‘SE QUESTA àˆ LA VOSTRA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO’…


Dal 31 agosto Eduardo Missoni non lavorerà più per la Dgcs: Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo ]. Dal 1987 era il responsabile al ministero degli esteri della cooperazione sociosanitaria con l’America latina e gran parte dell’Africa subsahariana.
Ecco la sua lettera di dimissioni.

Il medico – esperto in medicina tropicale, con importanti esperienze in Nicaragua e Messico – se ne va spiegando le ragioni delle sue dimissioni in una lunga
lettera, e sottolineando che si tratta di ‘un passo sofferto, dopo più di quindici anni, ma divenuto inevitabile’. Non solo per il ‘progressivo, generale deterioramento dell’ambiente di lavoro’ ma anche per ‘una struttura inadeguata e, spesso,
dinamiche non sempre limpide’.

La lettera Рdatata 24 luglio Р̬ piena di motivazioni tecniche e personali,
ma non mancano i riferimenti – talvolta graffianti – alla cosiddetta nuova
‘diplomazia dello sviluppo’ del ministro degli esteri ad interim Silvio
Berlusconi, e della
sua ‘abusata terminologia aziendale’. Missoni sottolinea anche i guai che
l’attuale
governo gli ha fatto passare per aver rilasciato un’intervista, fino al
punto di cercare di
convincerlo ‘ricorrendo a minacce nemmeno troppo velate – a dichiarare che
mai più avrei
parlato con un giornalista’.

Missoni aveva già presentato dimissioni che avevano sollevato preoccupazioni
tra coloro che si interessano di cooperazione con il Sud del mondo: in
occasione della
presidenza italiana del G8 nel 2001 che culminerà nel disastro di Genova,
aveva
presieduto il Gruppo Sanità fino al mese di aprile.
Il medico – fra l’altro per molti anni socio della Lega per i diritti dei
popoli e dei Beati i costruttori di pace – ha un sito internet con molte
informazioni.

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Ecco il testo integrale della lettera di dimissioni:

Sono giunto a questa determinazione, non senza sofferenza, a causa del
progressivo, generale deterioramento dell’ambiente di lavoro presso la Dgcs,
cui si sono
aggiunti risvolti particolari e personali nei miei confronti, tutti
evidentemente
tendenti alla mia emarginazione, per i quali sono già ricorso più volte per
le vie gerarchiche
alla S.V. senza, peraltro, mai ottenere riscontro.
Nonostante i numerosi limiti più volte sperimentati, ho speso più di
quindici anni della mia vita professionale nella Direzione Generale
Cooperazione allo Sviluppo
[da ora Dgcs, ndr] convinto di trovarmi in una delle posizioni migliori
per servire il mio Paese nel perseguimento degli obiettivi ‘di solidarietà
tra i popoli e di piena realizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo’
che il
Legislatore ha indicato per la Cooperazione allo Sviluppo, affidandone la
responsabilità prevalente proprio alla Dgcs. Credo di aver fatto del mio
meglio. Pur non essendo mancati
apprezzamenti e riconoscimenti, numerose e profonde sono state le
frustrazioni derivanti
dagli impedimenti al buon esito delle iniziative di cooperazione,
condizionati da una
struttura inadeguata e, spesso, da dinamiche non sempre limpide.
In quindici anni il mio Capo Ufficio [Funzionario Preposto all’Utc:Unità
Tecnica Centrale] è cambiato otto volte ed altrettante volte il Direttore
Generale; in più casi questi incarichi sono stati affidati a funzionari
senza alcuna esperienza previa in Cooperazione e, come è evidente, con una
permanenza nell’incarico insufficiente ad acquisirne. A questa
carenza strutturale – inevitabile nel collocare la gestione della
Cooperazione allo
Sviluppo in un Ministero per sua natura prevalentemente politico e tendente
a non
privilegiare la ‘specializzazione’ – si sono aggiunte in diversi casi la
poca disponibilità
all’ascolto,la mancata valorizzazione, se non l’umiliazione delle competenze
esistenti,
l’arroganza e la prevaricazione di una gestione del tutto discrezionale
della cosa
pubblica.
Alla menzionata carenza strutturale avrebbe potuto porre rimedio una riforma
del settore, ma quella riforma non c’è stata, come è pubblicamente noto,
anche per gli
ostacoli e le omissioni frapposti dall’Amministrazione di questo Ministero
all’iter
legislativo. D’altra parte non c’è stato nessun impegno da parte della Dgcs
a colmare altrimenti
le proprie deficienze. A tutt’oggi manca un quadro organico di procedure, e
l’interpretazione delle norme esistenti è del tutto imprevedibile e
discrezionale. In taluni casi,
la stessa suddivisione delle competenze tra gli Uffici è stata lasciata
senza
definizione, come nel caso delle iniziative di emergenza dove, nonostante
numerosi stimoli e
suggerimenti da parte degli operatori e degli stessi Uffici coinvolti, è
stata
coscientemente rifiutata una chiara definizione della suddivisione dei
compiti tra Utc e Ufficio VI,
all’insegna dell’informalità e con indiscutibile spreco di tempo e di
risorse.

