FAME NEL MONDO:E’ fallito il nostro ‘modello da obesi’


La lotta alla fame è stato un fallimento collettivo’ ha ammesso il direttore della Fao Jacques Diouf. I denutriti nel mondo sono 820 milioni e invece di diminuire aumentano…

La lotta alla fame è stato un fallimento collettivo’ ha ammesso il direttore della Fao Jacques Diouf. I denutriti nel mondo sono 820 milioni e invece di diminuire aumentano. Come mai? Gli ingenti investimenti della Fao e degli Stati industrializzati se non hanno risolto il problema avrebbero dovuto almeno ridurlo, anche di poco. E’ evidente che è sbagliato l’approccio. Bisogna innanzitutto sgombrare il terreno da un paio di equivoci e luoghi comuni. Non è vero che la fame nel mondo, come costante e in queste proporzioni, sia sempre esistita, per cui noi staremmo affrontando un problema che nessuno prima era riuscito a risolvere. Nel mondo preindustriale, contadino, che viveva sulla terra, nessuno moriva di fame se non durante le carestie che, in Europa, avevano una periodicità trentennale. La fame come costante, come problema di ogni giorno non esisteva, mentre oggi muoiono di fame 24mila persone al giorno.

Non è nemmeno vero, se non in minima parte, che sia stato l’aumento della popolazione mondiale a creare il problema della fame. A parte Bangladesh, Egitto, Giava e alcune regioni dell’India il Terzo Mondo non è sovrappopolato e potrebbe tranquillamente mantenersi con le coltivazioni tradizionali anche se non meccanizzate. Il fatto è che le popolazioni del Terzo Mondo sono denutrite perché noi siamo obesi. E’ il nostro modello di sviluppo, industriale e finanziario, che penetrando in quelle realtà costringe le popolazioni ad abbandonare le economie di sussistenza, basate sull’agricoltura tradizionale, su cui hanno vissuto per secoli e millenni per integrarsi nel mercato globale. Adesso quei Paesi esportano qualcosa, ma le esportazioni non sono sufficienti a colmare il deficit alimentare che si è venuto a creare con l’abbandono della terra.

La fame è un prodotto della globalizzazione. Affermare, come fanno Amartya Sen e Soros [ripresi l’altro giorno da Gianni Riotta sulla Stampa], che è vero il contrario, che la fame è dovuta a un deficit di globalizzazione perché i Paesi sviluppati, con le loro misure protezionistiche in agricoltura, impediscono a quelli terzomondisti di esportare, è dire cosa contraria al più elementare buon senso. Scrive infatti Riotta: ‘Se Usa e Europa liberalizzassero l’agricoltura i Paesi poveri esporterebbero subito cibo per oltre cento miliardi di euro’. Se la fame dipendesse da questo basterebbe che quel cibo lo producessero per il mercato locale.

Il problema della fame quindi non si risolve, pelosamente, dando ai Paesi poveri altro denaro che, costringendoli a integrarsi ulteriormente nel nostro modello di sviluppo, li strangola. Il problema si risolve, o meglio si risolverebbe se noi la smettessimo di imporre in quei Paesi il nostro modello. Ma questo non lo faremo mai perché quelle popolazioni, per quanto povere, ci servono come mercati, dei quali abbiamo assoluto bisogno perché i nostri sono saturi. Per cui tutti i discorsi pietistici e solidaristici di questi giorni non sono che un’infame impostura di chi non vuol perdere nemmeno un euro dei propri profitti

di Massimo Fini

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