Libia, la nuova Somalia

(Fonte: altrenotizie.org)

di Michele Paris

La situazione in Libia a quasi tre anni dalla deposizione e dall’assassinio di Gheddafi appare sempre piu’ drammatica e ormai sul punto di esplodere in una guerra civile a tutti gli effetti. A sonvolgere il paese nord-africano, ‘liberato’ dalle bombe NATO nel 2011 in seguito alla manipolazione di una risoluzione dell’ONU, sono i continui scontri tra milizie armate grosso modo riconducibili a militanti islamisti e secolari, appoggiati a loro volta da potenze straniere in competizione per l’influenza nella ex colonia italiana ricchissima di risorse energetiche.

A mettere in guardia la comunita’ internazionale dal baratro in cui sta precipitando la Libia e’ stato tra gli altri anche il suo ambasciatore alle Nazioni Unite, Ibrahim Dabbashi. Quest’ultimo ha lanciato un appello all’azione per evitare il peggio in concomitanza con il voto unanime questa settimana del Consiglio di Sicurezza per imporre nuove quanto inutili sanzioni sui presunti responsabili della destabilizzazione del paese.

I 15 membri del Consiglio, con apparente serieta’, hanno anche invitato i paesi arabi ad adoperarsi per mettere fine alle violenze e a cercare una soluzione negoziata al conflitto in corso. La raccomandazione e’ apparsa sinistramente ironica, visto che proprio alcuni importanti paese arabi continuano ad alimentare gli scontri in Libia: Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi da una parte e Qatar dall’altra.

Questa realta’, che ha trascinato la Libia al centro della lotta di potere nella regione tra i sostenitori dell’Islamismo politico e i suoi oppositori, e’ apparsa evidente qualche giorno fa con la conferma da parte del governo americano che gli Emirati Arabi, grazie all’appoggio logistico egiziano, hanno recentemente bombardato con aerei da guerra alcune postazioni islamiste nel paese nord-africano.

L’intervento doveva avere l’obiettivo di impedire alle milizie islamiste, guidate dalla fazione proveniente da Misurata, di conquistare l’aeroporto internazionale di Tripoli, controllato da quasi tre anni dalla milizia di Zintan, nella Libia occidentale, alleata con varie altre formazioni sostenute appunto dal Cairo, Riyadh e Abu Dhabi.

Le incursioni aeree non hanno pero’ avuto l’effetto sperato, visto che la fazione di Misurata e le alleate di quest’ultima hanno finito per assumere ugualmente il controllo dell’aeroporto nel fine settimana.

Nonostante le smentite, appare difficile che gli americani non siano stati al corrente dell’operazione decisa dal regime degli Emirati vista la stretta alleanza di quest’ultimo con Washington e la massiccia presenza di forze armate statunitensi nella regione del Golfo Persico. Del tutto possibile e’ invece un certo disappunto dell’amministrazione Obama che potrebbe temere sia un aggravamento del caos in Libia sia di essere scavalcata negli eventi di questo paese dai propri alleati arabi.

In ogni caso, gli attacchi aerei condotti il 18 e il 23 agosto non hanno rappresentato il primo intervento congiunto di Egitto ed Emirati Arabi in territorio libico, poiche’ in precedenza era circolata la notizia di almeno un blitz delle forze speciali di questi due paesi contro un accampamento degli islamisti poco oltre il confine con l’Egitto.

Lo scontro tra vari paesi arabi e non solo per estendere la loro influenza sulla Libia era iniziato gia’ durante la ‘rivolta’ contro Gheddafi, a conferma della piu’ che dubbia natura democratica della guerra contro il regime alimentata fin dall’inizio da armi e denaro stranieri. Il Qatar e la Turchia, ad esempio, avevano da subito individuato possibili alleati soprattutto tra le milizie anti-governative di ispirazione islamista e dopo la fine del regime i due paesi si erano schierati a fianco dei Fratelli Musulmani libici.

