Che cosa significa la marijuana legale dell’Uruguay per la guerra alle droghe

(Fonte: znetitaly.altervista.org)

Che cosa significa la marijuana legale  dell’Uruguay per la guerra alle droghe

Di Peter Watt

3 agosto 2013

L’Uruguay e’ pronto a diventare il primo paese  a legalizzare l’uso, la coltivazione e il possesso della marijuana dopo un secolo di leggi di  proibizionistiche spesso autoritarie in tutto il mondo. Con un voto storico sulla recente proposta del presidente Jose’ Muijca, il Congresso uruguaiano ha votato a grande maggioranza (50 a 46)  a favore della legalizzazione e di ipotizza che la legge sara’ approvata dal Senato uruguaiano nel giro di poche settimane.

Il voto dell’Uruguay arriva nel mezzo di un momento di  accresciuto scetticismo nella regione sui vantaggi della proibizione e sulle strategie militari guidate dagli Stati Uniti per applicare la legge repressiva contro i narcotici. Perfino molti ex e attuali leader latino-americani della destra politica hanno richiesto la legalizzazione della marijuana, presumibilmente riconoscendo la terribile sofferenza socio-economica che la “guerra alla droga” ha  provocato  nei 40 anni passati.

Significativamente, la mossa fatta dal governo di Muijca e’ un’indicazione della crescente indipendenza della regione. John Kerry puo’ anche riferirsi all’America Latina come al “cortile” degli Stati Uniti, ma e’ una parte del mondo che fugge sempre di piu’ dalla morsa egemonica di Washington.

Dopo tutto, la guerra alla droga, e’ stata principalmente una trovata americana, iniziata dal presidente Nixon quando ha dichiarato che i narcotici erano il “nemico numero uno” del paese. Da allora, la guerra alla droga ha fornito il pretesto all’intervento militare e  politico in America Latina (e in Asia) e a un controllo sociale sempre piu’ brutale e repressivo all’interno degli Stati Uniti. L’approvazione della nuova legge in Uruguay puo’ essere un passo preliminare per smantellare una guerra la cui   disonesta’  e ipocrisia sono  facilmente paragonabili alle loro omologhe Guerra Fredda e “guerra al terrore”.

L’anno scorso, lo stato di Washington e lo stato del Colorado hanno approvato leggi per l’uso voluttuario della marijuana ed e’ alquanto possibile che altri stati seguano il loro esempio nel prossimo futuro. Queste mosse hanno la probabilita’   di  fermare alcune delle assurdita’ della guerra alla droga, anche se una simile legislazione non e’ adottata a livello federale.

Queste nuove leggi riflettono anche uno scetticismo crescente tra il pubblico statunitense circa i vantaggi della proibizione. Considerate che nel 1969, un anno famoso per l’improvviso aumento di    consumo di “erba” tra gli Americani, circa il 12% della popolazione era favorevole alla legalizzazione. Paragonate gli anni ’60, alquanto conservatori con gli atteggiamenti di oggi: un sondaggio condotto questo anno dal Pew Research Center (Centro di ricerca Pew) ha trovato che il 52% degli Americani e’ a favore della legalizzazione della marijuana.

Un tale cambiamento di atteggiamento riflette anche una maggiore consapevolezza popolare sulle droghe e un cinismo sull’allarmismo dei politici e sulla loro lampante manipolazione dei fatti. Negli Stati Uniti, per esempio, e’ perfettamente legale che il tabacco uccida circa 440.000 persone ogni anno. Circa 80.000 morti negli Stati Uniti sono causate dall’uso eccessivo di alcol acquistato legalmente. E tuttavia ci sono registrate esattamente zero morti per dose eccessiva di marijuana.

Le leggi relative al consumo, possesso e coltivazione di marijuana, possono sembrare eccessivamente rigide per un osservatore razionale. Tuttavia, coloro che hanno un interesse a mantenere uno status quo, come l’industria carceraria privata, l’industria delle armi e l’elite politica americana, e’ improbabile che scompaiano.