D’altra parte, tutto il settore della ‘emergenza’ [che poi, come tale è non
è mai stato indicato dal Legislatore: l’art. 11 della Legge n.48/87 parla di
interventi
‘straordinari’ e la più recente legge n.426/96 – art. 11 – di programmi
volti ad alleviare
gli effetti della crisi ‘nel caso di calamità naturali o attribuibili
all’uomo’] è
stato, ed è, un esempio paradigmatico dell’uso improprio degli strumenti
operativi
disponibili. Numerosi sono i programmi di ‘emergenza’ rifinanziati di anno
in anno, a volte sotto
mentite spoglie, senza soluzione di continuità ; iniziative con personale
espatriato
che da anni è in ‘missione breve’, privato tra l’altro dei diritti derivanti
da missioni
di identica durata realizzati in ‘missione lunga’ senza interruzioni
surrettizie.

Senza poi considerare le indicazioni a mantenere il più possibile indefinite
[come sistematicamente avvenuto in passato] le proposte di finanziamento
relative
a quegli stessi programmi, al fine di evitare le osservazioni dell’Ufficio
di
Ragioneria, il più delle volte inevitabili laddove la tipologia
dell’intervento fosse stata
resa palese. Con analogo difetto di trasparenza vengono presentate al
Comitato Direzionale
iniziative ordinarie per svariati milioni di Euro, prive del parere del
Nucleo di
Valutazione Tecnica, impossibilitato ad esprimerlo per mancanza di elementi.

Nell’Utc la preoccupazione prevalente dell’attuale Funzionario Preposto
sembra essere quella di evitare ogni assunzione di responsabilità , come
testimoniato
dall’introduzione di formule bizantine in calce alle proposte di
finanziamento e ad ogni
singola nota trasmessa ad altri Uffici, dove la firma del Funzionario deve
essere ora
preceduta da plurimi ‘visti’ di esperti coordinatori e di altri ‘alle
dirette dipendenze’
del Funzionario come improbabili [e non previsti] ‘capi segreteria’; questi
ultimi chiamati esclusivamente a vigilare sull’operato dei colleghi [anche
di pari livello e
medesime funzioni contrattuali] e così sottratti agli indispensabili e
prioritari
compiti di gestione delle iniziative di cooperazione in una sempre più grave
carenza di
organico dell ‘Utc [ormai ridotto, per quanto riguarda gli esperti a sole 38
unità ].

Carenza gravissima – considerati i compiti insostituibili affidati dal
Legislatore alla Utc – di cui nessuno sembra preoccuparsi con la necessaria
solerzia. Così è
già fallito l’ ‘obiettivo 4’ della Dgcs, che nella recente Direttiva
Programmatica dell’On.
Ministro indicava nel 30 giugno il termine per la predisposizione delle
procedure di
un nuovo concorso. A nulla servono gli schemi per il controllo gestione, o
l’adozione
di altre pratiche aziendali quali la fissazione di obiettivi, traguardi e
indicatori,
se manca la cultura della buona amministrazione.

