L´onorevole non è in aula sta mangiando pastarelle


Con tutto quello che prendono – verrebbe da dire – una ventina di milioni al mese, e ritocchi alla diaria, integrazioni, esenzioni, rimborsi, scivolamenti, benefit, beh, potrebbero anche partecipare alle votazioni, i deputati della Repubblica. E anche la mattina, prima delle 10. Con tutte le agevolazioni di cui dispongono – verrebbe ancora da dire – e quindi con i portaborse stipendiati, le sessioni di lavoro, la settimana corta, le vacanze lunghe, gli aerei speciali, i computer gagliardi, i corsi di lingue, gli uffici per tutti, il ristorante di lusso e perfino il cappuccino da prendersi alla buvette con le preziose pastarelle del bar Giolitti, ecco, non è che per piacere i rappresentanti degli elettori potrebbero svolgere quel loro compito di rappresentanza con maggiore assiduità ? O no? Questo, appunto, verrebbe da dire. Ma forse è ingiusto dirlo, o peggio: è inutile. E non tanto o non solo perché queste [pur sensate] recriminazioni rischiano di portare acqua al mulino del qualunquismo, dell´anti-parlamentarismo e via dicendo. Ma per una ragione, o per un´ipotesi ancora più sconsolante. Che sia cioè proprio lo sfolgorante benessere raggiunto dai deputati in questi anni la causa del loro prendere sottogamba i lavori parlamentari. Quasi fossero un optional; e il mandato degli elettori una sinecura; e la loro condizione un secondo lavoro. Di qui il dubbio, niente affatto simpatico. Che alla base dell´assenteismo, in altre parole, ci sia un´inconfessabile, ormai, deboscia: una bella vita dissolutamente troppo facile, troppi soldi sicuri, troppe comodità automatiche, troppa lontananza dalle abitudini degli italiani «normali». Ora, com嫏 ovvio, questa eventuale scostumatezza, questo possibile infrollimento, questa ipotetica debilitazione parlamentare trascende le singole volontà e certamente non riguarda tutti i deputati [molti dei quali ci sono, lavorano, votano, eccetera]. Ci mancherebbe altro. E tuttavia suona rivelatore il modo in cui ieri s嫏 parlato delle 9,25 del mattino, ora della votazione, neanche fossero state le 6,25. «A quell´ora» diceva il capogruppo di Fi Vito; «presto» secondo il capogruppo di An La Russa [che non era in aula]: «la mattina presto» insisteva il ministro Giovanardi. Ma in che senso «presto»? Secondo quali parametri? Non molti anni orsono, quando c´erano votazioni, i giornali di partito recavano un piccolo speciale avviso in cui i parlamentari venivano convocati a Montecitorio o a Palazzo Madama «SENZA ECCEZIONE ALCUNA»; e in quel carattere stampatello c´era tutto il dovere di esserci, e il senso di una disciplina condivisa. Oggi non soltanto sono spariti i giornali di partito, ma dopo il poco commendevole exploit mattutino, e la susseguente polemica a base di cappuccini e «giolitti» [così si chiamano a Montecitorio le pastarelle che avrebbero ritardato l´afflusso in aula], già all´ora di pranzo parecchi onorevoli cominciavano a manifestare un certo disagio – «brusio» e «gesti d´impazienza» ha segnalato l´AdnKronos – perché volevano andare a pranzo, appunto. «E´ l´una e dieci – è dovuto intervenire Gerardo Bianco – mica l´una di notte». E di nuovo si affaccia il sospetto: non saranno, non li avranno un po´ viziati? Aerei, treni, autostrade, cinema, teatri, tribuna vip, cure termali, massaggi: tutto gratis. Addirittura i motorini elettrici per girare a Roma, messi a disposizione dalla Camera in accordo con il Comune [anche se pare non funzionino] e lo spazio di preghiera conviviale per tutte le fedi. A un certo punto – era il 1998 – il calendario dei lavori d´aula si è piegato all´esigenza di far vedere le partite del Mundial ai deputati; esigenza che l´anno seguente s嫏 estesa ad alcuni decisivi incontri di fine campionato. Bene. Ieri, giornata evidentemente sintomatica, s嫏 aperta anche la disputa della giacca e cravatta. Il presidente Casini vuole evidentemente ripristinare stili più decorosi. Non l´avesse mai fatto: subito s嫏 trovato chi [l´onorevole verde Paolo Cento] ha detto che no, lui la cravatta non se la mette, sia ben chiaro. E l´andazzo va ben oltre la cravatta, come s´intuisce, e perfino al di là dei numerosi privilegi di volta in volta presentati come necessari. Quel che qui si vorrebbe in qualche modo postulare, pur con tutto il rispetto per istituzione parlamentare, e anzi magari proprio in nome dell´istituzione, è che gli agi che gli onorevoli si sono concessi, alla lunga hanno con qualche probabilità finito per fiaccare il loro stesso impegno e la loro stessa buona fede. Così, sarà certo una concomitanza casuale, ma il massimo del comfort dei parlamentari coincide con il massimo della decadenza del Parlamento. «Il superfluo – diceva del resto Catone il censore – è caro anche a pagarlo un soldo». E se pure è buona norma guardarsi dai catoni, dai moralisti, dai flagellatori di costumi e ancora di più dai nostalgici del buon tempo antico, è anche vero che in certe occasioni il ricordo di come andavano le cose a Montecitorio qualche anno fa tende a farsi rimpianto, nostalgia di un decoro perduto. La politica era infatti dura e spesso crudele, ma certo non assomigliava a una cuccagna, né i presidenti dei gruppi parlamentari – figure di grande autorevolezza: basti pensare ad Andreotti e a Ingrao, a Natta e a Piccoli – ballavano al «Gilda» o finivano sulle pagine di Novella 2000. I maggiori gruppi avevano segretari – leggendari il comunista Pochetti e la dc Elisabetta Conci – che interpretavano alla perfezione il loro ruolo di «fruste»: quando si votava, non v´era alcuno che scampasse ai loro richiami. Figli di un´Italia contadina, operaia o borghese, ma senza ostentazioni, i deputati mettevano la cravatta, prendevano l´autobus, facevano la fila per il palco all´Opera e avevano tutti il «vincolo», nel senso che cedevano una bella quota di indennità al loro partito. Non possedevano né assistenti, né dattilografe, né archivi automatizzati. Se necessario, saltavano la colazione e il pranzo. A Roma dormivano in alberghi modesti. Alcuni, per risparmiare, vivevano nei conventi, in celle disadorne: «Solo Vittorino Colombo – notava con qualche invidia l´onorevole Fracanzani – s嫏 fatto mettere il telefono e impiantare la doccia». Era il 1975. Altri, per due o tre volte alla settimana, addirittura passavano la notte in treno. Ma il Parlamento pesava. «Erano d´argilla – canta Properzio – i templi degli dei/ che oggi brillano d´oro». E «cento Quiriti radunati su una radura d´erba/ erano il Senato». Ah, le antiche virtù dei Padri… Ma anche i figli, una regolata potrebbero pure darsela.
Filippo Ceccarelli

La Stampa del 18/10/2001 Sezione: Interni Pag. 12

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