Africa, continente sommerso

Sono ormai decenni che poco meno di un sesto della popolazione mondiale subisce un destino avverso di nascondimento delle proprie vite e delle proprie tragedie dalle agende geopolitiche planetarie e, peggio, dalle agende di esperienza di ciascuno di noi esseri umani bianchi occidentali…


Sei miliardi di individui che compongono il pianeta terra rappresentano una cifra talmente enorme da risultare irrilevante il destino di ciascuno di
quei sei miliardi. Non potendoli abbracciare tutti quanti, neanche con lo
sguardo, un certo effetto di velamento ci oscura la vista su ciascuno di
essi, che tuttavia costituisce il perno di ogni concezione filosofica e politica di una vita degna di essere vissuta, e possibilmente in libertà ed
eguaglianza, secondo le nostre idee.

Sono ormai decenni che poco meno di un sesto della popolazione mondiale subisce un destino avverso di nascondimento delle proprie vite e delle proprie tragedie dalle agende geopolitiche planetarie e, peggio, dalle agende di esperienza di ciascuno di noi esseri umani bianchi occidentali. Sono uomini e donne, neonati e anziani, straziati da guerre civili condotte all'arma bianca, da omicidi quotidiani mascherati da fame e malattie curabili sradicabili altrove ma non in quei luoghi e con quei redditi di miseria, da stragi ricorrenti causate da una ricerca spasmodica di mezzi improbabili per sopravvivere un giorno in più – peggio della legge della giungla per gli animali più deboli, ma  l'immagine pecca forse per difetto.

Stiamo riferendoci al continente africano, martoriato da sempre per le sue ricchezze. Già , ricchezze di culture, civiltà , uomini e donne venduti come schiavi, risorse minerali depredate, fonti energetiche che alimentano povertà e conflitti. Senza ripercorrere le tristi vicende del miliardo o poco giù degli africani residenti nel continente, ossia senza contare gli afro-americani figli degli schiavi e senza contare gli assimilati
ex-colonizzati nel territorio europeo, è sufficiente dare uno sguardo alla
carta geografica solo per immedesimarsi tanto in una condizione che definiresub-umana suona eufemistico, quanto e soprattutto in un modello micidiale di desviluppo e deculturazione che stermina intere popolazioni e intere generazioni. Dall'apartheid sudafricano al genocidio ruandese, dal primo conflitto panafricano sul suolo congolese alla guerra per fame tra etiopi e eritrei, dal petrolio off-shore in Nigeria che produce sempre più miseria e disperazione (sino alle stragi di centinaia di civili che si mettono in coda lungo gli oleodotti per intercettare qualche litro di preziosissimo liquido da rivendere) all'ultima carneficina in Liberia, in Costa d'Avorio, tra gli Ituri congolesi, per non dimenticare l'annosa questione del popolo nomade sahrawi o degli algerini in preda alla mattanza fondamentalista e militare. 

Le responsabilità storiche e attuali delle grandi potenze sono risapute e notorie: gli inglesi di Churchill ad inizio XX secolo, i belgi che hanno fomentato la divisione sociale tra hutu e tutsi discriminando a turno i rispettivi gruppi socio-etnici, i francesi con la loro grandeur imperiale i quali stanno lasciando la poltrona principale al business a stelle e strisce che trova nel petrolio sottomarino una fonte di tutto rilievo rispetto al fabbisogno energetico dello stile di vita i 250 mln di nordamericani viziati  in modo da bilanciare la loro dipendenza dal Venezuela e dal Medio oriente e da approfittare così al tempo stesso di un predominio d'area.

Ma l'Africa resta un continente ignoto non per i nuovi padroni, bensì per il
movimento, quello più ampio per il quale le immagini di fame e di aids non sono più politicamente e mediaticamente sufficienti per mobilitare in modo permanente una attenzione non solo legata alle migrazioni controllate dalle mafie locali e transnazionali; ma anche il nostro movimento ha molto da imparare dall'Africa, non solo dai movimenti libertari e operai che nello scorso secolo si sono affacciati con grande timidezza, per così dire, nel panorama delle lotte emancipatrici, ma pure per maturare un meticciato culturale intorno alle comunità di autogoverno, alle modalità di scambio via dono senza moneta, elementi che caratterizzavano le civiltà africane nei secoli trascorsi e che ora vengono rivalutati per offrire una via di uscita non regressiva né sterminatrice al miliardo o poco giù di esseri umani che sì hanno bisogno di aiuti e tecnologie dolci e risorse alimentari e tanto altro ancora, ma hanno soprattutto l'esigenza di venire rispettati per quello che possono offrire alla storia dell'umanità sull'onda di una civiltà millenaria che può insegnare oltre che apprendere anche al mondo ipermoderno e luccicante segnato dai mercanti di armi e di morte.
 

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