Azione di ‘gruppo’


Anche in Italia ci vuole la class action
di Paolo Brera.

Far causa per piccole somme qui è impossibile, anche se sono molte le persone danneggiate, in America invece ci si può mettere insieme; lì il risarcimento è spesso maggiore del danno, e la sentenza costituisce un precedente fortissimo.

Se qualcuno vi dà uno schiaffo, il Vangelo vi dice di porgergli l’altra guancia, ma se vi toglie qualcosa ingiustamente, non dice che siete tenuti a lasciarglielo. Un conto è la mitezza, un altro è un atteggiamento rinunciatario. A rendere consigliabile la rinuncia – anche a coloro che miti non fossero per niente – ci pensa il sistema giudiziario italiano. Non solo perché le cause durano una vita e non di rado anche di più, ma anche per alcune altre caratteristiche che fanno indignare. Se un farabutto danneggia ingiustamente un milione di persone portando via a ciascuno dieci euro, per esempio, la giustizia italiana di fatto non offre alcun rimedio, anche se il danno sociale è molto grosso. Ciascuno dei truffati è libero di fare causa, ma può recuperare al massimo dieci euro, e prima deve pagare un avvocato [per esempio, due o tremila euro solo per cominciare]. Se vince, è vero, recupera anche le spese di giudizio. A meno che nel frattempo il convenuto sia fallito, nel qual caso non ottiene proprio niente.Nessuna persona razionale fa causa per somme inferiori ai 500 euro, neanche davanti al giudice di pace. Ma in questo modo in Italia rinunciamo a un’opportunità preziosa, quella di muovere l’intera società per correggere le storture. In America le cose funzionano diversamente. Come ha osservato Tocqueville, gli americani hanno sempre dato per scontato che le norme emanate dai legislatori siano imperfette, ma hanno affidato al sistema giudiziario il compito di porre rimedio alle imperfezioni. Una norma errata finisce sempre per danneggiare qualcuno: questo qualcuno fa causa: il giudice emette una sentenza che costituisce un precedente per tutte le cause future con il medesimo oggetto.Le cose che in America ci sono e in Italia no e che fanno funzionare meglio la società sono quattro, e si chiamano class action, contingency fee, punitive damages e precedenti obbligatorii. La class action è una causa promossa da un gruppo numeroso di persone ciascuna delle quali è stata danneggiata relativamente poco. Se vincono, vincono tutti. Queste azioni di classe sono lanciate da avvocati che accettano di essere pagati con una quota degli indennizzi che riusciranno a tirar fuori dalla controparte [contingency fee]. Spesso i giudici, riconoscendo la pericolosità sociale dei comportamenti oggetto della causa, accordano agli attori [coloro che la promuovono] ‘risarcimenti’ più grandi del danno effettivamente patito, in modo che la parte soccombente sia pesantemente dissuasa dal ripetere i comportamenti scorretti [punitive damages]. Infine, il sistema dei precedenti, che rende quasi certo l’esito favorevole delle successive cause intentate per gli stessi motivi.Ma in Italia? L’Indignato, che ha fatto più mestieri di Gregory Peck, è stato anche indegno assistente di Diritto Privato Comparato all’università di Pavia, e quindi è in grado di citare la massima che esprime la distinzione fondamentale tra i sistemi di Common Law e quelli fondati sul diritto romano: ‘Legibus non exemplis est iudicandum’. In altri termini, in via di principio i precedenti non hanno valore legale, anche se nella pratica finiscono sempre con l’assumerne un po’. Contingency fees? Sono addirittura proibiti, in quanto non consoni alla dignità di un avvocato. Punitive damages? Ohibò, quale orribile commistione di diritto civile e penale: non se ne parla nemmeno: dieci euro t’han rubato e dieci euro, al massimo, puoi riavere indietro. Class action? Non scherziamo, ciascuno per sé e Dio per tutti. I risultati li abbiamo sotto gli occhi. Se non vi piacciono, chiedete un visto per l’America. Oppure indignatevi, e fate qualcosa: Tocqueville vi approverebbe.

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