Articolo tratto da ‘LA REPUBBLICA’
di GIOVEDÃ Å’, 10 GENNAIO 2002 – Pagina 18 – Esteri
L’Amministrazione americana rinuncia ai programmi per ridurre i consumi dei
tradizionali motori a benzina e punta tutto sulle ‘fuel cells’
Il governo spenderà 150 milioni di euro all’anno per sviluppare il nuovo
motore
Le batterie di nuova concezione dovrebbero sfruttare la reazione fra
idrogeno e ossigeno
di VITTORIO ZUCCONI
Washington – La libertà è in un bicchier d’acqua, versato nel motore della
nostra automobile. Il sogno è quello di una macchina che ci conduca via per
sempre dalla schiavitù asfissiante e dalla puzza soffocante del petrolio.
Nell’ora della guerra contro un terrorismo che agita il Corano ma si nutre
alla pompa di benzina, il presidente Bush lancia l’innocua e benigna «bomba
all’idrogeno» che potrebbe sconfiggere il terrorismo islamico meglio dei B52
e dei Marines, l’automobile ad acqua, la «Freedom Car», come la chiama lui,
in omaggio alla inevitabile retorica del momento. Dice un vecchio detto
americano che se una cosa è troppo bella per essere vera, di solito non è
vera, ma Washington ci crede e investe i soldi pubblici nel sogno, 150
milioni di euro all’anno per finanziare il motore d’auto a batterie di
idrogeno e ossigeno.
La storia di questo progetto «libertà », che il ministro dell’Energia Spencer
Abraham ha annunciato ieri al salone dell’auto di Detroit, è la storia di
una sconfitta che tenta di trasformarsi in vittoria. Per quasi otto anni,
dal 1994 quando il vice presidente Gore lanciò il progetto dell’auto a basso
consumo, e spese un miliardo e mezzo di Euro per finanziarlo, le sorelle
dell’automobile, i sindacati, gli interessi petroliferi lo hanno di fatto
sabotato. L’idea di una macchina che facesse 40 chilometri con un litro,
come il piano Gore voleva imporre, piaceva soltanto agli ecologisti, ma non
ai produttori, agli operai di Detroit e soprattutto non ai consumatori
americani, ostinatamente innamorati dei loro «gas guzzlers», dei furgoni e
dei fuoristrada «divora benzina» che hanno abbassato l’efficienza del parco
macchina americane ai livelli di 21 anni or sono. Le case americane erano
arrivate a produrre motori capaci di 35 chilometri con un litro, ma al
magico traguardo dei 40 proprio non riuscivano, o non volevano, arrivare.
Per questo, l’Amministrazione Bush ha gioiosamente scaricato il piano
dell’odiato Gore e ha abbracciato il progetto avveniristico e affascinante
delle «hydrogen fuel cells», delle batterie capaci di produrre elettricità ,
dunque di muovere un veicolo, utilizzando soltanto la reazione tra ossigeno
e idrogeno, le comuni molecole dell’acqua. La tecnologia esiste e almeno tre
società americane, subito schizzate in alto a Wall Street, già stanno
producendo batterie delle dimensioni di una grossa valigia capaci di
motorizzare una piccola automobile. Tutte le grandi case automobilistiche
del mondo hanno presentato modelli sperimentali e ibridi che funzionano «ad
acqua». Ma il passaggio a vetture commerciali realistiche e capaci di
sostituire quelle a combustione nell’uso quotidiano è ancora lontano, i
costi [dieci volte quelli di un motore a scoppio] altissimi, la ricerca
dispensiosa. E ancora del tutto irrisolto è il problema della distribuzione
del «carburante», di quell’idrogeno indispensabile per alimentare le celle.
Ecco arrivare George Bush a bordo della sua «Freedom Car» con il sacco di
milioni.
L’obbiettivo esplicito è quello di «liberare» per sempre l’America dalla
dipendenza dal petrolio importato che oggi copre la metà dei consumi
americani e condiziona profondamente la politica estera di questa nazione
che 10 anni or sono dovette fare la guerra nella penisola Arabica per
proteggere i pozzi del golfo. Ma questa inaspettata conversione «verde» di
un Presidente che nei primi mesi si era segnalato per il suo anti
ecologismo, che aveva offenso il mondo intero cassando il trattato di Kyoto
sulle emissioni inquinanti, non è solo dettata da nobili motivi o da
sussulti ambientalisti. Con la promessa di una auto ad acqua nel 2010,
secondo i tempi previsti di sviluppo e di industrializzazione, Bush ha tolto
da Detroit e dai petrolieri la cappa di quel piano Gore che avrebbe ridotto
i consumi di carburante e imposto alle due sorelle e mezza dell’auto, Ford,
General Motors e la Chrysler ormai della Mercedes, altri costi di ricerca e
soprattutto l’abbandono di quei mastodontici «divora benzina» che
garantiscono i profitti più forti.
Dunque, la speranza dell’auto libera da petrolio, della macchina che
scivolerà silenziosa e pulita sulle strade delle nostre città , emettendo
soltanto il fruscio delle gomme e qualche sbuffo di vapore invisibile e
innocuo, dal suo cuore di idrogeno e ossigeno separati da una membrana
catalizzatrice protonica, fa alzare lo sguardo oltre le miserie di un
presente nel quale, grazie ai costi ancora bassissimi del petrolio e
all’aumento costante delle riserve scoperte, i consumatori restano
aggrappati ai vecchi scappamenti e ai vecchi distributori. «Questa
conversione di Bush ai motori non inquinanti e non pi a combustibile fossile
non mi convince» dice il presidente del Sierra Club, una delle massime
organizzazioni «verdi» d’America «i petrolieri come lui convertiti all’anti
petrolio mi lasciano sospettoso».
Ma, senza fare troppi processi alle intenzioni, «il genio è fuori dalla
bottiglia», la prospettiva di un motore che faccia a meno del petrolio, è
finalmente concreta e finanziata dal governo americano. Forse non è ancora
vero che «l’era del petrolio sta finendo» come ha detto il ministro, ma
sull’auto della «Libertà » viaggia finalmente la conferma di una classica
verità storica, che i profeti di sventura sempre preferiscono dimenticare.
Che a un tipo di combustibile o carburante, gli uomini hanno sempre saputo
sostituirne un altro, quando il costo e l’efficienza di quello vecchio
venivano meno. Accadde con il legno, sostituito dal carbone, dal petrolio
che rimpiazz il carbone, dal nucleare che attende tecnologie piu sicure per
scuotersi dal sonno e, ora, dal più antico e umile materiale diffuso sul
pianeta, l’acqua.
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