All’inizio dell’anno abbiamo appreso degli esercizi della S.V. con
l’interpretazione della nuova missione della Cooperazione allo Sviluppo:
‘Diplomazia per lo
Sviluppo’, innaturalmente coniugata con anglicismi presi in prestito da
un’abusata
terminologia aziendale. Purtuttavia, quell’approccio è di per sé eloquente
della
progressiva emarginazione di ogni funzione tecnica della Cooperazione allo
Sviluppo e
dell’ appropriazione [indebita] delle relative competenze da parte di altri
uffici.
Sarebbe opportuno interrogarsi sul perché dell’esodo di esperti e altro
personale della Dgcs, divenuto sistematico negli ultimi tempi. Una
situazione sintomatica di
un disagio largamente diffuso nella Direzione Generale per la Cooperazione
allo
Sviluppo, che sta fortemente pregiudicando l’attività , e con essa la
credibilità , dell’Italia
in questo delicatissimo settore della sua politica estera; ma chi ne ha la
responsabilità non se ne preoccupa; anzi – mi correggo – si preoccupa solo
che quel malessere, spia di un fallimento, non appaia.
Il disinteresse per il buon funzionamento della Cooperazione allo Sviluppo,
si traduce inevitabilmente in tempi lunghissimi per la ‘firma’ di note e
documenti
diretti ad altri uffici, frustrando l’impegno di singoli operatori per
portare a buon fine i
relativi procedimenti. Quando nonostante tutto la Cooperazione ha potuto
rivendicare
dei risultati positivi, essi sono stati solo il frutto della perseveranza di
impiegati
che, onestamente e sinceramente preoccupati di assicurare i previsti
benefici per le
popolazioni destinatarie, hanno saputo superare i grandi limiti
dell’Istituzione e dei
suoi responsabili, senza ricevere per questo alcun plauso [ma anche questo
atteggiamento appartiene all’incapacità di gestione cui si è già fatto
riferimento].
In questo contesto, di per sé disincentivante, s’inseriscono le vicende
oggetto dei
ricorsi effettuati per le vie gerarchiche alla S.V. per ottenere delle
spiegazioni già
negatemi o rese in forma inaccettabilmente evasiva dal Funzionario Preposto
e che Ella non ha avuto la cortesia di riscontrare.
Per dovere di cronaca ricordo che nella primavera del 2001, in qualità di
presidente del gruppo degli esperti sanitari del G8 – designato dalla
Presidenza del
Consiglio – mi venni a trovare in una posizione particolarmente
imbarazzante, di fronte ai miei
interlocutori stranieri che chiedevano chiarimenti in merito a documenti
della cui
formulazione mi veniva attribuita la responsabilità e che in virtù
dell’incarico assegnatomi
avrei dovuto almeno conoscere. Senza che io ne fossi informato la Presidenza
italiana del
G8 aveva distribuito ai nostri partner nuove proposte in tema di sanità , che
stravolgevano l’agenda già formalmente trasmessa all’inizio dell’anno e
sulla quale il gruppo di
esperti sanitari stava lavorando.
D’altra parte, quelle proposte erano il frutto di un’elaborazione
unilaterale imposta dal
Ministero del Tesoro, dalla quale erano stati parimenti esclusi gli uffici
competenti del
nostro Ministero della Sanità e che, nelle sue premesse – contenute in un
primo documento noto come ‘Beyond debt relief’ presentato alla conferenza
dei ministri
finanziari del G7 a Palermo in febbraio – aveva già suscitato diverse
perplessità in seno al
gruppo degliesperti sanitari G8 da me presieduto.
Presentai le mie dimissioni all’allora Presidente del Consiglio
argomentandole dettagliatamente sia nella forma, con riferimento alla
scorrettezza ed alla
poca trasparenza delle procedure adottate, sia nel merito. Quella lettera di
dimissioni rimase senza risposta e nonostante l’eco dato dalla stampa alle
mie successive
dichiarazioni, esse non furono in alcun modo contestate nel merito, almeno
non in maniera
trasparente e men che meno pubblica.
Fui invece chiamato a dare spiegazioni circa un’intervista rilasciata al
settimanale
Famiglia Cristiana. Quelle spiegazioni, veniva sottolineato, non erano
dovute in quanto esperto dell’Utc – non avendo l’intervista attinenza con i
compiti che
svolgevo in quella veste – ma per aver espresso una posizione in contrasto
con la linea del
Governo chiamando ‘con ciò stesso’ in causa la responsabilità
dell’Amministrazione da cui
dipendo.

