Euro, ti solletica l’’idea?

Tutto quello cui stiamo assistendo in questo periodo: criminalizzazione del dissenso, strapotere del sistema bancheagenzie di rating, azzeramento delle tutele del lavoro, depauperamento del patrimonio pubblico e via elencando è iniziato nei terribili anni ’90, quelli del Britannia che incrocia nel Tirreno.
Io onestamente ero troppo piccolo per ricordarmi e comprendere tutti i passaggi di quel periodo, che in fondo, comparato all’oggi, sembra rose e fiori: le industrie tiravano, almeno qui, a Nord-Est, i soldi giravano, le ideologie erano morte e il berlusconismo aveva il vento in poppa. Sembra ieri ma ormai sono passati quasi vent’anni: la quiete prima della tempesta.
Dicevo dell’operazione subdola che è stata condotta in quei terribili, col senno di poi, anni ’90.
Il soffocamento sociale è iniziato a piccole tappe, con il metodo di molto bastone e poca carota (la carota è stata una certa “opulenza” del consumo). Oggi siamo giunti alla stretta finale e la battaglia mortale riguarderà sempre più l’ineluttabilità dello “stare peggio”. Dobbiamo convincerci con le buone o con le cattive che, essendo il binario unico, ogni tentativo di progettualità alternativa è destinato a fallire. L’ondata altermondialista iniziata fra Seattle e Goteborg è stata rasa al suolo a Genova, così come sono rimasti inascoltati i movimenti contro la guerra (anzi, le guerre) e così come è stato innalzato un muro di gomma nei confronti del dissenso: dalla scuola, ai beni comuni e alle “grandi opere” per esemplificare. Dieci anni, invano.
Ricordo, intorno al periodo fra 1999 e 2000, quello che ha visto la nascita del “progetto Euro” che nel noto programma televisivo per bambini “Solletico” (il cui slogan era appunto “ti solletica l’idea?”) faceva capolino un tizio, Euro, che enunciava ai pargoli telespettatori le magnifiche sorti della nuova moneta. Francamente non l’ho mai sopportato, il tizio. Credo sia stata la mia prima critica al “progetto Euro”. Puzzava di bruciato tutta l’operazione, come puzzavano le campagne propagandistiche nelle scuole. Fascicoli, libretti e concorsi-paccottiglia ogni piè sospinto. Mica potevo sapere quel che sarebbe successo di lì a qualche anno. Vorrei che qualcuno le riesumasse quelle trasmissioni, sia per far vedere che la RAI è stata capace fino a pochi anni fa di fare una programmazione più che dignitosa a differenza di oggi, sia per dimostrare quanto schifoso fosse ingannare un’intera nazione di bambini, oggi tutti universitari oberati di tasse o cocopro e similari, con un simile, smaccato, furto di futuro. Non parliamo poi dell’indottrinamento compiuto per gli insegnanti. Dovevano dirci che con l’Euro si che le cose sarebbero andate bene! E che noi siamo “la prima generazione di cittadini europei, che potranno muoversi, viaggiare, lavorare nel continente unito”. Questo succedeva, o forse succede ancora oggi. Negare, anche l’evidenza.
Quelli che ci hanno preceduti di qualche anno sono state le cavie, la “carne fresca”, quelli che hanno sperimentato senza sapere davvero, oggi noi sappiamo perché vediamo amici, fratelli maggiori e cugini. E sappiamo che sarà lo stesso anche per noi, oggi, domani e postdomani. Nonostante lauree, master e ogni sorta di pedigree. I “fortunati” inizieranno eterni tirocini presso studi o società: otto ore al giorno se basta, con pausa pranzo al bar all’angolo i cui schifosi tramezzini sono commestibili solo per l’indescrivibile salsa rosa che confonde qualsivoglia sapore. Rigorosamente gratis. E gli sfortunati? Si salvi chi può.
Siete mai passati in un paese della provincia? A Nord come a Sud troverete lo stesso groviglio di macchine e palazzoni, gli stessi supermercati o ipermercati e la stessa mostruosa assenza di luoghi dove stare assieme. Sullo sfondo gli scheletri di un’industrializzazione che fu. Con tutti i suoi limiti e, anche, le sue glorie nonostante fosse basata sull’idea di un lavoro purchessia. Questa è l’Italia che inizia la seconda decade del ventunesimo secolo.
Potrà sembrare demagogia quella che vado facendo, ma è la pura e semplice descrizione di un paese dissanguato. Anche da un punto di vista economico non è la “linfa” di un Paese la fascia di popolazione che va dai 18 ai 40 anni? Ebbene, oggi qual è la condizione di questa fascia in Italia?
I “TQ”, come si definiscono ora. Certo, non è solo una questione di età, perché è inutile arrivare presto nelle stanze dei bottoni, se tanto poi gli ordini te li faxano da Francoforte o da altrove. Come scandisce Lucarelli di “Blunotte”: “Sovranità-limitata“.
Ho letto un articolo di Christian Raimo, in cui parlava dei poster dei “Queen” che stanno ingiallendo nelle camerette degli ex adolescenti degli anni Ottanta, costretti ad una forzosa convivenza nelle case in cui sono nati (e fortuna che ce l’hanno, la casa!). Le lucciole che scompaiono di Pasolini, e i poster che ingialliscono. Simboli di un’epoca.
Nonostante tutto i nostri politici, quelli che a questi problemi dovrebbero almeno tentare di dare una risposta, magari parziale e timida, continuano a ripeterci il mantra della “vita sopra le possibilità“, della “meritocrazia” e della “flessibilità“. Tutti i politici, almeno di caratura nazionale. Lì si che sono “tutti uguali”. Infatti una nuova moda è quella di dire “non sono tutti uguali”. In parte è vero, ma la distinzione non è fra destra e sinistra, ma fra politici nazionali e politici locali. I primi li vedi in televisione e basta (mai in Parlamento!), i secondi li puoi trovare anche al bar o al mercato. E lì ti devono rispondere, o se non lo fanno è bene che sia tu a farti qualche domanda su di loro. Ma in ogni caso lo possono fare solo sulle buche della strada o sulle strisce pedonali da riprendere. Non sul resto. Perché le leve vere devono stare ben lontane dalle zampe del “parco buoi”.
L’Italia oggi è un paese da liberare, solo che la liberazione di oggi non richiede di andare sulle montagne, ma di riprendersela proprio tutta. Da cima a fondo, in tutti i luoghi dell’abitare. O, per dirla meglio con l’art. 2 della Costituzione, in tutte “formazioni sociali ove si svolge la (sua) personalità”. Senza una riaffermazione di sovranità e indipendenza, nessun cambiamento potrà mai essere possibile per permettere una società non dico più equa, ma almeno più ragionevole. È davvero ora di una “democrazia a chilometro zero“.

Alberto Leoncini
albertoleoncini@libero.it

 

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