Jacques Diouf, direttore dellla Fao: il mondo ascolti l’ultimo appello, l’Africa muore
20 aprile 2002 di Aldo Cazzullo ROMA.
Jacques Diouf, direttore generale della Fao – oltre duemila funzionari nel cuore di Roma, 183 paesi membri, è un senegalese di 64 anni. Accompagna il discorso con i gesti come e più di un italiano, sorride spesso, a volte ride: quando si arrabbia, e quando affronta argomenti particolarmente gravi; una risata che è anche un rimprovero, e lascia incerto l´interlocutore se ridere a sua volta, o chiedere scusa.
Direttore, oggi si chiude definitivamente una querelle durata quasi un anno: Berlusconi ha annunciato la data del vertice Fao, dal 10 al 13 giugno. L´attesa ha lasciato strascichi nel rapporto con l´Italia? Si è perso tempo?
«No. Il rinvio non aveva nulla a che fare con l´Italia. E´ dipeso dall´11 settembre, che ha costretto a rinviare altri summit internazionali, ad esempio quelli della francofonia e del Commonwealth. Ora la congiuntura è più favorevole. Mi auguro che i vari paesi siano rappresentati al massimo livello, e che ascoltino quel che ho da dire».
Ne ha già parlato con Berlusconi?
«Sì, e il vostro premier è stato positivo. Sostiene il summit, l´ha definito un grande avvenimento, mi ha assicurato che mobiliterà ogni energia per la sua riuscita. Il vertice potrebbe superare quello del `96, quando vennero 112 capi di Stato e di governo. Potrebbe essere il più grande della storia d´Italia».
Un anno fa il nostro premier non era altrettanto entusiasta. Ci fu un confronto tra voi. Ci furono incomprensioni?
«L´unica amarezza mi è venuta da un ex capo di Stato, che ha scritto in un articolo che avrei dovuto finire tra due carabinieri. Ma ho verificato che non era questa la posizione del governo. Tra la Fao e l´Italia c´è una stretta collaborazione da decenni. E, nei quasi otto anni del mio mandato, non c´è stata iniziativa, riforma, richiesta concreta a favore i chi soffre, che non abbia trovato nell´Italia la prima sostenitrice. Gli altri seguono».
Immagino che al vertice lei dirà cose gravi. Per le statistiche Fao 815 milioni di persone non hanno abbastanza da mangiare. E l´obiettivo di dimezzarne il numero entro il 2015 sembra difficile da raggiungere. E´ così?
«E´ difficile perché è molto difficile il problema. Abbiamo ottenuto risultati positivi, ma insufficienti. Il numero dei denutriti diminuisce di sei milioni l´anno. L´obiettivo fissato era di 22 milioni. Dobbiamo invertire la tendenza negativa, di più, perversa, a tagliare gli aiuti all´agricoltura dei paesi poveri, che dal `90 a oggi sono calati del 14% in termini nominali, e del 43 in termini reali. Ai capi di Stato e di governo porrò una domanda: vogliamo dare la priorità alla lotta contro la povertà ? Sì? Allora dobbiamo aiutare l´agricoltura: perché 7 poveri su 10 vivono nelle campagne. E non si è mai visto che un settore cresca se gli investimenti diminuiscono».
Come è stato possibile? Quali sono le responsabilità dei paesi ricchi?
«A Roma chiederò a ognuno una presa di coscienza e un´assunzione di responsabilità . Dirò: ecco i dati. Nessuno potrà più obiettare: io non sapevo. Solleciterò la volontà politica di aiutare i poveri, anche al di fuori delle emergenze. E´ normale portare cibo a chi è colpito da un terremoto, da un´inondazione, da una siccità . Ma non abbiamo ancora appreso il proverbio per cui è meglio insegnare a pescare che regalare un pesce. L´aiuto allo sviluppo è come la moda a Milano: cambia di continuo. Negli ultimi tempi i paesi ricchi hanno puntato molto sui dati macroeconomici, hanno finanziato la bilancia dei pagamenti, si sono spesi per la ‘governance’, i sistemi giuridici, le libere elezioni. Tutte cose meritevoli. Ma io dico: primum vivere, deinde philosophari. La prima preoccupazione dev´essere la sopravvivenza. Tutti si occupano di sanità , di istruzione. Ma è chiaro – e qui Diouf ha una delle sue risate tristi – che chi non ha mangiato non è sano e non va bene a scuola».
