Gli avvelenatori dell’America


Articolo scritto da Robert Redford
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Il discorso di Bush sull’energia la settima scorsa mi ha lasciato con una gran voglia di sapere come stanno realmente le cose. Mi è sembrato che le sue parole avessero l’intento o di terrorizzarci, o di cullarci in un falso senso di sicurezza. Non è servito concludere la presentazione del piano energetico -studiato in collaborazione con le lobby del petrolio, del carbone, del gas, delle miniere e del nucleare- con l’appello rivolto a tutti gli americani a farla finita con i battibecchi, ad assumere un tono diverso e ad ascoltare le opinioni altrui. Dal momento che il vicepresidente Cheney ha rifiutato persino di incontrare i gruppi ambientalisti, questo invito suona un po’ strano, se non falso.
Bush la fa tanto facile. Basta costruire decine di migliaia di chilometri di nuovi oleodotti e gasdotti, centinaia di pozzi e poco più di un migliaio di impianti nucleari e in America ‘tornerà il mattino’.
Secondo lui si può fare tutto questo con un minimo impatto ambientale. Trivellare nell’Artico, a poca distanza dalle nostre spiagge o dove si reputerà ‘necessario’ è una cosa da nulla, dice, grazie alle nuove tecnologie capaci di rendere l’impresa ecologicamente compatibile. Non è affatto vero.
Cheney si ostina a dire a chiunque sia disposto ad ascoltarlo che il governo federale in 20 anni non ha concesso neppure una autorizzazione per la costruzione di nuovi impianti nucleari. Facile, nessuno l’aveva mai chiesta. Fino ad oggi. Il presidente si dichiara sfacciatamente a favore del nucleare senza fare neppure un accenno ai rischi legati all’eliminazione delle scorie, alle armi nucleari o agli incidenti negli impianti.
Se andiamo appena un po’ oltre la retorica, scopriamo che il nucleo del piano energetico di Bush è formato da proposte tese ad indebolire le norme a difesa dell’ambiente, per cui gli americani hanno duramente combattuto negli ultimi trent’anni. Ma il piano di Bush ha molto più a cuore gli interessi delle lobby dell’energia che quelli della gente comune che respira l’aria, beve l’acqua e nella stragrande maggioranza è favorevole alla difesa delle riserve naturali. Le compagnie del carbone e del petrolio, nonostante i profitti record, oggi aspirano a colossali sgravi fiscali e a norme meno rigide di tutela ambientale come ricompensa per il sostegno dato a Bush in campagna elettorale.
Costruire pozzi di petrolio nelle oasi naturali dell’Artico è solo una piccola parte di un piano che autorizza le ricerche e l’installazione di impianti per l’estrazione di petrolio e di gas su quasi tutti i terreni pubblici, persino in luoghi straordinari protetti dall’amministrazione precedente come monumenti nazionali. E’ assurdo illudersi che la nuova corsa al petrolio risparmierà questi luoghi selvaggi di bellezza incomparabile.
Non si potrebbero piuttosto rendere più rigide le norme sul risparmio di carburante? Questa iniziativa, da sola, metterebbe a disposizione una riserva di petrolio 5 volte superiore al quantitativo che si potrebbe ottenere trivellando nell’Artico e i consumatori ne trarrebbero benefici più immediati. L’amministrazione dice di voler ‘studiare’ la questione. Che bisogno c’è di studiarla ancora? Sappiamo già che cosa ci vuole. Per quanto riguarda l’elettricità , basterebbe fissare standard più rigidi di efficienza per i condizionatori d’aria, come proposto dall’amministrazione precedente, per risparmiare 13.000 megawatt nei periodi di massimo consumo da qui al 2020, una potenza pari a quella prodotta da decine di centrali.
Trent’anni fa l’America dei grandi gruppi industriali andava su e giù per il paese scaricando allegramente rifiuti tossici nei fiumi, vomitando agenti chimici nell’aria e saccheggiando aree pubbliche incontaminate, tutto questo in nome del progresso. In risposta allo spaventoso danno ambientale del dopoguerra un’ampia coalizione di americani iniziò ad agire in difesa degli interessi della salute pubblica, della sicurezza e dell’ambiente a tutti i livelli di governo. Oggi ci troviamo di fronte un’amministrazione che tenta di annullare questi sforzi.
Purtroppo ci sono Three Mile Island e Chernobyl, l’incidente della Exxon Valdez e innumerevoli studi che provano gli effetti negativi dell’inquinamento sulla salute pubblica a dimostrare che la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Esistono solide prove scientifiche che l’effetto serra esiste e che gli schiavi del piano energetico proposto dalla nuova amministrazione non faranno che peggiorarlo. Personalmente continuo a sperare in un dialogo ragionevole esteso alla comunità ambientalista, ma dall’atteggiamento dell’amministrazione sembra poco probabile. Se il presidente Bush non porrà la tutela dell’ambiente al centro della politica energetica rischia di lasciare alla nuova generazione nient’altro che ceneri.

[Traduzione di Emilia Benghi]

L’autore, attore e regista, è membro del comitato direttivo del consiglio per la Difesa delle Risorse Naturali.
Da ‘La Repubblica’ del 24/05/01

Copyright New York Times

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