Le citta’ che cambiano

(Fonte: http://comune-info.net)
Movimenti e amministrazioni di citta’ come Stoccolma, Amsterdam, Friburgo o Malaga hanno cominciato a prendere sul serio le sfide poste dal cambiamento climatico e dal picco del petrolio. Pur tra non pochi limiti e contraddizioni espressioni come smart city e transition town allundono alla capacita’ di rispondere qui e ora a cambiamenti profondi che riguardano la vita di ogni giorno

di Federico Tabellini

 

L’idea di smart city si e’ andata diffondendo sempre piu’ capillarmente negli ultimi anni, e attualmente sono numerose le iniziative a livello italiano ed europeo che fanno riferimento a tale concetto al fine di fornire, per le piu’ disparate realta’ urbane, risposte efficienti alle sfide del cambiamento climatico, del picco del petrolio e delle numerose altre questioni che a queste ultime sono connesse. Lo studio e l’implementazione di modelli efficaci di smart city ha coinvolto discipline molto diverse tra loro ” dall’urbanistica all’ingegneria, dalla sociologia urbana alla scienza politica, passando per l’economia e la geografia ”, il tutto nella consapevolezza che un approccio multidisciplinare rappresenti, in considerazione della complessita’ del funzionamento delle citta’ contemporanee e della natura multidimensionale dei problemi che in esse vanno affrontati, la via di gran lunga migliore.

Il lavoro e’ stato facilitato dall’emergere di realta’ che incarnano gia’ in buona parte quell’idea: citta’ come Stoccolma, Amsterdam, Friburgo e Malaga, solo per fare esempi di grandi metropoli, stanno tutte ottenendo buoni risultati in relazione alle sfide di lungo termine a cui si e’ accennato sopra, ognuna con le sue peculiarita’ specifiche dettate dalla propria storia, organizzazione e contesto di riferimento.

Una definizione piuttosto condivisa di smart city e’ quella proposta dal Forumpa 2010 (convegno sulle smart city tenutosi a Roma), secondo cui i criteri principali che identificano una citta’ smart sarebbero cinque:

1. Mobilita’

Una citta’ smart e’ una citta’ in cui gli spostamenti sono agevoli, che garantisce una buona disponibilita’ di trasporto pubblico innovativo e sostenibile e che promuove l’uso di mezzi a basso impatto ecologico.

2. Ambiente

Una citta’ smart promuove uno sviluppo sostenibile che ha come paradigmi la riduzione dell’ammontare dei rifiuti, la differenziazione della loro raccolta, la loro valorizzazione economica; la riduzione drastica delle emissioni di gas serra tramite la limitazione del traffico privato, l’ottimizzazione delle emissioni industriali, la razionalizzazione dell’edilizia cosi da abbattere l’impatto del riscaldamento e della climatizzazione; la razionalizzazione dell’illuminazione pubblica; la promozione, protezione e gestione del verde pubblico; lo sviluppo urbanistico basato sul risparmio di suolo, la bonifica delle aree dismesse.

3. Turismo e cultura

Una citta’ smart promuove una buona immagine turistica con una presenza intelligente sul web; virtualizza il proprio patrimonio culturale e le proprie tradizioni e le restituisce in rete come bene comune per i propri cittadini e i propri visitatori; usa tecniche avanzate per creare percorsi e mappature tematiche della citta’ e per renderle facilmente fruibili; promuove un’offerta coordinata ed intelligente della propria offerta turistica in internet; offre ai turisti un facile accesso alla rete dei servizi online in linea con le loro esigenze.

4. Economia della conoscenza e tolleranza

Una citta’ smart e’ un luogo di apprendimento continuo che promuove percorsi formativi profilati sulle necessita’ di ciascuno; una citta’ smart offre un ambiente adeguato alla creativita’ e la promuove incentivando le innovazioni e le sperimentazioni nell’arte, nella cultura, nello spettacolo; si percepisce e si rappresenta come un laboratorio di nuove idee; privilegia la costruzione di una rete di reti non gerarchica, ma inclusiva, in cui i vari portatori di interesse e le loro comunita’ possano avere cittadinanza e voce; sviluppa alleanze con le universita’, ma anche con le agenzie formative informali; da’ spazio alla libera conoscenza e privilegia tutte le forme in cui il sapere e’ libero e diffuso.

