Pubblicità etica [di Matteo Pasquinelli]


Reclaim the Attention Economy [Matteo Pasquinelli – Brainews 14.12.2001 ]
Per la costruzione di una ‘economia dell’attenzione’ etica e di un network di pubblicita’ autogestita per il movimento.

INGEGNERIA A ROVESCIO: L’ETICA NEL MOTORE

Negli ultimi anni sono diventati di pubblico dominio nomi come finanza etica, banca etica, commercio equo e solidale. Esistono da decenni cooperative di mutuo sostegno e di finanza alternativa ma la loro corrente carsica e’ emersa solo quando la sensibilita’ collettiva ha cominciato ad essere ricettiva.

L’autogestione dal basso di modelli economici, l’hacking della struttura capitalistica va di pari passo con la diffusione dei new media, dell’internet, della costruzione di forum sociali e media dal basso. Hardware a buon mercato, software semplici da usare, ma soprattuto knoware, la consapevolezza che i mezzi di produzione, la tecnologia, la comunicazione, l’economia, possono essere smontati, compresi e ricostruiti dal basso.

Non ‘Power to the people’, ma *Power from the people*. Questa volta nella figura di comunita’ di consumatori, di gruppi di affinita’, di centri sociali. La decostruzione dal basso dei mezzi di produzione ha aggiunto un aggettivo: etico. Reazione civile all’immoralita’ oscena dell’Occidente.

Dopo che il Muro di Berlino e’ crollato, un po’ di sbornia capitalistica, e poi subito abbiamo visto l’Occidente senza freno mettere in ginocchio le economie del Terzo Mondo, colonizzare il verde, distruggere i piccoli centri, atrofizzare il tessuto sociale. Ed e’ nata una coscienza globale.

Etico non significa puro. Significa l’ibridazione di un meccanismo capitalistico sfuggito al controllo della comunita’ con un sistema di valori condiviso. Puo’ significare riportare un attivita’ mercantile a dimensioni umane, rispettare i diritti dei lavoratori, dei consumatori. Etico ha il senso pragmatico e utopico della parola ‘hacking’, cercare di cambiare le regole del gioco giocando. E il gioco in questo caso e’ sporco per definizione, e’ il gioco del denaro.

Etico in questo caso significa, in una parte della societa’ che si sente vicina al movimento ‘new global’, ‘reverse engineering’ dell’etica. Ovvero: spesso l’atteggiamento della solidarieta’, del volontariato, della non violenza, dell’obiezione fiscale, civile, e’ coinciso con una cultura reattiva [come direbbe Nietzsche] incape di una proposta attiva, positiva. ‘Ingegneria al contrario dell’etica’ significa usare un sistema di valori come grimaldello e non semplicemente come scudo.

Troviamo questa attitudine al reverse engineering anche in altri piani dell’esistente, come ad esempio nella guerriglia mediatica dei media jammer, di Adbusters, nella mitopoiesi del popolo di Seattle, nell’hacking informatico. A dire il vero solo una piccola parte del movimento ha compreso negli ultimi 30 anni il ruolo politico dello spettacolo, dei media, del desiderio, e ha provato a rovesciarli.

Quello che e’ interessante nella finanza etica e’ che l’etica si integra nel meccanismo economico, non e’ un semplice censore esterno, un valore ‘aggiunto’, e’ parte dello schema. Cosi’ come costruiamo un’economia etica dobbiamo cominciare a costruire un’economia etica dell’informazione, dello ‘spettacolo’, dell’attenzione, mettere mano all’economia dell’immateriale.

L’ECONOMIA DELL’IMMATERIALE

La critica postfordista e’ riuscita solo a scalfire la superficie dell’economia dell’immateriale. La fantasmagoria della merce di Marx, il mito di Barthes, la societa’ dello spettacolo di Debord, la realta’ televisione di Baudrillard, il rumore bianco del postmoderno, il lavoro immateriale, la svolta linguistica del postfordismo, il mondo di loghi di Naomi Klein, la grande bolla della New Economy. Chiamatelo come vi pare, chiamatelo semio-capitalismo, la merce che diventa immagine, il lavoro che diventa conoscenza e informazione. In realta’ si tratta della cara Old Economy che ha bisogno di agganciarsi alle strutture flessibili e ai veloci canali pubblicitari della New Economy. La New Economy e’ solo l’etichetta della Old Economy, la sua moneta di scambio. Questa etichetta molto spesso la costruiamo noi, non il Capitale.

