(di Maurizio Binetti – https://thevision.com)
Il controllo ossessivo e maniacale di tutto ciò che ingeriamo, che ci porta a volte fino al punto da ridefinire le nostre relazioni sociali e le scelte che compiamo quotidianamente, si chiama “ortoressia” – dal greco “orthos”, corretto, e “orexis”, appetito. A oggi, l’ortoressia, di cui si parla molto sui media, non figura ancora nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), che fornisce la seguente definizione dei disturbi legati all’alimentazione: “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati, che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale.”
Secondo l’indagine “Nutrimente”, promossa dal Ministero della Salute, le “fissazioni” più comuni di un soggetto a rischio ortoressia sono la cosiddetta pianificazione dei pasti – per cui si dedica gran parte delle giornate, in particolare la domenica, a definire come si mangerà la settimana successiva, calcolando alla perfezione le dosi di pranzo e cena o “il tempo trascorso [per non dire perso] al supermercato” – e la ricerca ossessiva degli alimenti più salutari presenti sugli scaffali. Che si trovi in ufficio, in vacanza, in viaggio per lavoro, il soggetto ortoressico manifesta le sue nevrosi soprattutto quando è costretto ad andare in un supermercato o in un ristornate “normale”, sprovvisto o meno fornito di un determinato tipo di prodotti, e si impone di cercare disperatamente quello che possa soddisfare i suoi bisogni. Non ultimo, “il pensiero ossessivo del cibo” porta a un’unica e martellante domanda ogni qual volta si presenta il rischio di sgarrare la regola: “mi farà male?”
Guardando ai dati del fenomeno nel nostro Paese, dei 3 milioni di italiani che soffrono di disturbi alimentari, circa il 15% soffre di ortoressia, con una netta prevalenza degli uomini (11,3%) rispetto alle donne (3,9%). Come sostiene Donatella Ballardini, Presidente dell’Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione (ANSISA), “Questa differenza è da attribuire alla diffusione attuale, nella popolazione maschile, di modelli salutistici legati alla forma fisica e all’allenamento sportivo, che suggeriscono un elevato controllo del cibo per il raggiungimento della forma e della performance ideale,” controllo che passa attraverso un processo di disintossicazione. La carne, il latte, i carboidrati; gli zuccheri, i lieviti, il glutine: moderni demoni alimentari da combattere con alternative free.
Di fronte a un palinsesto televisivo dominato da programmi di cucina ricca e tradizionale, forse anche come risposta a questa direzione mediatica, pressoché immutata dal boom del dopoguerra a oggi, si contrappone un regime alimentare dove vige un’unica regola: l’esclusione. L’abnegazione, il rifiuto di tutto ciò che, per moda o perché l’ha detto un guru dell’alimentazione o il tuo personal trainer viene connotato come nocivo, dannoso, e quindi da eliminare.
Le cause che trasformano questa scelta – a monte anche condivisibile rispetto a determinati fattori salutari o ambientali – in nevrosi sono diverse e a volte sono il corollario di diete che sono veri e propri regimi e promettono miracoli in breve tempo. Il soggetto ortoressico è portato a controllare compulsivamente tutto ciò che ingerisce, e i suoi comportamenti tendono, di conseguenza, a ricordare aspetti dell’anoressia nervosa o del disturbo ossessivo-compulsivo. Questi due disturbi condividono infatti tratti perfezionistici e di controllo maniacale: l’aderenza alla dieta diventa sinonimo di autodisciplina, mentre la trasgressione viene interpretata come un fallimento del proprio auto-controllo.
(leggi tutto su https://thevision.com/cultura/ossessione-cibo-sano/)
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