Eccesso di potere, ci faccia il piacere! Sull’appello dei giuristi a favore dei referendum

Con provvedimenti amministrativi abbiamo tutti a che fare: dal semaforo che si illumina al certificato medico, la nostra vita è sempre più intrisa di atti pubblicistici molto pervasivi. La comprensione della “lingua” che la pubblica amministrazione usa risulta di grande importanza non solo per gli specialisti del settore, visto che, al contrario, si deve cedere ai luoghi comuni cui tanto siamo avvezzi. Specie da Brunetta in qua. E in effetti il nostro beneamato ministro è solo l’epifenomeno di un atteggiamento verso il “pubblico” che coinvolge in realtà un vasta congerie di problematiche, a partire dalla stomachevole rincorsa a principi manageriali il cui esito è stato oggetto di cronaca, ad esempio in materia tributaria, laddove siano stati ricreati dei novelli pubblicani, pagati in base all’ammontare di imposta accertato dando poi la stura a tutti i possibili mezzucci di definizione che premiano gli evasori e bastonano gli onesti. Ha avuto fortuna, ad esempio, negli ultimi di giorni la nozione di “eccesso di potere” (assieme all’incompetenza e alla violazione di legge uno dei tre vizi del provvedimento amministrativo, peraltro il più difficile da individuare e codificare) con cui è stato tacciato il comportamento del Governo nel muoversi per aggirare i referendum. L’espressione ha solo portata giornalistica, perché, correttamente, i giuristi che si sono schierati in un appello parlano correttamente di “abuso di potere”. Difatti il Governo è un organo politico non prettamente amministrativo (so della parziale scorrettezza di quanto scrivo, ma la finalità dell’articolo è fornire delle nozioni comprensibili anche ai non “addetti ai lavori”), secondariamente perché l’eccesso di potere è un vizio che riguarda il provvedimento amministrativo in sé e non l’intera serie provvedimentale, di cui i singoli provvedimenti sono solo segmenti e che possono essere, in sé considerati, anche legittimi. Come peraltro ha detto il TAR del Lazio decidendo sul ricorso in merito al mancato accorpamento dovendosi in quel caso discutere di una tutela all’interesse legittimo oppositivo vantato.
A chi interessassero queste materie, di sicuro è utile in questo senso il poderoso testo “Il provvedimento amministrativo”, a cura di Villalta e Ramajoli per i tipi di Giappichelli (€ 70.00 pp. VIII-648 www.giappichelli.it ). Si tratta di uno studio che analizza tutti gli aspetti cardine dell’agire provvedimentale della pubblica amministrazione e delle relative implicazioni con dovizia ma anche con ragionevole semplicità, contando che si tratta di una pubblicazione specialistica.
Sebbene l’appello di cui parlavo sia firmato da firme eminentissime della dottrina italiana, io, nel mio piccolo, dissento dalla posizione che assumono (il testo è visibile di seguito: http://www.siacquapubblica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=169%3Aappello-di-grande-stevens-rodota-zagrebelsky-ed-altri-giuristi-per-i-referendum&catid=9%3Adocumentazione&Itemid=8&lang=it) . Non ovviamente dalla denuncia della finalità “truffaldina” che sta dietro l’operato dell’esecutivo, ma, più nello specifico, rispetto alla qualificazione da attribuire alla fattispecie. A parere di chi scrive, infatti, si può ragionevolmente prefigurare una valenza di natura penale del fatto, al di là dei possibili esiti “inciucistici” che vedrebbero le varie cricche e consorterie spartirsi torte di appalti e che a quel punto prefigurerebbero autonome figure di reato.
Certo, non ho l’autorevolezza di un cattedratico o l’aura sacrale che promana da una toga, tuttavia una lettura dell’articolo 294 del Codice Penale credo lasci modesti spazi di dubbio: “Attentati contro i diritti politici del cittadino. Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.” Si noti peraltro che l’elemento psicologico del dolo, titolo di imputazione ordinario e che in questo caso si prefigura nella forma più grave della premeditazione, si può ravvisare agevolmente, ad esempio, dalle pubbliche dichiarazioni di molti esponenti del Governo, a partire dal Premier durante il vertice italo- francese di pochi giorni fa. Ma dirò di più: se si prende un qualsiasi codice penale il rinvio effettuato dai redattori è proprio agli articoli della Costituzione che disciplinano il diritto di voto e di elettorato. Senza contare che lo strumento referendario è previsto e garantito sempre in sede costituzionale e tutti gli adempimenti a questo riconnessi sono stati compiuti dal comitato promotore.
L’interpretazione rigorosa del precetto penale e la stringente tipicità della figura di reato non può essere, a mio avviso, il paravento del formalismo e della tutela che riduca la punibilità a casi di violazione talmente patente e frontale che, a quel punto, non si possa obiettare nulla in fatto e si debba arrivare a mercanteggiare la pena come in un mercato rionale. Il comportamento di molti esponenti del Governo è deliberatamente indirizzato a far in modo che il corpo elettorale si esprima (non si esprima, in questo caso) in modo distorto. Qualcuno può, gentilmente, smontare con argomenti giuridici questa mia ricostruzione?

Alberto Leoncini
albertoleoncini@libero.it

 

 

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