‘Attention Economy’, scritto da Thomas Davenport e John Beck, e’ il libro che spiega come l’economia di oggi funziona conquistando spazi e tempi di attenzione del pubblico e che questa attenzione oggi, nel rumore bianco del bombardamento mediatico, e’ il bene piu’ scarso, quindi piu’ prezioso. Il valore della merce dipende dal nostro tempo di attenzione che riesce a conquistare. Su questa economia dell’attenzione si basa un mercato pubblicitario gigantesco che regge imperi come Mediaset, Rai, Rcs, Repubblica.

Il 50% dell’economia di un paese e’ psicologia, diceva Ludwig Erhard, economista tedesco. Il capitalismo e’ in crisi e la battaglia della pubblicita’ e’ disperata perche’ ormai il tempo di attenzione e’ saturato. L’uomo moderno vive in un indistinto brusio informativo fatto degli input della tv, dei giornali, di internet, della metropoli, delle relazioni sociali: information stress.

In campagna elettorale lo chiamano ‘tempo di attenzione’, e’ il tempo di apparizione televisiva di ogni candidato, e i partiti passano ai ferri corti per conquistare qualche minuto in piu’ dell’avversario. Hanno ragione, le masse, e’ dimostrato, reagiscono in termini pavloviani in campagna elettorale. Votano per colui di cui si parla di piu’, nel bene o nel male non importa.

Per i pubblicitari e’ il campo di battaglia, ne va della loro sopravvivvenza in un ecosistema ultra-competitivo. E’ una battaglia cognitiva per escogitare il marchingegno semiotico che in un decimo di secondo faccia salivare il cervello vittima. Sia la grafica elaborata, la musica, un culo, la volgarita’, non importa.

I bacini di attenzione possono essere costruiti dall’alto o dal basso, dal bombardamento dei media o dalle relazioni sociali della comunita’. Pochi anni fa il movimento rivendicava reddito per tutta la produzione simbolica non pagata che veniva recuperata dal sistema, semplificata e trasformata in moda, musica, film. Oggi non si tratta semplicemente di rivendicare il proprio lavoro immateriale non pagato, la produzione simbolica di cui si ciba MTV, ma di rivendicare il proprio tempo di attenzione e rivalutarlo.

RIVENDICHIAMO LA NOSTRA ECONOMIA DELL’ATTENZIONE

Le nostre comunita’ rappresentano un capitale sociale inestimabile in termini di economia dell’attenzione per la capacita’ di produzione di legame sociale, di produzione di messaggi, mode, simboli, immaginario, in definitiva per la produzione di attenzione. I nostri bacini di attenzione devono diventare indipendenti rispetto al grande bacino dei media di massa, della televisione globale. Lo abbiamo fatto attraverso media indipendenti e network orizzontali. Ma abbiamo sottovalutato un medium onnipresente che si e’ infiltrato in tutto il nostro spazio vitale, micidiale perche’ costantemente lo rimuoviamo: la pubblicita’.

Non si tratta di fare contro-pubblicita’, sullo stile Adbuster, ma di fare pubblicita’ per noi, pubblicita’ completamente ripensata, pubblicita’ pubblicita’, rivendicare il nostro tempo di attenzione, guadagnare soprattutto la nostra economia dell’attenzione. Pensiamo alla pubblicita’ come possibile ‘tactical media’, come ‘indymedia’.

Non e’ solo una missione contro l’inquinamento estetico e sociale delle pubblicita’: e’ una rivendicazione economica. Noi siamo troppo spesso i vettori della pubblicita’ che combattiamo. Non c’e’ bisogno di essere degli Adbuster, dei cacciatori di pubblicita’, perche’ siamo noi gli Adcaster, i lanciatori di pubblicita’, i vettori di essa.