Risposi che in effetti l’intervista riportava le ragioni delle già citate
dimissioni da Presidente del Gruppo sanità del G8, ribadendo l’indipendenza
di
quell’incarico – conferitomi per iscritto dalla Presidenza del Consiglio e
non dalla Dgcs da
cui dipendo – dai miei compiti come esperto Utc, peraltro non trascurati,
compensando
piuttosto con numerose ore di straordinario – notoriamente non retribuite –
il tempo
sottratto alla mia attività presso la Dgcs.
In quell’intervista, ricordai, non vi era un solo passaggio a me
direttamente attribuibile
in cui si potesse cogliere un nesso tra la mia qualità di esperto Utc e le
posizioni
critiche assunte, né facevo alcun riferimento alla Dgcs, considerando quindi
una forzatura il volerla vedere chiamata in causa, per il solo fatto di aver
contestato
una scelta del Governo. Ribadii in quell’occasione che le opinioni espresse
nell’intervista
dovevano essere intese come quelle di un libero cittadino, seppure esperto
in
materia. Concludendo, sostenevo la libertà d’espressione quale diritto
sancito dall’art. 21 della
Costituzione della Repubblica.
Appena ricevuta la mia risposta fui convocato dal Funzionario Preposto che
di fronte a due ‘testimoni’ cercò di convincermi – ricorrendo a minacce
nemmeno troppo
velate – a dichiarare che mai più avrei parlato con un giornalista.
Nell’assumermi
tutta la responsabilità del mio comportamento, tornai a rivendicare in
quell’occasione il mio diritto costituzionale alla libertà di espressione.
Il Funzionario Preposto,
vantando le conoscenze derivanti dai suoi originari studi giuridici [in
contrapposizione
alle mie di natura medica], rispose sottolineando che la ‘Costituzione va
interpretata’.
Nonostante il cambio di Governo – e l’uscita di scena dei Ministri che le
mie dimissioni avevano chiamato in causa – divenni oggetto di una subdola e
sistematica
limitazione delle mie funzioni abituali di esperto dell’Unità Tecnica
Centrale della Direzione
Generale per la Cooperazione allo Sviluppo. Evidentemente dovevo essere
punito, ma senza
che nessuno potesse essere chiamato a risponderne. Una situazione cui ci si
riferisce
comunemente come ‘mobbing’, ma in questo caso più correttamente ‘bossing’.
Tutto ciò con un
danno non indifferente alle iniziative a me affidate in gestione e,
conseguentemente,
all’immagine estera del nostro Paese, oltre che all’Erario.
Anche se da tempo programmate e sollecitate dalle nostre Rappresentanze
all’estero, le mie missioni, sono state bloccate senza apparenti ragioni e
senza poi rendere
spiegazioni a quelle stesse Rappresentanze e agli Uffici che, messi in
difficoltà anche
rispetto ai partner bilaterali e internazionali, le hanno richieste. Sono
stato
progressivamente sollevato dalla responsabilità di importanti iniziative di
cooperazione che
avevo da tempo in gestione, fino all’improvviso e non motivato trasferimento
a ‘tempo
pieno’ all’area tematica di ‘Emergenza’ dell’Utc [per giunta sottoposto al
coordinamento di
un collega di livello inferiore, in contrasto con quanto previsto dal
Decreto Interministeriale – mai
applicato – che regola le funzioni degli esperti in base al loro livello].
Contemporaneamente fu imposto ad alcuni colleghi esperti di sostituire la
mia firma in calce a progetti da me già individuati, elaborati e valutati,
giungendo al
punto di chiedere agli Uffici destinatari la restituzione della
documentazione già
istruita e trasmessa.
Come ad Ella ben noto, esiste una relazione tra quest’ultima umiliazione
inflittami e l’ attacco, sorprendente e francamente poco sostenibile,
portato dal
rappresentante del Ministero dell’Economia in sede di Comitato Direzionale
contro l’ultima
delle Proposte di Finanziamento presentate a quell’Organo deliberante da me
istruite e
sottoscritte. Naturalmente una volta eliminato l’imbarazzo di quella scomoda
firma, gli
stessi progetti hanno potuto riprendere l’iter normale. Assegnato
all”emergenza’, i
progetti da me firmati non sarebbero più giunti all’attenzione del Comitato
Direzionale e
la S.V. non avrebbe più dovuto alcuna spiegazione al rappresentante del
Ministero