Negli Stati Uniti, chi fa uso  di marijuana si e’ trovati a scontare in carcere pene piu’ lunghe di quelle degli assassini e degli stupratori. Grazie  alla legge  di Bill Clinton denominata “dei tre reati” alcuni consumatori di cannabis sono stati condannati all’ergastolo. Tali misure hanno portato uno studioso di leggi naziste, Richard Lawrence Miller, a paragonare la legge che prende di mira chi fa uso di droghe, a quella usata in Germania per emarginare ed escludere gli ebrei dalla societa’ tradizionale. Michelle Alexander  chiama la guerra alla droga, “La Nuova Jim Crow”, dal nome dato alle leggi che attuavano la segregazione razziale nell’America degli anni precedenti al 1960. La Alexander

Traduzione © 2013  ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC  BY – NC-SA  3.0

 

 

sostiene che le attuali procedure hanno di mira in grandissima maggioranza gli afro-americani, sebbene degli studi dimostrino che essi usano e vendono droga a un livello uguale o piu’ basso dei loro omologhi caucasici.

In effetti, da quando Nixon ha dichiarato le droghe “il nemico pubblico numero uno”,  in un periodo in cui l’uso delle droghe  era in realta’ in declino, la popolazione carceraria statunitense e’ aumentata da 0,3 milioni di persone a 2,3 milioni, la cifra  maggiore  di detenuti  nella storia del mondo. E in proporzione, l’America mette in prigione piu’ persone di colore rispetto al Sudafrica durante l’apartheid, soprattutto come risultato delle leggi anti-droga.

Mentre mettere in prigione centinaia di migliaia di afro-americani di sesso maschile per reati minori nel campo della droga, potrebbe lasciarci perplessi,  cio’ nondimeno e’ comprensibile per l’industria carceraria privata che e’ in forte espansione. Data la devastazione  di gran parte della forza lavoro impiegatizia, causata dalle politiche economiche neoliberali, il contributo economico e il valore di un intero settore della societa’ e’ stato impiegato per scopi diversi. Riguardo a questo, il giornalista americano Chrios Hedges osserva:

“I poveri, specialmente quelli di  colore, non valgono nulla per le grosse imprese e per gli            appaltatori privati se stanno per strada. Tuttavia, nelle prigioni e nelle carceri, ognuno di loro puo’     produrre entrate per le grosse imprese di 30.000/40.000 dollari all’anno.”

Un argomento convincente a favore  della legalizzazione e’ che essa indebolira’ seriamente i profitti del crimine organizzato. Tuttavia i narcotici (compresa la marijuana), per esempio, possono rappresentare circa meta’ dei profitti di alcune organizzazioni criminali messicane. Organizzazioni come Las Zetas sono capitalisti impeccabili e sono costantemente in cerca di nuovi mercati. Las Zetas ha ampliato le proprie attivita’ al  traffico sessuale,  all’estorsione, allaq pirateria, e perfino all’industria del petrolio e all’estrazione del carbone, e queste rappresentano enormi fonti di reddito.

Un probabile problema e’ che il mercato mondiale potrebbe diventare monopolizzato, creando quella che sarebbe un cartello legale ma forse perfino piu’ potente. Ma per ora, la mossa dell’Uruguay e’ chiaramente un passo positivo.

Il problema e’ quindi molto piu’  serio  della semplice legalizzazione e depenalizzazione. Se non si fa alcun tentativo di occuparsi dei motivi alla radice dell’esplosione e della crescita del crimine organizzato, chi dice che i sindacati criminali no si espanderanno semplicemente verso altri mercati molto piu’ redditizi?

Si spera che la mossa dell’Uruguay provochi un serio dibattito internazionale sulla legalizzazione.

Questo dibattito, pero’, dovra’ trattare anche di chi controllera’ la produzione di marijuana negli stati dove di recente e’ stata legalizzata. La coltivazione potrebbe essere organizzata all’interno delle comunita’ locali ed essere controllata dai consumatori, oppure la legalizzazione fornira’ un pretesto perche’ le grandi imprese transnazionali, forse guidate da grosse case farmaceutiche, si facciano strada con la forza? Dal loro punto di vista, perche’ dei delinquenti ultimi arrivati dovrebbero controllare il mercato e accumulare massicci profitti quando i colletti bianchi professionisti possono gestire le cose in modo molto piu’ efficiente?

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza e’ vivo

 

www.znetitaly.org

Fonte:http://www.zcommunications.org/what-uruguay-s-lega-weed-means-for-the-war-on-drugs- by-peter-watt

Originale: The Conversation

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Tratto da: http://znetitaly.altervista.org)

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