A dire il vero l’atteggiamento di Adbusters e’ politicamente reattivo. Dice semplicemente che questo regime pubblicitario rappresenta un inquinamento estetico culturale morale pesantissimo. Giusto. Questa pubblicita’ che conosciamo regge la grande infrastruttura della globalizzazione. Ma non si combatte il nemico dicendo, come in una barzelletta, ‘le tue armi sono brutte’. Facendo il verso alla pubblicita’ Nike, svirgolando la celebre virgola, accumuliamo sempre tempo di attenzione ‘Nike’. Al contrario la grande capacita’ immaginifica di tutti i *subvertiser*, dal Billboard Liberation Front ad Adbuster, puo’ essere impiegata per una pubblicita’ proattiva, caustica, ‘etica’.

Per questo dobbiamo rovesciare i meccanismi pubblicitari, creare network di attenzione autogestiti, creare pubblicita’ autogestita, che esca dalle nostre comunita’ e si proietti verso la societa’ tutta, ma non pubblicita’ non-profit, non pubblicita’ caritatevole, pubblicita’ che inneschi il suo bacino economico, che porti dietro la sua economia, che sia la finanza etica, il mercato equo e solidale, le cooperative, le produzioni musicali e artistiche, i media comunitari.

COSTRUIAMO UN NETWORK DI PUBBLICITA’ ETICA

Perche’ costruire un network e una concessionaria di pubblicita’ etica?

1 – La prima considerazione e’ politica: per non lasciare inutilizzata la ricchezza di comunicazione e di economia di attenzione delle nostre comunita’ e per non svenderla alle grandi imprese. La pubblicita’ oggi regge imperi come Mediaset e Rai, decide della vita e della morte dei media comunitari e dell’informazione indipendente. Poche concessionarie gestiscono gran parte del mercato. Per questo dobbiamo riappropiarcene e augestirla.
2 – La seconda considerazione e’ economica: per sperimentare forme di reddito e di impresa che non ci costringano a vendere ad altri le nostre idee, i nostri contenuti, i nostri network. Per evitare di affidarsi a concessionarie che guadagnano quanto noi dalla vendita degli spazi pubblicitari senza sudare una goccia.
3 – La terza considerazione e’ culturale: per considerare la pubblicita’ come un mass medium a tutti gli effetti che influenza con il suo linguaggio la societa’ e per usarlo in maniera creativa ed etica.

Per questi motivi serve una concessionaria di pubblicita’ etica che:
– dia possibilita’ economiche anche ai media comunitari, di movimento, cooperativi.
– compatti economicamente questo bacino politico e culturale dalla notevole ampiezza.
– abbia un modello etico, non speculi sugli spazi pubblicitari, dia piu’ importanza agli editori che ai profitti e quindi si strutturi come cooperativa non-profit.
– sia un marchio di garanzia per i consumatori e utenti, sia trasparente sullo status legale ed etico degli inserzionisti, dia continue garanzie sul come vengono scelti e tenga aperto un canale per le critiche e le reazioni degli utenti.
– ridistribuisca la pubblicita’ in modo orizzontale senza favoritismi politici, chiarendo anche in questo caso in modo trasparente chi possa entrare a far parte del network.
– tuteli gli utenti con pubblicita’ non invasiva e piu’ informativa, sia rispettosa dei valori della convivenza civile e tuteli i minori.
– studi il messaggio pubblicitario in modo creativo, culturalmente stimolante, anche radicale, ma mai volgare, essenso consci dell’influenza culturale e della pervasivita’ del medium pubblicitario.
– dia spazio anche a progetti non-profit, sociali, culturali, editoriali, musicali, non solo ad attivita’ commerciali.
– stabilisca un listino dinamico e una valutazione degli spazi che vada incontro alle imprese piu’ deboli o appena avviate.
– favorisca la pubblicita’ delle imprese etiche e imponga una sorta di ‘tobin tax’ alla grosse imprese o le escluda del tutto dal circuito.

