Solo il fallito è felice

altC’è sicuramente qualcosa che mi accomuna ai ragazzi che incontro tramite il counseling pedagogico e se dovessi riassumerlo con una parola sola, oggi direi che è il fallimento.  Mi rendo conto che questa parola richiama molti significati negativi e ammettere di aver fallito è un segnale di sconfitta. B.J Lyer afferma che “Solo un fallito è felice”, devo ammettere che quando ho letto questa frase per la prima volta ho sentito un moto di repulsione dentro di me e l’ho presa solo come una provocazione, una battuta sarcastica per tempi difficili. Approfondendo ciò che Lyer voleva dire mi sono accorto che quello che cercava di evocare è lo stato di nullità. Di male in peggio si potrebbe dire, da fallito a nullafacente!!! Poi mi sono venuti alla mente tanti volti e tante storie: “Non c’è l’ho fatta (ho fallito), non valgo un cazzo (sono una nullità), mi hanno detto che non ho futuro (condannato alla nullafacenza)”. Ricordo perfettamente tutte le volte nella vita in cui mi sono sentito così, ricordo il vortice di emozioni che mi scombussolava l’anima, ricordo il desiderio di vendetta, di rivalsa, l’adesso vi faccio vedere io e anche il senso di angoscia, la mortificazione, la vergogna, la voglia di sparire e tanto tanto ancora. Quando poi mi chiedo come ho fatto ad imparare quello che so, allora mi rispondo che nessuno di quegli stati d’animo mi ha mai permesso di imparare nulla.


Il dolore che nasce dai giudizi degli insegnanti e dei genitori  si imprime nella carne di chi sta crescendo rendendoci più duri, più insensibili, più impermeabili al continuare ad imparare. Sempre di più ci sono bambini e ragazzi  che non tollerano più quella frustrazione  e semplicemente mollano tutto o si avvicinino terribilmente a quella soglia.

Raggiungere l’obbiettivo a qualunque costo: “Ti devi prendere la licenza media! Ti devi prendere il diploma! Che fai non ti laurei? Fai il tuo dovere! Prima il dovere poi il piacere! Che ti pensi che sia la vita? Un gioco? La vita è una cosa seria!!! Stai sempre a pensare ad altro! Non ti concentri! Devi studiare altrimenti nella vita non combinerai niente! Te e gli amici tuoi, che vi credete che parlando tra di voi risolverete qualcosa? Non ti va mai di fare niente…”,  Kant parla di dovere morale, di imperativo categorico, Goethe e Steiner parlano di fantasia morale e amore per l’azione. Come si può amare ciò che deve? È possibile attraverso la fantasia, attraverso l’arte, attraverso la gioia, con l’opera alchemica di trasformazione del piombo in oro, è possibile quando si sceglie di vivificare il sapere con la passione, con l’entusiasmo che altro non è che en-theos essere in Dio!

Il fallito è un essere umano che non ce la fa a vivere la vita come un dovere, non trova più all’esterno le forze per agire, il dovere è la sopravvivenza, il fallimento è la premessa per esistere. La mia vita e ancor di più la vita dei ragazzi che mi sono stati maestri si è basata da un lato sulla rinuncia alla sopravvivenza e dall’altro su una disperata richiesta di Vita. Oggi nell’avvicinarmi, lo faccio con la chiara consapevolezza di essere io per primo un fallito, ci incontriamo su un piano di fratellanza e su questo piano costruiamo una relazione su cui esplorare il mondo, parlare, studiare ma nel senso latino di studium,  con il desiderio di  conoscere, di crescere. Se oggi sono vivo è perché ho avuto la grazia di aver trovato una passione che quando a quindici anni mi ha folgorato non mi ha più abbandonato. Quando incontro gli adolescenti il mio primo pensiero mi conduce a cercare quali siano i loro talenti, quali siano i doni che hanno nascosti nel cuore. Devo ancora trovare un giovane che non abbia un sogno imprigionato da qualche parte! Ma essendo circondati da adulti rassegnati, da stati tecnicamente falliti ma che non vengono fatti fallire per mantenere vivo il sistema di debito e paura (c’è qualcuno che abbia mai pensato che venga fatto per amore dei popoli?) allora ecco li vedo compensare in mille modi, dalle sostanze alla tecnologia, dall’alienazione alla ribellione.

Gli intellettuali, i capitani d’industria amano forse le idee? Chi è che non si serve delle idee solo per affermarsi o per soddisfare le brame, gli istinti primordiali? Chi ama le idee a tal punto da sacrificare tutto per esse? Tutte le biografie che letto e studiato delle personalità più grandi della storia sono passati per il fallimento.

“Solo il fallito è felice” è un messaggio di speranza, è rinunciare a combattere il mondo esterno e dedicarsi a quello interiore.

Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro… Pensate prima di tutto al Regno dei Cieli, il resto vi verrà dato in sovrappiù”.


scritto da Danilo Casertano • 21 aprile 2011 • Counseling pedagogico •

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