Thailandia: tanto al chilo – di Nicoletta Negri


Servizio di Nicoletta Negri
da Terre di Mezzo

Compare ormai su molti cataloghi turistici. Le foto patinate ritraggono eleganti bungalow, lunghe spiaggedeserte bordate da palme, raffinate camere da letto in stile “etnicoâ€�. Ma fino a sei anni fa Ao Nang era ben diversa … La prima volta ci sono finita per caso. Era la primavera del 1994 ed era solo una tappa verso un’altraspiaggia sull’isola di Phi Phi. Ma quella notte ad Ao Nang fu indimenticabile. Un pulmino collettivo ci avevascaricati su di una spiaggia deserta, orlata solo di alcune case di pescatori. Un uomo ci era venuto incontrocorrendo e ci aveva proposto di passare la notte nei suoi bungalow. Dopo una veloce camminata sulla spiaggiaeravamo arrivati ad una piroga che ci aveva portati lenti, attraverso un braccio di mare liscio, fino ad unabaia isolata con qualche capanna e un ristorantino di bambù. La piroga scivolava sull’acqua ed eravamo abbagliatidai colori del tramonto e dal silenzio che ci avvolgeva dando un sapore di sacro a quel percorso. Solo il piccolomotore a scoppio scandiva il ritmo della traversata. Alcuni mesi dopo sono tornata sulla costa meridionaledella Thailandia. Questa volta ospite di Yad Fon, una Ong di pescatori. Dormivamo nelle capanne tradizionali,con le palafitte infilate nel bagnasciuga. Di notte sentivo le onde scorrere sotto di me, ne intravvedevo i bagliorie la schiuma attraverso le canne di bambù che ci facevano da pavimento e da materasso. La sera, prima didormire, i ragazzi prendevano la chitarra e insieme cantavamo le canzoni dei Caravan e dei Carabao, i duegruppi simbolo della rivoluzione del 1973 contro il regime militare. Tra una canzone e l’altra, mi spiegavanoche la lotta continuava, questa volta contro i nuovi prepotenti economici: i grandi proprietari di pescherecciche utilizzano le reti a strascico e, a sorpresa, gli imprenditori che promuovono il turismo sulle coste meridionalidel Paese. Le reti a strascico raccolgono tutto ciò che vi resta impigliato: anche i pesci non commestibilie i pesci piccoli creando grossi squilibri all’ecosistema marino. Inoltre i proprietari di questi pescherecci,provenienti dalle grandi città e dall’estero, Giappone in primis, competono in modo impari con i piccolipescatori del posto che non riescono più a vendere il loro pesce. Il turismo, promosso da imprenditori diBanghkok o stranieri, toglie il lavoro ai pescatori. I prezzi dei terreni lievitano. Le case disturbano il paesaggioe vengono eliminate e sostituite con alberghi e ristoranti. l’economia diventa dipendente dagli investimentie dai consumi di persone estranee. E poi gli spazi vengono invasi da turisti che vestono in modo vistoso ediscinto. Gli orari vengono stravolti. I turisti si dimostrano disinteressati e incuranti delle forme di convivenzalocali. Si comportano come mai oserebbero a casa propria: in vacanza tutto é lecito dall’abuso di alcoole di droghe alle trasgressioni sessuali. Questo anche contro la legislazione thailandese. La gente del postosi sente invasa e a disagio a casa propria.

Tornai ad Ao Nang non molto dopo. Una lunga fila di casette prefabbricate ora tagliava bruscamente la baia.Ovunque fervevano lavori di costruzione. Era la stagione delle piogge ed ero l’unica turista. La maggiorparte delle case dei pescatori erano state distrutte per far posto ai bungalow ora numerosi e immersi nel verde.c’era una sola strada tranquilla e i pescatori continuavano a lavorare sulla spiaggia. Forse avevano solo dovutotrasferirsi nel villaggio vicino, forse adesso potevano vendere il pesce ai ristoranti. Mi rimase il ricordo diuna forma di turismo positiva per l’economia locale.

Quando quest’anno la guida thailandese ha proposto Ao Nang come destinazione balneare per un viaggiodi turismo responsabile che stavo accompagnando, ho accolto con piacere l’idea. Da Krabi siamo partiticon un pulmino e quando l’autista ha posteggiato invitandoci a scendere, ho detto che ci doveva essere unerrore. Scusandomi per la mia difficoltà col thailandese, ho iniziato a correggere la pronuncia: “Ao Naangâ€�,“Ao Nanâ€�, “Ao Naanâ€�. l’autista ha insistito che di posti con un nome simile ce n’é solo uno. Ridevo, miguardavo in giro e mi chiedevo come poter uscire dalla situazione. La località era certo un’altra: attorno anoi correvano motociclette, auto erano parcheggiate ovunque e alberghi, ristoranti e locali notturni costeggiavanola strada. Finché un albergo mi ha colpita: attorniato da un giardino era l’albergo che prima era in fondo allabaia, isolato, oltre il termine della strada asfaltata. Adesso é circondato da costruzioni. Non sapevo cosa faree cosa dire al gruppo che mi aspettava. Turismo responsabile? L”? La guida e l’autista ridevano come solosanno fare i thailandesi quando devono uscire da una situazione di imbarazzo. Anche loro avevano conosciutoAo Nang sotto ben altre spoglie. Il loro paese viene venduto a poco sul mercato, ora che con la crisi economicail Fondo Monetario li ha costretti ad abolire la legge che impediva agli stranieri di possedere proprietà inThailandia. Cos” adesso sono stranieri quelli che si abbronzano sulle spiagge e si divertono nei locali diproprietà straniera. Dei pescatori nemmeno l’ombra. Ma di chi é quella baia? In nome di cosa é giusto allontanarela gente dalle proprie case e dal proprio territorio? Quanto é ecologicamente sostenibile questo turismo?Alle capanne sono state sostituite stanze con aria condizionata. I bagni sono igienici, piastrellati e con acquacorrente. Ma solo per chi se lo può permettere..

2 Nicoletta Negri
Thailandia tanto al chilo
TDM-72-Ott 2000-#2

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