Il Nord Italia va verso un razionamento entro un mese.

verso la chiusuraGià da luglio il governo italiano ha deciso per la chiusura (mediante blocco del rinnovo licenze) di un quarto delle attuali stazioni di servizio, già calate di un terzo in trent’anni e col rischio di creare dei “deserti” di approvvigionamento in periferia, come in Francia dove ci sono in media due stazioni ogni cento kilometri quadrati ed i valori immobiliari dipendono strettamente da questi servizi… La raffineria IES di Mantova si spegnerà tra pochi giorni invece per assenza di greggio, a causa del sacrosanto ma preoccupante sciopero di Marghera (che alimenta la raffineria mantovana). Previste agitazioni a causa di cassa integrazione sui prossimi sei mesi per altri impianti del Nord.

La situazione è gravissima poichè solo dalla raffineria di Mantova dipende interamente una regione italiana, il Trentino Alto-Adige, oltre che le province di Verona, Brescia, Mantova, Reggio Emilia e Modena…

 

 

Vedremo i carburanti razionati o i prezzi ritoccati ancora all’insù per sopperire ai maggiori costi di trasporto dei raffinati da altre raffinerie italiane?

Dal 1990 ad oggi la domanda di raffinati in Italia è calata di circa il 30% e molte piccole raffinerie devono chiudere nel 2012; ad esempio, la stessa IES di Mantova che esiste dal 1948 ed ha sopportato le crisi petrolifere degli anni ’70, è in rosso da tre anni e nonostante sia stata svenduta ad una società estera, e ristrutturata industrialmente ed economicamente, non fa più utili da mesi e mesi e va verso la chiusura definitiva…

E’ la notizia “peggiore” dal mondo dell’industria italiana negli ultimi 4 anni.

Da quelle tonnellate di carburante, che devono arrivare a qualsiasi prezzo ma ogni santo giorno alle pompe di benzina, dipende quel poco di economia ancora esistente in Italia e dipende il flusso di denaro liquido ormai al lumicino…

Questa è la cronaca,  ma siamo veramente a rischio di rimanere senza carburanti, ci sono altri aspetti meno conosciuti ?

Quando sei “inaffidabile” non solo nessuno compra più i tuoi bond, ma tutti si rifiutano di venderti alcunché.

Incluso il petrolio.

Sta succedendo alla Grecia.

Alla quale si chiede di “crescere” e di pagare i suoi debiti.

Appare  improbabile che ci riesca, se nessuno gli vende più petrolio: indispensabile non solo per la produzione industriale, ma anche per la sopravvivenza stessa della nazione.

L’unico paese amico che ha trovato la Grecia è l’Iran.

Stanno sopravvivendo grazie alla roba iraniana perché gli altri semplicemente non gli vendono più nulla stando così le cose.

L’Iran sta vendendo con credito aperto, anche perché hanno difficoltà a vendere il loro petrolio vista la situazione internazionale.

Naturalmente, Bruxelles e Washington stanno pressando Atene perché la smetta di comprare petrolio dagli unici che glielo vendono.

Insomma, i greci dovrebbero, oltre che morire di fame , morire anche di freddo, e possibilmente al buio e a piedi.

Sono forse questi i sacrifici che ci aspettano ? A differenza di altri, la Grecia è autosufficiente almeno dal punto di vita alimentare (cereali e ortofrutta )

A differenza del riscaldamento globale, il picco del petrolio è un argomento troppo nuovo per attirare l’interesse della maggior parte degli esperti “tradizionali”, così sembra non esistere nei media e nella coscienza collettiva.

Tantè che le informazioni , che abbiamo riportato sopra dai giornali,  si dimenticano di sottolineare questo altre importante aspetto.

Perfino la  International Energy Agency (IEA) è stata di recente costretta ad ammettere la gravità della situazione e ad ipotizzare un collasso dell’offerta entro il 2015.

Un dato che abbiamo già segnalato:  nel 1930 ci voleva un barile di petrolio per estrarne 100, cioè il rapporto era di 100:1, negli anni Settanta era già calato a 30:1 e nel 2000 a 11:1.

Ciò fa anche capire come NON sia tanto importante quanto petrolio rimane all’umanità, bensì quanta energia netta possiamo ancora ricavarne per unità investita (il cosiddetto EROI, Energy Return on Investment).

Durante la crisi petrolifera del ’73, dovuta al boicottaggio arabo, la discrepanza tra offerta e domanda (cioè la spare capacity) raggiunse appena il -5%, ovvero l’offerta era “solo” del 5% inferiore alla domanda, e comunque lo fu solo per un tempo limitato.

E già questo fu sufficiente a quadruplicare il prezzo del petrolio, e a provocare inflazione a due cifre, auto a targhe alterne, file interminabili ai distributori di benzina.

Ma nello scenario “post-picco del petrolio” il gap negativo tra la capacità di produzione e la domanda si stima che cresca intorno al 4% l’anno (che è il tasso di declino annuale iniziale dei pozzi, che di solito dopo pochi anni sale al 10% e più), il che porta a un gap negativo di almeno il 20% in meno di cinque anni: un vero disastro, altro che -5% degli anni Settanta!

E’ chiaro che se colleghiamo queste informazioni la cosa si complica parecchio.

Ancor più complicata diventa se leggiamo  su  su Repubblica che in Italia, dal prossimo febbraio, bus tram e treni pendolari potrebbero fermarsi del tutto.

Non ci sono più soldi per mantenerli: già erano alla canna del gas, e i nuovi tagli intorno al 20% dell’ultima legge di stabilità li porteranno al collasso definitivo.

Il nostro Paese è forse quello che nel complesso sta peggio in assoluto, sia perché ha il terzo debito pubblico più alto al mondo sia perché collegando queste informazioni è il più esposto al rischio di un collasso sistemico, dipendendo quasi completamente dall’estero per l’approvvigionamento di energia (sia elettrica che carburanti), nonché dal trasporto su gomma di tutte le merci.

Fatto sta che è possibile che tra non molto chi potrà permetterselo andrà  in macchina, e se avremo problemi anche con la fornitura petrolifera, direttamente in bicicletta o a piedi, che poi in fondo sarebbe il meno.

Immaginate l’effetto sull’ agroalimentare, da far venire i brividi solo al pensarci.

Ora, noi che da anni ci occupiamo anche di  questo, rimaniamo allibiti dal fatto che tralasciando i politici, gli economisti, gli analisti, l’informazione, i sindacati, le associazioni di categoria etc continuino a parlare di crescita e di PIL.

Stiamo finendo in una giungla, che nessuno ha ancora descritto o immaginato, né i liberisti, né gli ambientalisti. Benvenuti a  Chicago.

articolo tratto da Sargo it

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