Ambiente: LA VITTORIA DEL BUSINESS
di ANTONIO POLITO
Ci sono due sostanze che volano sul globo senza curarsi delle frontiere: i soldi e i gas. I soldi viaggiano lungo i cavi telefonici che collegano le Borse, i gas attraverso l’atmosfera. Il flusso dei soldi può essere governato dalla mano invisibile del mercato.Il flusso dei gas no.
Il fallimento della conferenza dell’Aja é il suggello più eloquente allagrande contraddizione del secolo che si é appena aperto.
VIVIAMO in un mondo globalizzato, ne traiamo benefici e disastri globali,ma non esiste un governo globale in grado di distribuire i primi e limitare isecondi. Sappiamo – perché ce lo dicono gli scienziati – che di questopassoanidride carbonica, metano e ossido di azoto formeranno una cappa capacedi imprigionare il calore e di elevare la temperatura della Terra tra i 3,4 ei 6,7 gradi centigradi per la fine del secolo. Immaginiamo gli effetti disastrosi che ne possono derivare: tempeste di pioggia, innalzamento dei mari, scioglimento dei ghiacci polari. Crediamo perfino di avere assistito a una prova generale del clima prossimo venturo in questo autunno “horribilis” dell’Europa, passato con l’acqua alla gola. Ma se l’Onu mette 180 nazioni intorno a un tavolo per cominciare ad affrontare concretamente il problema, il risultato non é la nascita di un governo globale dell’ambiente, ma la lite, l’ostinato egoismo degli interessi nazionali, e il fallimento.
Il cuore del problema, come spesso accade di questi tempi, é l’America.Conil 4% della popolazione mondiale, emette nell’atmosfera il 25% dei gas dell’effetto serra. Come ha ricordato con un certo compiacimento Chirac, ogni cittadino statunitense inquina tre volte di più di un cittadino francese. Per cultura liberista e per rispetto sacrale del business, il governo di Washington non intende imporre alla sua industria e ai suoi cittadini una riconversione del modello di sviluppo e delle fonti di energia, chesarebbe costosa e faticosa. Trascinati da Clinton e soprattutto da Gore a firmareil patto di Kyoto, gli americani vorrebbero ora cavarsela con un compromesso, pragmatico e di mercato. Non calcolate solo quanti gas emettiamo – hanno chiesto agli europei – ma sottraete tutta l’anidride carbonica che lenostre foreste e il verde della nostra agricoltura assorbono, come un gigantesco lavandino. E, visto che si tratta di raggiungere una riduzione globaledelle emissioni del 5%, consentiteci di commerciare i veleni: compriamo noi le quote di anidride carbonica dai paesi che le riducono, così cambiando l’ordine degli addendi la somma non cambia.
Se fosse passata questa proposta, gli Stati Uniti sarebbero restati nei limiti previsti dagli accordi senza intaccare sostanzialmente il loro modo di produrre e di consumare. l’Italia, molto meno inquinante, invece no. l’Europa non éstata al gioco e, dopo una notte drammatica di trattative, quando un’intesa sembrava a portata di mano, ha fatto saltare il tavolo. c’é stato sicuramente un eccesso di zelo europeo. è chiaro che laFrancia, che ha la presidenza semestrale della Ue, é andata all’Aja determinata a fare del clima il terreno di una battaglia culturale e politica più ampia, diretta contro l’egemonia globale americana. Chirac ha usato parole di fuoco, accusando esplicitamente gli Stati Uniti di essere i responsabili dell’effetto serra. Il suo intervento non ha certo ammorbidito Washington. Nella notte, quando gli inglesi e gli ospiti olandesi erano convinti diaver moderato la posizione americana, é stata la Francia a radicalizzare la posizione europea e a respingere il compromesso. Si può certamentediscutere della tattica negoziale, ma stavolta l’Europa ha avuto ragione. Se fossero passati gli “sconti” proposti dagli americani, la riduzione globale di emissione di gas-serra sarebbe stata intorno al tre per cento. Per capire la scala del problema, basta dire che gli esperti dell’Onu ritengono essenziale un risultato finale del 60%. Il danno arrecato all’ambiente é infatti già immane: c’é già oggi nell’atmosfera “unaquantità di anidride carbonica superiore a quante ce ne sia stata negli ultimi 420mila anni”. I paesi del Terzo Mondo ne pagano le conseguenze in misura ben più drammatica di noi occidentali, perché non hanno i mezzi per fronteggiare un’emergenza causata da altri. un’inondazione nel Bangladeshfa più danni e più morti che un’alluvione in Val d’Aosta. Come ha detto il ministro della Nigeria, portaparola del gruppo dei 77 paesi in via di sviluppo, “loro hanno i soldi, loro hanno creato il prolema, loro devono risolverlo”. Da questo punto di vista, molti avrebbero preferito un accordo di basso profilo piuttosto che nessun accordo. In fin dei conti, in materie così delicate, meglio cominciare un po’ alla volta che non cominciare affatto.
Se non si riesce a chiudere un accordo ora, con l’ambientalista Gore ancora alla Casa Bianca, che succederà se vince il petroliere Bush? Ma il fallimento dell’Aja non si lascia dietro solo macerie. La consapevolezza delle opinioni pubbliche sta crescendo. La democrazia dei consumatori comincia a funzionare. Le grandi “corporation” americane, che dopo Kyoto spesero tredici milioni di dollari in una campagna di lobbying tesa a sostenere che gli scienziati esageravano e che avrebbero avuto il solo risultato di far schizzare il prezzo della benzina, stanno cambiando tattica. Per difendere i profitti, si vestono di verde, riconvertono le loro produzioni. La Bp, British Petroleum, ha cambiato nome nei manifesti pubblicitari: si chiama sempre Bp, ma sta per “beyond petroleum”, oltre il petrolio. La Du Pont ha dimezzato le sue emissioni di anidride carbonicain dieci anni.
Il grande nodo del Duemila é la solitudine della superpotenza americana. Perché ci sono cose che neanche l’America può fare da sola. èsignificativo che la presidenza Clinton si chiuda con il fallimento di due grandiutopie:
la pace in Medio Oriente e l’accordo sull’ambiente.
l’insuccesso dell’Ajaé forse il primo effetto globale del vuoto di potere alla Casa Bianca. l’Europa ha il dovere di aiutare l’America a essere un po’ meno sola. Il pianeta Terra, in fin dei conti, é il condominio dove viviamo tutti. Il battito d’ali di una farfalla in Florida, può trasformarsi in unacatastrofe ecologica nel Sussex. Esiste un diritto globale all’ambiente. Serve un governo globale dell’ambiente.
da “la Repubblica” 26.11.00
Be the first to comment on "Ambiente: la vittoria del Business – La Repubblica"