clima nero nel Paese globale


Aumentano i gas serra, cresce la povertà . Distrutti 900 mila chilometri di foreste. In Africa si muore come sempre e in Europa salgono a 40 milioni le persone denutrite. Nel rapporto di Legambiente sullo stato del Pianeta il bilancio di un decennio di globalizzazione senza regole
MASSIMO GIANNETTI – ROMA

Sempre peggio. Sotto tutti i punti di vista. Prendiamo per esempio il capitolo delle foreste: in dieci anni ne sono sparite ben novecentomila chilometri quadrati. Un disastro che colpisce soprattutto paesi tropicali. Si cancellano i cosiddetti «polmoni verdi» del pianeta e, allo stesso tempo, aumentano le emissioni dei gas serra: in America [del 21%] come nei Paesi asiatici [del 34%]. E meno male che c’è stato Kyoto. Sotto al cielo del mondo globalizzato sono però tante altre le cose che non vanno affatto bene. Prendiamo un altro capitolo, quello dei poveri: in Europa sono passati in dieci anni da 44 e 91 milioni. Alla fame sono soprattutto i paesi centro orientali, che contano 30 milioni di persone in condizione di denutrizione. Stabile, quindi pessima, la situazione nei paesi dell’Africa sub sahariana, dove «diminuisce l’attesa di vita», ovvero si continua a morire di fame e di malattie. E’ questo in sintesi lo scenario descritto nel Rapporto annuale di Legambiente sullo stato del pianeta. Un rapporto in cui l’Italia [l’articolo qui sotto] viene descritta come un Paese che «resta a guardare», ma che in realtà partecipa attivamente a far peggiorare le sue condizioni. Ma torniamo al resto del mondo, impoverito e intossicato dalla «globalizzazione selvaggia», come la definisce il presidente di Legambiente, Ermete Realacci: «I paesi cosiddetti liberisti dell’Occidente sviluppato – accusa – hanno speso nel 2001 285 miliardi di dollari per sostenere i propri prodotti agricoli [6 volte tanto gli aiuti allo sviluppo, quasi il 40% del valore totale della produzione agricola mondiale] distorcendo in questo modo il mercato e producendo un danno ai Paesi in via di sviluppo che la Banca Mondiale quantifica in 20 miliardi di dollari annui».

Per Legambiente «bastano questi pochi indicatori a tratteggiare gli esiti di un decennio di globalizzazione senza regole, di strapotere del profitto e di sottovalutazione delle controindicazioni sociali e ambientali di uno sviluppo abbandonato a se stesso. E da soli – secondo l’associazione ecologista – basterebbero a far impallidire le tesi di chi pretende di minimizzare i problemi ambientali o di far passare le crescenti diseguaglianze sociali per il rumore di fondo della grande macchina del progresso». L’attuale «sistema economico mondiale è insostenibile» – dice ancora Realacci, smentendo «le bugie degli ecoscettici», di coloro cioè che additano le ‘infondate lagnanze’ degli ambientalisti come causa dello spreco di risorse». Le cose, dati alla mano, non stanno così. Ad esempio, «laddove, come in Europa, è stata attuata una politica diretta della riduzione dei gas serra, le emissioni sono calate del 3%; negli Stati Uniti invece, che hanno avversato queste politiche, c’è stato un aumento del 21%». Stesso discorso per energia e rifiuti. «Al crescere del reddito aumenta la produzione dei rifiuti e i consumi enegetici». La realtà è insomma un’altra, dice Legambiente, citando fonti non di parte. «Il più recente studio della Banca mondiale sull’argomento conclude che la regolazione – e dunque una rigorosa legislazione ambientale, politiche tariffarie e agevolazioni per le tecnologie più innovative e meno inquinanti – è il fattore determinante nella riduzione dell’inquinamento». Uno schiaffo anche «all’ambiguità » italiana, che, al di là delle buone intenzioni annunciate e mai attuate del ministro Matteoli, le emissioni dei gas serra anzichè diminuire sono aumentate. Più 5 per cento da Kyoto al 2000.

«Lo stesso andamento della globalizzazione dei mercati – prosegue il Rapporto – ha prodotto risultati contraddittori. Una parte dei paesi in via di sviluppo, 24 nazioni in cui vivono circa 3 miliardi di persone [Cina in testa], è oggi più integrata, ha acquisito più alti tassi di crescita economica, ridotto la povertà e la denutrizione». Contemporaneamente però altri 2 miliardi di persone – soprattutto in Africa, Medio Oriente e nell’ex Unione Sovietica – sono finite ai margini del sistema economico mondiale. Hanno visto crescere o apparire la povertà . Nell’Africa sub-sahariana tutti gli indicatori mostrano un peggioramento: è diminuito dello 0,3% annuo il reddito procapite, i bambini non scolarizzati sono aumentati e l’attesa di vita è diminuita, soprattutto per effetto dell’Aids. Spesso perfino la mortalità infantile è tornata a salire [in Kenya tra il 1990 e il 1998 è passata da 61 a 74 per 1000, in Zimbabwe da 52 a 73] così come il numero delle persone denutrite, cresciute di oltre 40 milioni.

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