Guerra, denutrizione, ingenerosità . C´è una mancanza di attenzione dell´Occidente nei confronti del Terzo Mondo? E´ dell´Occidente il vero debito da rimborsare? «Vede, io non mi scandalizzo se si investe in un affare commerciale anziché nel fertilizzare la brousse africana. Non condanno la gente che bada a realizzare se stessa. Ma voi avete filosofi e artisti che vi ricordano che anche la solidarietà aiuta a realizzare se stessi. Oggi più che mai: perché non possiamo più fare come se quel che accade lontano dal nostro angolino non ci riguardasse. Eppure sono pochi i paesi che hanno rispettato l´impegno di riservare agli aiuti internazionali lo 0,7 per cento del Pil. E a Roma porrò anche il problema degli istituti finanziari, che non fanno di meglio: nei consigli di amministrazione siedono i rappresentanti degli stessi paesi, e si comportano con coerenza».
A proposito, i contributi Fao vengono versati regolarmente dall´Italia e dagli altri paesi?
«L´Italia paga. C´è la questione del debito degli Usa, che però risale ad anni precedenti la mia gestione, e sta per essere regolata da un´intesa a livello Onu».
Non crede che anche le élites africane, asiatiche, sudamericane abbiano gravi responsabilità ?
«Certo. Dovrebbero essere loro a dare il buon esempio, distribuendo le risorse tra chi ne ha più bisogno, la popolazione rurale. E sa perché non lo fanno? Perché sono quas cent´anni, dai tempi di Zapata, che un governo non viene rovesciato dai contadini. Molti sono stati rovesciati da militari, borghesi, sindacati, sacerdoti. Da contadini, mai. Si bada alle città , le campagne sono lasciate a se stesse».
Il dramma riguarda in particolare il suo continente, l´Africa. C´è una corrente di pensiero che, se non arriva a rivalutare il colonialismo, punta il dito sui tempi ridotti e sul fallimento della decolonizzazione. Condivide qualche aspetto di questa analisi?
Diouf ride, e non è buon segno: «Lo sa quanti dottori c´erano in Congo, quando partirono i belgi? Uno. Lo sa com´è stato ucciso Lumumba? C´è un rapporto recente, che lo spiega bene. Sfruttamento delle materie prime, lavoro forzato: questo è il lascito del colonialismo». Resta il fatto che l´Africa da sola non riesce a sottrarsi al sottosviluppo. Che cosa deve fare l´Occidente?
«Quel che ha fatto l´America con l´Europa dopo la guerra. Niente di più, niente di meno. Un Piano Marshall. Non un piano complesso dilazionato nel tempo, ma aiuti massicci, e subito. Per fare le cose più semplici, le infrastrutture: porti, aeroporti, strade. Com´è possibile lo sviluppo se tra Dakar e Bamako non c´è una strada? E poi energia. Telecomunicazioni. Acqua. La situazione dell´acqua è drammatica. A Sud del Sahara solo il 4% delle terre arabili è irrigato. Nell´Africa occidentale siamo all´1%. Fatti questi primi passi, lo sviluppo procederà veloce».
Nello scenario dei rapporti Nord-Sud ha fatto irruzione con maggior frequenza rispetto al passato la guerra. Nelle sue analisi, la Fao ha spesso legato la vittoria sulla fame alla pace. Quasi specularmente, i no global e parte della sinistra indicano nella guerra uno dei mezzi di espansione del nuovo capitalismo. Condivide?
«La fame e la guerra sono unite da un rapporto dialettico. C´è la fame se non c´è la pace; ma non c´è pace se c´è fame, e ingiustizia. Le zone percorse dalla guerra sono spesso anche le più povere. C´è un paese, che preferisco non nominare, che ho potuto vedere solo dall´alto di un elicottero: troppi campi minati per girare su una vettura. Ora, un campo minato non si può coltivare».
Qual è la sua valutazione sulla guerra in Medio Oriente?