Questi ultimi erano riusciti a prevalere all’interno del corpo legislativo ‘post-rivoluzionario’ transitorio, denominato Congresso Nazionale Generale ed eletto nell’estate del 2012. In seguito, le milizie islamiste sarebbero state in pratica incorporate nelle strutture del nuovo stato, suscitando sempre piu’ la preoccupazione di paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi, tradizionalmente ostili a forme alternative di islamismo politico che possano rappresentare una qualche minaccia ai rispettivi regimi assoluti.

Per tutta risposta, Riyadh e Abu Dhabi hanno allora iniziato a fornire aiuti militari e finanziari alle milizie anti-islamiste, originarie soprattutto della citta’ occidentale di Zintan, contribuendo in maniera decisiva alla destabilizzazione della Libia.

Lo scontro si e’ fatto poi ancora piu’ aspro dopo il colpo di stato in Egitto che ai primi di luglio dello scorso anno ha rimosso dal potere il presidente dei Fratelli Musulmani Mohamed Mursi ”’ eletto democraticamente e sostenuto finanziariamente e politicamente dal Qatar ”’ dando inizio a una violentissima repressione ai danni del movimento islamista. L’iniziativa dei militari egiziani era stata appoggiata in pieno da Arabia Saudita ed Emirati Arabi – nonche’ dagli Stati Uniti – e aveva incoraggiato ancor piu’ all’azione le milizie anti-islamiste nella vicina Libia.

In un quadro di scontri sempre piu’ violenti e con il rapido deterioramento della situazione interna, si e’ inserito inoltre nel mese di maggio il tentativo di riportare un qualche ordine nel paese da parte dell’ex generale di Gheddafi, Khalifa Hiftar. Esiliato per decenni negli Stati Uniti in una localita’ a pochi chilometri dal quartier generale della CIA, Hiftar aveva tentato un’offensiva contro gli islamisti nella parte orientale della Libia con il tacito appoggio degli Stati Uniti, raccogliendo il consenso di varie milizie e manifestando chiaramente l’intenzione di riprodurre nel suo paese le vicende egiziane.

L’offensiva guidata da Hiftar si e’ pero’ arenata dopo alcuni successi iniziali e le elezioni, da lui indette dopo avere sciolto il Congresso Nazionale Generale e licenziato il governo, non hanno prodotto nessun risultato.

Il voto tenuto a giugno aveva peraltro messo in minoranza le forze islamiste nel nuovo parlamento ma l’assemblea ha potuto riunirsi solo qualche settimana fa nella citta’ orientale di Tobruk, mentre il vecchio Congresso Nazionale Generale e’ stato recentemente reinsediato a Tripoli. L’inconsistenza della nuova Camera e’ confermata dal fatto che le tre principali citta’ libiche – Bengasi, Misurata e appunto la capitale – dove risiede piu’ della meta’ della popolazione, rimangono sotto il controllo degli islamisti.

In questo scenario, la Libia e’ ormai un campo di battaglia tra opposte fazioni nel quale i principi che avevano nominalmente animato la guerra contro Gheddafi sono stati abbandonati anche nelle apparenze, con gli islamisti e i loro sponsor esteri che cercano di contrastare la controffensiva delle milizie rivali, finanziate a loro volta dal petrolio saudita e disposte da qualche tempo ad accettare anche il contributo di ex membri del regime del rais contro cui avevano duramente combattuto.

La progressiva disintegrazione delle strutture statali della Libia dopo la caduta di Gheddafi e la trasformazione di questo paese in una sorta di nuova Somalia hanno dunque responsabilita’ ben precise. Esse non sono pero’ da ricercare soltanto tra quei regimi arabi che stanno combattendo per procura su tutto il fronte mediorientale e nord-africano per assestare un colpo letale alle forze islamiste rivali, appoggiate in particolare da Qatar e Turchia.

Le responsabilita’ maggiori sono da attribuire agli Stati Uniti e ai governi europei, oggi silenziosi o impotenti di fronte all’espandersi della crisi libica ma intervenuti prontamente a sostegno della ‘rivolta’ anti-Gheddafi nel 2011 per favorire il crollo del regime dietro motivazioni umanitarie, puntando proprio sulle forze fondamentaliste e le milizie armate violente che hanno continuato in questi anni a fronteggiarsi per la spartizione del potere e delle ricchezze del paese.

(Tratto da: http://www.altrenotizie.org)

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