Il tempo e la decrescita

Il tempo e’ scaduto. L’impatto dell’azione umana ha raggiunto un livello tale da disturbare e modificare il funzionamento dell’ecosistema terrestre; in seguito al premio Nobel per la chimica assegnato a Paul Cruzen, gli scienziati hanno ammesso che siamo entrati in una nuova era, definita antropocene: ‘L’uomo e’ divenuto una potenza tellurica capace di interferire con i grandi cicli del pianeta (‘) nell’era dell’antropocene, la natura e’ stata spinta al punto da divenire un sistema che possa assorbire gli eccessi umani'[1]. L’accorciamento dei cicli di vita dei prodotti, lo schiacciamento del rapporto spazio-tempo, la vita indebitata e gli assegni sull’avvenire che non verranno mai riscossi, provocano da un lato uno stress ed una consumazione psicotropi, e generano dall’altro l’obsolescenza dell’uomo – secondo la formula di Gunther Anders – in un mondo che minaccia di collassare. La sesta ondata di estinzione delle specie e’ certamente gia’ avviata.
Artificialmente ritagliato dall’orologio meccanico, aggiunto e detratto, il tempo e’ diventato l’oggetto centrale dell’economia e dunque di una societa’ totalmente sottomessa alla sua dittatura. Bisogna sempre produrre di piu’ rispetto ad una determinata unita’ di tempo. Bisogna accelerare i ritmi di vita e al contempo accorciarne la durata (soprattutto della vita degli oggetti). Il presente scompare in un’eternita’ virtuale. Viviamo certamente piu’ a lungo (in media), ma senza avere mai il tempo di vivere. Si tratta dello schiacciamento produttivistico del tempo e del delirio della velocita’ denunciati da Paul Virilio.

Sempre piu’ lontano, sempre piu’ in alto, sempre piu’ veloce! Questo motto olimpionico e’ stato interiorizzato dall’immaginario collettivo. Gli uomini devono essere competitivi e partecipare quotidianamente ad una corsa folle, cercando di sconfiggere il normale scorrere del tempo, quello dell’orologio da polso. Nicolas Georgescu-Roegen, a suo tempo, aveva denunciato questa frenesia tramite la parabola del ‘ciclondromo del rasoio elettrico’. Questo consiste ‘a rasarsi piu’ velocemente in modo da avere piu’ tempo da dedicare al lavoro, secondo la concezione di un apparato che corre ancora piu’ veloce, e cosi via all’infinito'[2].
Questo schiacciamento del tempo e’ un aspetto essenziale della distruzione del mondo reale e di cio’ che Ivan Illich denunciava come ‘perdita di senso’. Il processo di trasformazione degli esseri viventi e delle cose in atomi numerici e’ allo stesso tempo un enorme lavoro intellettuale di astrazione ed un’enorme impresa di alienazione dell’uomo e di saccheggio della natura. Secondo il pensiero razionale, tutto deve ridursi a delle cifre da calcolare; nella realta’ tutto deve trasformarsi in merci interscambiabili.
Le differenti forme di accelerazione sviluppate all’ipermodernita’ e le nuove tecnologie, secondo il filosofo Hartmut Rosa, hanno provocato in contropartita un aumento crescente del ritmo di obsolescenza delle esperienze umane, con una conseguente restrizione di periodi di tempo appartenenti al presente[3]. Bill Joy, inventore del programma Java (il linguaggio informatico utilizzato per internet), ci ammonisce cosi in un articolo della rivista Wired : Why the future doesn’t need us (Wired: perche’ il futuro non ha bisogno di noi) dell’aprile 2000: ‘Le tecnologie piu’ potenti del ventunesimo secolo – la robotica, l’ingegneria genetica e la nanotecnologie – rischiano di rendere l’uomo una specie suscettibile di scomparire'[4].

L’idea di un’obsolescenza dell’uomo derivante dalla tecnica e la tecnolocizzazione del mondo e’ emersa davvero, in modo inedito, grazie alla minaccia della sopravvivenza dell’umanita’ provocata dalla deterrenza della bomba atomica. Quattro giorni dopo la resa giapponese, Norman Cousins, traumatizzato dall’esperienza subita, pubblica un articolo intitolato ‘Modern Man is obsolete’ (‘L’uomo moderno e’ obsoleto’) sulla rivista Saturday Review del 18 Agosto 1945. L’uomo, a suo avviso, non e’ in grado di accettare e controllare i benefici ed i pericoli potenziali dell’energia atomica[5]. Questa obsolescenza dell’uomo, in seguito alla ‘standardizzazione della catastrofe’ avvenuta con il MAD (Mutually Assured Destination) e’ stata magistralmente analizzata da Günther Anders. Il filosofo parla di ‘vergogna prometea’ come senso di inferiorita’ rispetto alle merci: ‘Noi siamo distruttibili, siamo i soli ad essere nati obsoleti'[6].
E’ urgente costruire una societa’ della decrescita per riabitare e riabilitare il tempo. Ridurre le distanze, rilocalizzare la vita, scoprire e valorizzare la lentezza, ridurre gli orari di lavoro, allungare il ciclo di vita degli oggetti, insomma riscoprire la vita contemplativa[7]. E’ giunto il tempo di sbarazzarci della nostra dipendenza dalla velocita’, e di partire alla riconquista del tempo e quindi delle nostre vite. Ma cio’ non puo’ avvenire che tramite una rottura delle nostre abitudini, e quindi delle nostre credenze e delle nostre mentalita’. Inventare la felicita’ nella convivialita’ piuttosto che nell’accumulazione frenetica suppone una seria operazione di decolonizzazione dei nostri immaginari; gli errori di percorso come la crisi attuale possono aiutarci a compiere questo passo. Il tempo della decrescita e’ giunto!

Traduzione di Marta Esperti
[1] Jacques Testart, Agne’s Sinaï, Catherine Bourgain, Labo plane’te ou comment 2030 se pre’pare sans les citoyens (Labo plane’te ovvero come il 2030 si prepara senza i cittadini). Mille et une nuits, 2010, p. 37.

[2] La de’croissance, Entropie, e’cologie, e’conomie. Editions Sang de la Terre et Elle’bore. 1979, page 107.

[3] Hartmut Rosa, Acce’le’ration. Une critique sociale du temps, La De’couverte, 2011.

[4] J.P Dupuy in La marque du sacre’, op, cit, p. 77.

[5] Giles Slade, op. cit, p. 144.

[6] Günther Anders, op. cit, p. 41.

[7] Citato in italiano nell’articolo

(Tratto da: http://www.ariannaeditrice.it)

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