5. Trasformazioni urbane per la qualita’ della vita

Una citta’ smart ha una visione strategica del proprio sviluppo e sa definire in base a queste scelte e linee di azione; considera centrale la manutenzione del suo patrimonio immobiliare e la sua efficiente gestione e usa tecnologie avanzate per questo obiettivo; fonda la propria crescita sul rispetto della sua storia e della sua identita’ e privilegia in questo senso il riuso e la valorizzazione dell’esistente in un rinnovamento che si basa sulla conservazione; nel suo sviluppo fisico crea le condizioni per promuovere la coesione e l’inclusione sociale ed elimina le barriere che ne impediscono la sua completa accessibilita’ per tutti i cittadini[1].

Dalla definizione riportata, saltano subito all’occhio alcune delle affinita’ e divergenze con il progetto delle citta’ in transizione (transition towns in inglese), avviato nel Regno Unito all’inizio degli anni 2000 e ormai diffusosi a diversi altri paesi, fra i quali l’Italia (celebre e’ il caso di Monteveglio, in provincia di Bologna).

Fra le affinita’ troviamo sicuramente la convinzione condivisa che le sfide globali e locali che le citta’ si trovano a dover fronteggiare necessitino di nuovi modelli urbani piu’ sostenibili, efficienti ed equi. Gran parte di quanto riportato nella definizione dei cinque pilastri di una smart city puo’ essere esteso anche al concetto di transition town, ma i due concetti non sono completamente sovrapponibili, cosi come non lo sono le pratiche che ne derivano.

Vediamo alcune linee di distinzione:

1. Il modello socio-economico di riferimento

1458407895 Mentre il progetto smart city si inserisce a pieno nel modello socioeconomico della crescita continua, e semmai cerca di limitarne gli effetti nefasti sull’ambiente e sugli stock di risorse, il progetto transition town rigetta in gran parte tale modello, avvicinandosi alle idee della teoria della decrescita felice; questo per via dell’adozione di una serie di assunti espliciti ed impliciti, fra i quali ne ricordiamo due centrali:

La convinzione che una crescita infinita del PIL non sia sostenibile in virtu’ del secondo principio della termodinamica (come dimostrato da Nicolas Georgescu-Roegen)[2].

La convinzione che tale crescita, a prescindere dalla sua insostenibilita’ ecologica, non apporti necessariamente un maggiore benessere alle persone[3].

2. Fattori economici VS fattori socioculturali

Proprio in virtu’ del modello socio-economico di riferimento, e nonostante il coinvolgimento di una pluralita’ di saperi specializzati, il criterio di analisi e progettazione centrale nel progetto smart city resta quello economico, utilizzato di volta in volta nella definizione dei modelli di sviluppo urbano, nell’elaborazione di cambiamenti nelle strutture di welfare, nell’ideazione di politiche pubbliche efficienti e cosi via.

Il progetto transition town focalizza altresi la sua attenzione prevalentemente sugli aspetti socio-culturali e relazionali, in vista della creazione di una citta’-societa’ orientata al perseguimento di obiettivi comuni; questo ci collega direttamente al punto 3.

3. Approccio top-down VS approccio bottom-up

La progettazione di una smart city (o, piu’ spesso, la trasformazione di una citta’ in smart city) e’ generalmente coordinata dall’alto da parte dell’amministrazione comunale e/o provinciale e regionale, coadiuvata da un pool di esperti di varie provenienze (ingegneri, economisti, esperti di politiche pubbliche), il che consente una forte integrazione delle varie componenti dell’organizzazione cittadina (a livello tecnologico, istituzionale e logistico) e la creazione di una citta’ efficiente (dal punto di vista energetico ma non solo) e interconnessa. In tutto questo il coinvolgimento dei cittadini e’ tenuto generalmente nella massima considerazione e viene incentivato, ma rimane necessariamente limitato a causa del sapere altamente tecnico necessario alla comprensione e alla gestione di gran parte delle innovazioni apportate all’organizzazione cittadina.