dell’Economia circa la mia permanenza alla Dgcs.
Come era prevedibile, anche la valutazione annuale dello scrivente è stata
inficiata dall’
ormai manifesto animo persecutorio. Benché il giudizio complessivo sul
valutato sia stato classificato ‘B’ ed abbia quindi di per sé il valore di
valutazione
positiva, in quella valutazione vi sono elementi obiettivi per ritenere tale
giudizio
immotivatamente punitivo. Giacché il mio ricorso per le vie gerarchiche alla
S.V. con la
richiesta di revisione della valutazione sulla base di elementi
oggettivamente
verificabili e di un’ esplicita motivazione di ogni singolo giudizio, è
rimasto anch’esso senza
riscontro, credo opportuno richiamarne alcuni punti centrali.
Anche qui vi sono innanzitutto degli aspetti a carattere generale, legati
alla più volte richiamata discrezionalità vigente nella Dgcs. Basti pensare
che il
‘valutatore’ avendo assunto l’incarico di Funzionario Preposto solo nella
seconda metà del mese
di giugno del 2001, non avrebbe avuto alcun titolo ad esprimere un giudizio
sull’intero
anno, a maggior ragione non essendosi preoccupato di consultare in proposito
il suo
predecessore. Così come desta almeno curiosità l’introduzione di una
categoria ‘A+’ non
prevista tra i possibili ‘voti’ attribuibili e pertanto illegittima, oltre
che palesemente
discriminatoria, soprattutto in assenza dei criteri per l’attribuzione di
quel marchio che
qualche burlone ha voluto considerare di ‘alta fedeltà ‘ verso il
‘valutatore’.
D’altronde, per esprimere il giudizio complessivo è stato adottato per tutti
gli esperti un testo standard con la sola variazione di aggettivi, di modo
che anche
quello non trova fondamento in un’oggettiva analisi del lavoro svolto,
spesso molto diverso
da esperto ad esperto in termini di carico di lavoro e tipologia di
attività .
Per quanto riguarda il giudizio sullo scrivente, ciò che ha motivato il
ricorso non è stato ovviamente il ‘voto’ meno buono rispetto a quello di
eccellenza
attribuito sistematicamente a chi scrive fin dal 1995, ma ancora una volta
l’assenza
delle motivazioni e la franca assurdità di alcune valutazioni specifiche
inerenti
le sue prestazioni lavorative, capacità professionali, caratteristiche
personali e
capacità relazionali. Se confrontati con gli omologhi degli anni precedenti
quei
giudizi assumono un valore relativo sistematicamente peggiorativo, tanto da
lasciar pensare
che lo scrivente sia soggetto ad una patologica involuzione.
Per quanto concerne in particolare il giudizio sulle capacità relazionali,
la valutazione globale ‘C’ [insufficiente] porterebbe a concludere che lo
scrivente si sia
improvvisamente trasformato in un individuo asociale, per lo più
irresponsabile, inaffidabile, di pessimo carattere e appena capace di
autonomia e del tutto
incapace di ‘integrarsi con superiori, collaboratori, ecc.’, salvo
comprendere appieno
il significato della ‘integrazione’ richiesta; ciò dopo sei anni consecutivi
di
riconoscimento di ottime capacità relazionali. Una rapida inchiesta tra il
personale della Dgcs,
quanto meno tra i ‘collaboratori, ecc.’, rivelerebbe probabilmente che la
stima nei confronti
dello scrivente non è affatto venuta meno e che quello riportato nella
valutazione
è un giudizio assolutamente personale del valutatore, senza alcun supporto
oggettivo ed
evidentemente teso a squalificare lo scrivente.
Come ho avuto già modo di segnalare alla S.V., il Funzionario Preposto alla
UTC aveva apertamente segnalato il valore discriminante della valutazione
dell’attività svolta nel 2001, ai fini di eventuali ‘prossimi’ innalzamenti
di livello degli esperti,
specificando come in assenza di esperti valutati ‘C’, il numero di
valutazioni ‘B’
sarebbe stato dirimente. Il fatto poi che, dopo aver nuovamente sottolineato
anche la sua
personale benevola intenzione di rinnovare il contratto e promuovere tutti
a livello
superiore, rivolgendosi al sottoscritto il Funzionario Preposto abbia tenuto
ad
aggiungere: ‘Certo che nel suo caso non sarà facile’, non può che aggiungere
ragioni alla mia
legittima richiesta di ottenere spiegazioni.

