furono un sacco di errori. Il fatto importante è questo: dovevamo o no tentare di trasformare il paese? SàƒÂ¬, io questo lo rivendico. Ci sono molte cose perse, sono morte molte persone e tutto questo è criticabile. PeràƒÂ² la storia non ha smesso essenzialmente di darci ragione, nel senso che il mondo continua a essere ingiusto, ogni volta più ingiusto, la ricchezza si concentra in sempre meno mani e il livello di sfruttamento e di appropriazione delle risorse è ogni volta più grave. FinchàƒÂ© il mondo continua a essere cosàƒÂ¬, la decisione di cambiarlo è buona.

Be the first to comment on "Argentina: l’ombra lunga di Menem"

Leave a comment