Poveri più poveri? La colpa è dell’ FMI


La catastrofe argentina. La crisi della Russia. Il disastro del Terzo mondo. Il Nobel Joseph Stiglitz contro Fmi, Banca mondiale e Usa.

di Wlodek Goldkorn – da New York

Nei circoli della New York che conta, l’uomo del momento è un mite professore di economia della Columbia University. Si chiama Joseph Stiglitz, e nel 1993 aveva lasciato
l’ovattato mondo accademico per verificare come funzionava l’universo della politica. Per quattro anni è stato consigliere di Bill Clinton alla Casa Bianca. Poi, nel 1997, è stato nominato vice presidente della Banca mondiale, incarico che ha lasciato nel 2001 per tornare a insegnare. Nello stesso anno ha vinto il premio Nobel per l’Economia.
Ora, Stiglitz ha deciso di rendere pubblica l’esperienza di questi sette anni in un libro intitolato ‘Globalization and its Discontents’, che tradisce acume e grandi ambizioni.
L’opera, che uscirà nelle librerie ai primi di giugno, contiene una radicale critica di come il processo della globalizzazione è stato gestito finora, un appello perché tutto cambi prima che sia troppo tardi, e una ricetta.
La globalizzazione, dice Stiglitz, ha portato benefici quasi solo a chi era già benestante. E questo non perché il processo di per sé sia sbagliato, ma perché le sue regole sono state dettate dal Fondo monetario internazionale [Fmi]. Questa istituzione,
nata nel 1944 a Bretton Woods per l’impulso di John Maynard Keynes, con lo scopo di debellare la povertà e aiutare i paesi in via di sviluppo, ha quindi tradito la sua missione originale. E ha ribaltato l’impostazione del grande economista britannico.
Insomma l’Fmi, diretto da uomini di finanza, è oggi ostaggio del ‘fondamentalismo monetario’.
I suoi dirigenti e ispettori sul campo sono interessati, sostiene Stiglitz, solo a bilanci e contabilità . Della vita quotidiana della gente, della disoccupazione, a loro non importa niente. D’altra parte le ricette sono spesso sbagliate: per fare alcuni esempi, per effetto delle politiche imposte dal Fondo il Pil della Russia è crollato del 40 per cento, in Argentina c’è stata la catastrofe dell’economia, in tutta l’America latina la gente è
oggi più povera. E ancora, nei paesi in via di sviluppo non c’è sviluppo e cresce invece l’instabilità .
Errori di finanzieri che credono ciecamente in una dottrina errata? No, risponde Stiglitz.
C’è disonestà . Le regole del Fondo monetario, ma anche di altre istituzioni come la Banca mondiale e l’Organizzazione mondiale per il commercio [Wto] si basano su doppi pesi e
doppie misure.
Agli Stati Uniti [il principale colpevole degli scompensi della globalizzazione] e ai paesi ricchi si applicano metodi diversi di contabilità dei bilanci, dei deficit e dei debiti, che non a quelli poveri. Le barriere commerciali sono state abbattute nelle
nazioni più povere ma gli Usa [e in parte l’Europa] continuano con politiche protezionistiche. E ancora, la liberalizzazione dei mercati di capitale ha reso impossibile qualsiasi politica economica mirata da parte dei governi dei paesi più deboli.
Ha reso la loro moneta instabile, finendo per trasformare miliardi di essere umani in vittime degli speculatori e degli investitori dei paesi benestanti.
Di fronte a tale catastrofe [«preannunciata, bastava dar retta alle ricerche accademiche»], Stiglitz propone un rimedio radicale come le sue critiche. Occorre uscire dall’«ortodossia del monetarismo», sostiene. E, soprattutto, cominciare a governare il processo della globalizzazione. In altre parole, bisogna tornare al vecchio caro metodo e allo spirito di Keynes. I maligni dicono che con il suo libro l’ambizioso e brillante
Stiglitz si propone come il Keynes del Ventunesimo secolo.

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