Chissà che non sia stato proprio il citato ricorso per le vie gerarchiche
alla S.V. ad influenzare la decisione nell’inserire anche il mio nome tra
quello degli
esperti il cui rinnovo contrattuale è stato recentemente approvato dal
Comitato Direzionale
per altri quattro anni. Vorrei piuttosto credere che ad orientare la scelta
sia stato
il riconoscimento, seppur tardivo, ‘delle esigenze connesse all’attuazione
dei
compiti di natura tecnica della cooperazione allo sviluppo’ drammaticamente
superiori
alle risorse disponibili. Mi auguro, per gli altri esperti della Dgcs e per
il bene
dell’attività di Cooperazione, che ciò rappresenti un definitivo superamento
di quella
precarietà che ha contraddistinto negli ultimi anni il rapporto contrattuale
degli esperti.

Come noto, l’Amministrazione a propria discrezione ha ridotto anche a soli
sei mesi la durata del contratto che la Legge fissa in quattro anni, senza
peraltro
compensare con maggiore flessibilità o correggere condizioni ‘capestro’
quali la perdita
del salario oltre i 30 giorni di malattia.
Purtroppo, ho ragione di ritenere che il clima e l’andamento generale della
Direzione Generale per la Cooperazione italiana allo sviluppo non possano
migliorare
in tempi brevi;
certamente non senza profonde revisioni delle sue modalità gestionali. Né mi
sembra che le finalità stabilite a suo tempo dal Legislatore ne orientino in
alcun modo le
scelte e l’ operato istituzionali. ‘Resistere’ in questo contesto non
avrebbe
significato, non per chi come me ha scelto di dedicare la propria vita alla
costruzione di un mondo
migliore. Non mi rimane dunque che una sola risposta, tornare a cercare una
collocazione
che mi consenta di essere utile a quell’obiettivo, possibilmente
condividendo il percorso
con persone altrettanto motivate.
Credo che questo mio passo, certamente non lieve, non debba restare un
semplice atto amministrativo, ma servire di stimolo ad una riflessione più
ampia. àˆ per
questo che condividerò questo scritto con tutte le colleghe e tutti i
colleghi –
indipendentemente dalla qualifica, la categoria, il ruolo o qualsiasi altra
possibile
differenziazione amministrativa – e le altre persone che in un modo o in un
altro mi hanno
accompagnato in questi ultimi 15 anni di vita professionale.

Eduardo Missoni
Articolo tratto da NIGRIZIA [mensile dei missionari comboniani]

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