La tv? La fa il quartiere

Ha fatto da pioniere la bolognese «Orfeo tv», mentre è a Roma l'ultima nata: è «AntTv» a Centocelle (di Chiara Zappa).


Un trasmettitore a bassa potenza, un amplificatore di segnale e un'antenna. Non serve nulla di più per squarciare l'etere e – nei meandri dei segnali televisivi ufficiali – fare sentire la propria voce. Anche se è una voce bassa, e anche se il pezzo di etere che raggiunge è molto limitato: diciamo tra i cento e i cinquecento metri, al massimo pochi chilometri. L'importante è esserci, e comunicare. àˆ tutta qui, nella sostanza, l'esperienza delle televisioni di strada, che in Italia sono passate in un anno da zero a un centinaio e continuano a fiorire, da un capo all'altro della Penisola, con idee e modalità sempre nuove. Una delle ultime nate, AntTv, comparsa il 27 giugno nel quartiere romano di Centocelle, per esempio avrà la vocazione di muoversi da una zona all'altra della capitale per diffondere il processo di costruzione di un palinsesto di quartiere. Ma una sola, e piuttosto semplice, è l'idea alla base di tutte le street tv, balenata tredici mesi orsono allo staff della pioniera bolognese Orfeo Tv: usare apparecchiature semplici ed economiche (l'attrezzatura base costa meno di mille euro) per trasmettere materiale autoprodotto sfruttando i coni d'ombra, ossia gli interstizi inutilizzati delle frequenze assegnate a canali ufficiali. Un'operazione che per la legge Mammì è illegale, visto che le tv di strada non hanno concessioni. Lo sanno bene i creatori di Telefabbrica, nata lo scorso dicembre per documentare le storie dei lavoratori di Termini Imerese e oscurata dopo soli tre giorni di attività . Ma i video-attivisti si appellano all'articolo 21 della Costituzione e denunciano l'anomalia televisiva italiana e «l'infinito caso Rete4», mentre in loro difesa si sono schierati non solo il Coordinamento nazionale nuove antenne (Conna) ma anche un gruppo di parlamentari promotori di una proposta di legge a tutela di queste emittenti che, utilizzando spazi di frequenze “grigi”, di fatto non arrecano danno ad alcuno. E in compenso offrono nuove proposte comunicative e punti di vista inediti.«Noi crediamo che la televisione ufficiale sia moribonda, e ci piace pensare di essere una piccola forza che le dà il colpo di grazia», sintetizza Mario (ma non è il suo vero nome…), regista free lance reduce dall'esperienza delle radio libere e tra i fondatori, pochi mesi fa, dell'emittente di strada milanese Nomade tv. Viale Monza, due stanzette di tre metri per tre colme di videocassette, un paio di scrivanie molto essenziali ricoperte di fogli, un pc portatile e una piccola televisione, un videoregistratore, una telecamera a mano. Sul muro, un poster con la frase-manifesto di Ubik, di Philip Dick: «Io sono vivo, voi siete morti». In questo spazio minimale si inventano linguaggi nuovi, si sperimentano le potenzialità inedite del mezzo televisivo, si creano prodotti video liberi nelle forme e nei contenuti per poi trasmetterli nel raggio di un quartiere. Nessuna sovvenzione, nessun condizionamento da parte del mondo politico. I programmi? Possono essere specchio della vita della comunità – «come quando i reduci della manifestazione per la pace del 15 febbraio hanno potuto trasmettere e commentare in diretta su Nomade Tv le immagini girate nei vari cortei» – oppure venire da molto lontano: una piccola antenna satellitare permette all'emittente milanese di ricevere contributi da collaboratori sparsi tra New York e Parigi, Londra e Barcellona, Grecia e Germania. «Non siamo in antitesi con i programmi ufficiali – chiarisce Mario – ma giochiamo con la comunicazione un po' per scommessa e un po' per farci le ossa per il nostro vero obiettivo: la banda larga». Ossia la televisione su Internet: unire un mezzo popolare, ma monopolizzato, con un mezzo del tutto democratico, ora d'élite ma forse presto alla portata di molti più cittadini. àˆ solo uno dei tanti progetti che covano nelle cento redazioni sorte da Bari a Torino in retrobottega, case private, centri sociali. Per molti il primo obiettivo è potenziare la rete già esistente di televisioni di quartiere – il network Telestreet – creando un grosso archivio di materiale on-line aperto a tutte le “antenne libere”, già attive o pronte ad accendersi, mentre c'è chi per il futuro scommette sul satellite. Sono già realtà le due esperienze di Global Tv, che ha aperto le sue trasmissioni satellitari durante il Social forum di Firenze, e NoWarTv, nata lo scorso dicembre dal progetto del team di Giulietto Chiesa, che tra i suoi promotori conta don Luigi Ciotti, Mario Monicelli, Alessandro Dalai e a cui hanno collaborato anche Dario Fo e Franca Rame. Ed è nell'aria l'idea di una tv satellitare unica visibile in tutta Europa. Ma i video-attivisti ribadiscono l'importanza che le singole street tv non perdano la propria autonomia creativa e produttiva. «Quando abbiamo iniziato abbiamo immaginato un'antenna su ogni palazzo e sotto quell'antenna una piccola redazione di cittadini attivi e sensibili al nostro grido d'allarme contro il monopolio televisivo», racconta Ambrogio Vitali, ex della celebre Radio Alice, giornalista e tra i fondatori della prima televisione di strada italiana, Orfeo Tv, che trasmette nel centro storico di Bologna sul canale 51, ufficialmente attribuito a Mtv «ma non visibile nella nostra zona». A Orfeo hanno iniziato trasmettendo tutti i giorni dalle 19.30 in avanti, poi gli impegni si sono moltiplicati – il sito, un giornale che si chiama «Telestreet», la presenza a decine di convegni, dibattiti e seminari – e così oggi si va in onda un paio di volte alla settimana. Nessun palinsesto, ma «un fiume che scorre: approfondimenti e opinioni in diretta, uno spazio dedicato ai filmakers che non hanno distribuzione, interviste sugli argomenti di attualità , servizi su temi locali e globali, la guerra, la pace, i diritti, la politica. E ovviamente la libertà di espressione e informazione». Sul video c'è spazio per qualunque contributo che rispetti le tre regole base di tutte le street tv: antirazzismo, antifascismo e antisessismo. Per il resto gli attivisti dell'etere non si pongono confini e continuano a cercare nuove forme di libera espressione, per sé e per chiunque senta il bisogno di diventare protagonista dell'«altra informazione». Con un appello rivolto a ogni cittadino: «Smetti di guardare la televisione unica, falla!»

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