Congo: Una guerra dimenticata

Al convegno di “Beati i costruttori di pace”, che si sta svolgendo in questi giorni a Padova, abbiamo incontrato Joseph Mumbere, missionario congolese,  che ci ha portato la sua testimonianza sulla situazione attuale in Congo.


Proprio il 2 agosto di cinque anni fa cominciava una delle guerre più tragiche del continente africano, che ha provocato tre milioni e mezzo di morti e  seminato odio e distruzione in tutto il Congo. Non solo ignorata dal nord del  mondo, ma anche alimentata dal commercio delle armi e dal saccheggio delle  risorse naturali congolesi, questa guerra rappresenta uno dei drammi più  attuali e dimenticati dell'Africa.

“Il Congo e' uno dei paesi più ricchi del continente” – ci ricorda Padre Joseph – “diamanti, oro e coltan, la lega tanto richiesta perché utilizzata
nella tecnologia delle comunicazioni, hanno attirato gli interessi di  numerose multinazionali. Al tempo stesso i conflitti etnici interni sono  stati alimentati da Uganda e Rwanda fino a farli esplodere in maniera  violentissima, guidati da signori della guerra senza scrupoli”.

“La guerra del Congo è così diventata anche un grande affare per i commercianti di armi” – continua il missionario comboniano – “in particolare i gruppi mafiosi russi e ucraini che si sono arricchiti vendendo armi leggere  provenienti dai paesi dell'Est europeo.”

Qualcosa è cambiato nel corso degli ultimi tempi. Come ci racconta Mumbere, l'insediamento del governo di transizione e le trattative con i ribelli rappresentano un piccolo ma significativo passo verso la riunificazione del Congo e la fine delle ostilità .

“Certo, è un po' triste vedere ora come la costruzione della pace sia nelle  mani di coloro che sono stati responsabili dei massacri di tanti civili” – fa  notare Padre Joseph – “però il grande lavoro svolto dalla società civile e  dalla popolazione ha creato le condizioni per la fine della guerra, e il  fatto che i ribelli si siedano ora al tavolo delle trattative è dovuto  soprattutto alla pressione popolare”.

Ci sono stati infatti numerosi e importanti episodi di resistenza nonviolenta,  proprio nell'Est del Congo dove la guerra imperversa ancora.  La grande manifestazione per la pace dello scorso 11 giugno a Butembo ha  contribuito a fermare le truppe dell'RDC/Goma, che stavano violando tutti gli  accordi sottoscritti. Altri episodi di resistenza nonviolenta e di  boicottaggio hanno mostrato la forza e la  determinazione della società civile  congolese, tesa a ricostruire la propria identità nazionale.

“Anche le Nazioni Unite hanno fatto un importante passo avanti” – ci dice il  missionario comboniano – “con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dello  scorso 28 luglio, approvata all'unanimità . La risoluzione modifica il mandato  della missione delle Nazioni Unite, che d'ora in poi non si occuperà solo di  proteggere sé stessa, ma anche la popolazione civile.  E finalmente è stato  imposto un embargo sulle armi dirette nelle regioni in guerra.”. Un fatto importante subito rovinato dagli Stati Uniti, i quali hanno  annunciato che, dopo nove anni, avrebbero tolto l'embargo sul trasferimento  di armi verso il vicino Rwanda.

“E noi, che cosa possiamo fare?”, chiediamo a Padre Joseph.
“Purtroppo non passa nessuna informazione su questa guerra. Più l'opinione  pubblica, anche in Europa, viene a conoscenza di cosa succede in Congo, più  possiamo sperare in un cambiamento”.

Proprio tra pochi giorni, l'11 di agosto, parte per il Congo una missione di  solidarietà , organizzata da “Beati i costruttori di pace” su invito del
Vescovo di Butembo-Beni, Mons. Sikuli; per rompere il muro del silenzio  intorno a questa guerra, per ascoltare le richieste della società civile  congolese e per riportarle all'attenzione dell'Europa. 

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