«La situazione alimentare è catastrofica, il disequilibrio drammatico. In 18 mesi la percentuale dei palestinesi che vive con meno di due dollari al giorno è passata dal 20 al 50%. E´ da ottobre che la nostra missione è pronta a partire, e non può farlo».
Auspica l´invio di una forza di interposizione?
«Non ho competenza in materia. Mi richiamo alle due risoluzioni dell´Onu che indicano questa necessità , e agli sforzi del segretario generale».
Al summit di giugno ci saranno forse le manifestazioni dei no global, quelle che indussero il governo italiano a chiederne lo spostamento. Il Social Forum ha sempre distinto la Fao dal G-8. Le basta per non nutrire preoccupazioni?
«Non ho la sfera di cristallo, ma non credo saranno manifestazioni contro la Fao, o almeno non contro l´obiettivo del summit. Tutto è possibile; non schierarsi a favore della fame nel mondo. E poi non credo che il movimento verrà a Roma per manifestare; piuttosto, per discutere. E noi vogliamo che partecipi al dibattito. Ci sarà una grande riunione al Palazzo dei Congressi, e le conclusioni saranno portate qui, nella sede del vertice. Ci sarà una tavola rotonda dove saranno rappresentati i governi, le ong e la società civile. Il summit creerà le condizioni per un dialogo, in cui tutti avranno voce. Il popolo di Seattle e Porto Alegre non si dice contrario alla globalizzazione tout-court, ma a questa globalizzazione. C´è qualcosa che non piace neppure a lei?
«Una globalizzazione in cui i paesi ricchi destinano 311 miliardi di dollari alla propria agricoltura, mentre rifiutano di sostenere l´agricoltura dei paesi poveri e di aprire i mercati, non piace neppure a me. Noi vogliamo aiutare il Terzo Mondo a farsi ascoltare, a contare di più. Ci batteremo per avere più equità nelle procedure. Ad esempio abbiamo mandato queste informazioni su Internet, perché tutti abbiano gli strumenti per far valere le proprie ragioni.
Gli organismi geneticamente modificati sono un´arma contro la fame?
«Prima diamo l´acqua ai contadini, le barche ai pescatori, i vaccini agli allevatori.
Prima facciamo arrivare anche in Africa i semi selezionati per via naturale della ‘rivoluzione verde’, che hanno dato buoni frutti in India. Cominciamo da lì. A lungo termine, quando le persone da sfamare non saranno più sei ma nove miliardi, allora le tecnologie più avanzate torneranno utili. Se regolamentate, però. Ad esempio dal ‘Codex alimentarius’ cui abbiamo lavorato insieme con l´Oms. Occorre verificare la qualità degli alimenti, dare garanzie ai consumatori».
Un altro antidoto può essere l´immigrazione?
«Alla prima lezione di economia si insegna che alla base ci sono capitali, lavoro, tecnologia, finalizzati alla produzione di beni e servizi. Ora, si fa di tutto per garantire la libera circolazione di capitali, tecnologia, beni e servizi; come si può dire no alla libera circolazione della manodopera? Anche questa è globalizzazione. Diceva il presidente senegalese Senghor, di cui sono stato ministro, che ricostruire la storia di una questione significa risolverla a metà . La Fao è stata creata una settimana prima delle Nazioni Unite, e sa perché? Per dar da mangiare a voi, all´Europa. Se guardate al vostro passato, vedrete grandi ondate migratorie: voi italiani andavate negli Stati Uniti, in Argentina, per fare vivere le vostre famiglie, e avete trovato cibo e pace. Potete capire che altri desiderino la stessa cosa».
In questi anni trascorsi in Italia, quale atmosfera ha trovato? Ha mai visto segni di razzismo?
«Purtroppo ho passato più della metà del tempo all´estero. Ho amici italiani, non il tempo per frequentarli. C´è una cosa, però, che mi ha colpito molto. Quando giro per Roma con i miei quattro nipotini, due maschi e due femmine, il viso degli italiani che li incontrano si illumina. Sono straordinariamente felici di vedere i bambini, di vederli, di accarezzarli. Perché, secondo lei?»
Forse perché sono pochi. Abbiamo il più basso tasso di natalità al mondo.
«Davvero? Pazzesco! Da non crederci! Ma come fate?». Diouf ride, e stavolta non è arrabbiato.
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