Questa concessionaria dovrebbe fare riferimento secondo noi a tre aree delle societa’ che in questi anni hanno pensato modelli di sviluppo sostenibili, si sono battuti per un mondo piu’ giusto e democrativo, hanno creato ricchezza dal basso, hanno prodotto idee innovative. Queste aree sono:

– il movimento dei centri sociali, dei gruppi di base, degli ambientalisti, dei gruppi di affinita’, delle ONG e delle organizzazioni cattoliche che hanno lavorato su un terreno politico e culturale per uno sviluppo sostenibile e per un societa’ piu’ democratica.
– le cooperative, il popolo delle partita IVA, i lavoratori atipici, i lavoratori e la imprese dell’immateriale e della new economy, come portatori di innovazione e modelli economici e di comunicazione nuovi.
– i progetti di finanza etica, banca etica, microcredito, commercio equo e solidale, le imprese del biologico e dell’agricoltura sostenibile, le imprese bio-compatibili, soprattutto i network di finanza etica che tengono rapporti con il Terzo Mondo e con l’Europa.

Questo bacino in Italia fa riferimento gia’ al 10% per cento della popolazione italiana, uno strato sociale noto per essere un consumatore critico, attento, alfabetizzato e socialmente impegnato, un bacino di utenti che sono volano di comunicazione e rinnovamento sociale.

Questo progetto potrebbe cominciare in modo sperimentale con una concessionaria di pubblicita’ sul web, che permette di ridurre i costi di gestione, infrastrutture, comunicazione. In Italia la pubblicita’ sul web rappresenta poco piu’ dell’1% per cento dell’intero mercato, ma il suo e’ un target elevato, che coincide non a caso con il bacino sociale a cui questo progetto fa riferimento. Non a caso i movimenti sociali hanno usato il web in questi anni per costruire comunita’, media e network indipendenti e per sperimentare nuove tecnologie e nuove forme comunicative. Questi network sono vivaci e numerosi, ma al momento non sono mai stati sfruttati in termini di economia dell’attenzione. Inoltre, il settore del commercio equo e solidale, del biologico e delle cooperative si sta espandendo proprio sul web, scoprendo qui la dimensione adatta al suo business, la stessa dimensione che invece e’ risultata innaturale e fatale per il business delle dot.com.

‘Pubblicita’ Etica’ si struttura come una piccola impresa cooperativa non profit, che quindi non deve fare profitti ma preoccuparsi delle spese di gestione e di non speculare sugli editori. E’ divisa in tre uffici: sviluppo, commerciale, tecnico. Il controllo dei contenuti delle pubblicita’ accettate come etiche viene effettuate da organi esterni gia’ esistenti come il Garante dei Consumatori, gli Osservatori ad esempio sul biologico e gli Ossevatori europei sul business etico. La lista degli inserzionisti viene costantemente resa pubblica con le motivazioni dell’accettazione sul sito web.

Gli spazi web [ma anche radiofonici o sulla carta stampata] sono immediatemente riconoscibili da una scritta ‘Pubblicita’ Etica’. Per la precisione la scritta sara’ il nome del sito PUBBLICITAETICA.ORG dove gli utenti potranno trovare al primo accesso informazioni su cosa e’ la pubblicita’ etica, sulle garanzie, sui paletti ‘etici’ e sui bilanci della concessionaria. La scelta dell’indirizzo web e’ dovuta anche alla necessita’ di non appesantire il messaggio e il medium.

E’ chiaro da questa descrizione che la pubblicita’ etica applica un valore aggiunto a tutta la pubblicita’ gestita. Il messaggio pubblicitario acquisisce con queste garanzie una maggiore capacita’ di penetrazione, diffusione e credibilita’. Pubblicita’ Etica si struttura cosi’ non come un business lucrativo ma come uno strumento di sviluppo per le piccole imprese, le cooperative, le attivita’ di comunita’.

Si pensa che l’attuale crisi del settore pubblicitario non possa intaccare un modello simile, non-profit, ma possa anzi rappresentare il giusto momento per conquistare spazi e visibilita’ e dare un segnale forte alle nostre comunita’.

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