Una guerra ignorata dai media, che negli ultimi cinque anni ha accumulato 3 milioni di vittime. Il governo congolese cerca stabilità , approvando una carta costituzionale. Ma restano enormi problemi.
di Silvia Prati
In Congo si è combattuta una guerra spaventosa e sovente dimenticata che dall’agosto 1998 alla fine di novembre 2002 ha provocato 3,3 milioni di morti, cifra che potrebbe salire a 4,7 milioni secondo alcune ipotesi: questi i dati resi pubblici l’8 aprile 2003 dall’International rescue committee.
Ora il Paese sembra arrivato ad una svolta. Dopo gli Accordi firmati a Pretoria [dicembre 2002], lo scorso 2 aprile a Sun City [Sudafrica] 362 delegati hanno approvato la Carta Costituzionale che ha dato ufficialmente il via al periodo di transizione di due anni previsto per arrivare alle prime elezioni democratiche. Moltissime le voci in favore di questi Accordi di pace, salutati dalla comunità internazionale come ‘il più grande evento africano degli ultimi anni’. Al potere i principali firmatari dell’accordo: il governo, i due maggiori movimenti ribelli [il Mlc-Movimento di liberazione del Congo e l’Rdc-Raggruppamento congolese per la democrazia] e l’opposizione non armata.
Commenta Padre Silvio Turazzi, missionario Saveriano che ha passato 18 anni nelle tormentate regioni dell’est:«Il risultato è davvero molto significativo, ma riteniamo indispensabile modificare lo statuto della missione Onu: da osservatori a garanti della protezione e della sicurezza dei civili».
Osservatori inutili
La presenza di centinaia di osservatori della Monuc [Missione delle Nazioni Unite in Congo creata per il monitoraggio dell’applicazione dei precedenti accordi di pace di Lusaka del 1999] protetti da tremila militari internazionali, dal 1° luglio 2002 al 30 giugno 2003, è costata oltre 600 milioni di dollari; durante tutto il periodo delle trattative e ancora oggi, gli omicidi, gli stupri e i saccheggi continuano nelle regioni orientali del Paese. Fonti dell’Onu parlano di quasi 210mila sfollati senza assistenza nella sola zona a nord-est, mentre la classe politica e i capi ribelli si dividono i ministeri. Militari ugandesi e ruandesi [il Burundi nega da sempre la propria presenza] continuano le violenze e l’occupazione, in violazione degli accordi bilaterali firmati, che ne avevano già decretato il ritiro. Ross Herbert, dell’Istituto sudafricano per gli affari internazionali, fa notare che altre sezioni del documento racchiudono potenziali disaccordi, come l’integrazione di membri delle forze ribelli nell’esercito nazionale.
E conclude:«Realizzare un accordo è una cosa, la tappa seguente è quella di cominciare a risolvere i problemi». Anche il mediatore sudafricano Mufamadi, al momento della firma, ha commentato:«Se il processo delle negoziazioni è stato difficile, ancor di più la realizzazione concreta».
Le diverse parti firmatarie si sono impegnate verso obiettivi comuni: dalla pacificazione nazionale all’integrità territoriale, alla formazione di un esercito nazionale, all’organizzazione di elezioni libere e trasparenti. Le regole e gli obiettivi per la transizione suscitano perplessità , prima fra tutti la convocazione di elezioni democratiche alla fine dei due anni, in un paese con 50 milioni d’abitanti generalmente senza documenti di identità , sparsi su una superficie di oltre 2 milioni di Kmq.
Come ha affermato Ambroise Katambu Bulambo, scrittore congolese attivo nella difesa dei diritti dell’uomo:«Gli Accordi mancano di realismo e non sono la conclusione logica di costruttivi dibattiti pubblici; non hanno come finalità il rispetto e la realizzazione dei diritti dell’uomo per una democrazia e una separazione equilibrata dei poteri, con la partecipazione di attori civili [Ong, associazioni, Chiese], privati [imprese] e pubblici».