Al contrario, la progettazione di una transition town poggia in larga misura sulla nascita di reti attive di cittadini, ha origine direttamente dalla cittadinanza e cerca solo in un secondo momento di coinvolgere/influenzare la politica locale. Al centro del progetto non vi e’ un sapere marcatamente tecnico, bensi la messa in atto di buone pratiche quotidiane da parte dei cittadini, l’adozione volontaria di stili di vita piu’ sostenibili e la cooperazione fra persone, anche estranee fra loro, attraverso la creazione di reti di solidarieta’ che si attivano per il bene della citta’. Se quindi da un lato il progetto di una citta’ in transizione e’ generalmente meno coordinato e pianificato, dall’altro e’ piu’ democratico e partecipato.

Va sottolineato che nella realta’ non esistono spartiacque netti, e in entrambi i casi (ma specialmente nel caso delle smart cities, entro il quale alcuni fanno addirittura rientrare il progetto delle transition towns) si assiste a idee e implementazioni anche molto diverse fra loro, per via delle caratteristiche specifiche dei casi a cui si applicano i modelli, nonche’ delle scelte di volta in volta adottate dagli stakeholders locali.

Non e’ dunque da escludersi la possibilita’ di una convergenza dei due modelli nella pratica, il che consentirebbe forse di compensare i limiti di entrambi: buone pratiche dal basso, in coordinamento con amministrazioni specializzate e dotate di una coerente visione di lungo termine, potrebbero agevolare il cammino verso risposte efficaci alle sfide ineludibili che le citta’ contemporanee si trovano di fronte.

 

Note:

1. Atlante delle smart cities, modelli di sviluppo sostenibili per citta’ e territori, E. R. Sanseverino, R. R. Sanseverino e V. Vaccaro, Franco Angeli Editore, 2012.

2. The entropy law and the economic process, N. Georgescu-Roegen, Harvard University Press, 1971

3. In riferimento all’equazione I=PAT (cfr. mio articolo precedente), si puo’ inoltre notare che mentre l’approccio Smart City tende a porre la propria enfasi sulla T (technology) dell’equazione, nella convinzione implicita che cio’ possa essere sufficiente a conseguire un decoupling assoluto o quantomeno ad aumentare drasticamente il decoupling relativo (fra crescita economica e impatto antropico), l’approccio transition towns, pur non rinunciando a riconoscere l’apporto potenziale dell’innovazione tecnologica al fine di ridurre I, suggerisce al tempo stesso di incidere sui consumi superflui (A, da affluence), nella convinzione, gia’ accennata nel testo, che oltre un certo livello di consumo un’ulteriore unita’ di consumo possa non solo non apportare maggiore benessere, ma addirittura diminuirlo (paradosso di Easterlin).

 

Fonte: decrescita.com

Letture consigliate:

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Uscire dall’economia (intervista a Serge Latouche)

La decrescita non e’ un progetto-politico ma un contropotere sociale, spiega Serge Latouche in questa intervista a Comune. u un grido contro l’economia, che e’ solo un’invenzione del capitalismo. Per questo il potere dice: «Siate seri, non e’ il momento di parlare di queste cose»

Il cucchiaio e le Transition town

«u affascinante che la nostra societa’ abbia raggiunto il punto in cui lo sforzo necessario per estrarre il petrolio dal suolo, inviarlo ad una raffineria, trasformarlo in plastica, dargli una certa forma, trasportarlo fino al negozio in camion, comprarlo e portarlo a casa, e’ considerato meno faticoso che lavare il cucchiaio una volta usato». Dal blog delle Transition town, movimento promosso da Rob Hopkins

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(Tratto da: http://comune-info.net)

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