Priorità : disarmo
L’Associazione africana per la difesa dei diritti dell’uomo [Asadho], deplora la continuazione della guerra nell’est e il fatto che il documento consacri il principio dell’impunità per gli autori di crimini di guerra, contro l’umanità ed economici commessi sin dal 1996. Commenta Mons. Pasinya arcivescovo di Kisangani, che l’accordo di pace contiene l’amnistia per i firmatari ‘perché tutti si sentono un po’ a disagio’. Il risultato è che ribelli armati da potenze straniere e personalità indagate per crimini di sangue o sfruttamento illegale delle risorse, si ritrovano alla guida dello Stato o di Ministeri. Resta poi ancora il problema del disarmo. Si parla oggi, nella Rdc, dell’esistenza di 400.000 uomini armati, e i termini previsti per disarmarli sono di soli 90 giorni. Come spiega senza mezzi termini Alison Des Forges, di Human Rights Watch, «i termini dell’applicazione dell’accordo sono totalmente irrealistici».
Testimonianze
L’arte di arrangiarsi
A Kinshasa, come altrove, tra i poveri vige l’arte di arrangiarsi. Ecco come si sopravvive in un paese messo in ginocchio dalla guerra civile.
di Marco Ciancio
volontario Coe, da Tshimbulu
Kinshasa, la capitale, è lo specchio delle condizioni dell’intero paese. Le uniche vere strade sono il lunghissimo boulevard Lumumba e una grande strada che passa vicino allo stadio. Quasi tutte le altre strade cittadine sono prive di asfalto, piene di buche, quando piove si allagano immediatamente a causa dei canali di scolo intasati dalla spazzatura. Un problema sociale molto grave è poi quello dei bambini di strada: orfani, fuggiti di casa o cacciati dalle famiglie come enfants sorciers [bambini stregoni], un’ignoranza purtroppo diffusa e alimentata da alcune sette che riversa su alcuni bambini la causa dei mali della famiglia. Dopo una tappa a Kananga, siamo giunti a destinazione, a Tshimbulu, un ex centro commerciale ormai decaduto. I 120 chilometri che abbiamo percorso attraversando la savana, in certi tratti sono a malapena praticabili. Mentre la nostra è la società dello spreco, qui vediamo come tutto sia importante e tutto venga riutilizzato; le persone vengono a chiederci scatoloni e bottiglie di plastica, i bambini ci chiedono addirittura le scatolette di sardine vuote per giocare. La situazione economica è disastrosa, l’inflazione molto elevata [è impressionante andare a fare la spesa con mazzi di banconote del taglio più alto]. Mancano le attività produttive: il Congo importa tutto, producendo solo qualche marca di birra e i fiammiferi Leopard. In questa situazione vige l’arte di arrangiarsi e la maggior parte della gente si dedica al commercio di sussistenza.
Primo: mangiare
Qui la prima cosa a cui bisogna pensare è il cibo. La gente comune a volte consuma un solo pasto al giorno nel pomeriggio e il menù si limita alla polenta di mais con foglie di manioca. Lo Stato paga in ritardo stipendi bassissimi, a volte non li paga affatto. Un insegnante riceve dallo Stato una retribuzione di circa 7 dollari al mese, ragion per cui ogni studente è tenuto a pagare una piccola somma per consentire all’insegnante di poter sopravvivere. I dipendenti delle ferrovie si inventano bolli e timbri assurdi per aumentare i prezzi dei biglietti e arrotondare i magri stipendi. I poliziotti fermano di tanto in tanto qualche macchina di passaggio al solo scopo di chiedere dei soldi. Qui non c’è acqua corrente. In occasione delle piogge, frotte di bambini, incuranti della pioggia torrenziale, raccolgono l’acqua con secchi e bacinelle. In assenza di piogge, invece, le donne percorrono diversi chilometri per arrivare alla sorgente più vicina e tornare a casa con taniche da 25 litri sulla testa. Anche noi raccogliamo l’acqua piovana per tutte le nostre necessità [anche per bere, dopo averla bollita], mentre l’acqua sporca si ricicla.
àˆ evidente che il nostro arrivo a Tshimbulu sia stato visto come una speranza per molti.
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